Società | Commento

Questo non è giornalismo

L'inviato di Striscia alle prese con gli spacciatori. Il piccolo profugo ricoverato e la redattrice Rai. Due casi esemplari.
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Foto: upi
L'episodio che ha visto protagonista a l'inviato di "Striscia la notizia" Vittorio Brumotti, aggredito a Bologna al parco della Montagnola durante le riprese di un servizio televisivo, impone una riflessione sul giornalismo. Ciò che stava realizzando Brumotti, infatti, non è giornalismo. Secondo la deontologia, infatti, ogni volta che un soggetto viene intervistato (o ripreso) dovrebbe essere avvisato. In condizioni di pericolo è forse lecito agire sotto copertura, fingere di non essere lì per raccogliere informazioni, ma mai e poi mai in un secondo momento il "giornalista" dovrebbe provocare i soggetti coinvolti nel servizio, come ha fatto Brumotti col suo megafono. 
 
Tutto ciò che resta dell'azione dell'inviato Mediaset è l'arresto di uno dei presunti spacciatori /aggressori, una denuncia a carico di altri due e un'indignazione fine a se stessa. 
Che si spacci alla Montagnola lo sa infatti chiunque frequenti la città di Bologna: non c'era bisogno di Striscia la notizia. 
 Di fronte al presunto scoop ogni diritto pare venir meno. Questo non è giornalismo. 
Ciò che dobbiamo chiedersi così è altro: che cosa apporta, questo servizio, alla lotta contro le sostanze stupefacenti nel capoluogo emiliano, e nello specifico alla Montagnola? Aiuta a capire chi sono (a quali classi sociali appartengono, a quali nazionalità in prevalenza, a quali classi di età) gli acquirenti che rendono florido quel mercato? Rende più facile l'identificazione dei soggetti che utilizzano i soggetti intercettato dal Brumotti come pusher? Se la risposta a tutte queste domande è "No", l'inviato di Striscia ha fallito. O forse no, perché non è un giornalista; e il fallimento più grande è quello di una televisione che pare prendere il programma di Canale 5 a modello. Alla ricerca di scoop che non potranno in alcun modo incidere sulla società. Portatori soltanto di una indignazione che il giorno dopo è già sgonfia, perché vuota di contenuti, o di immagini capaci di toccare la pancia del pubblico. Nel breve servizio, Brumotti ripete più volte "qui ci sono i bambini, i bambini...". 
 
Bambini da tutelare. Come Antonhy, il piccolo profugo di cinque anni, ritrovato sotto un vagone merci al Brennero, in stato di ipotermia e senza i suoi genitori. Ma, e lo ha denunciato l'Azienda sanitaria dell'Alto Adige, una giornalista della Rai si è introdotta senza autorizzazione nel reparto di pediatria dell'ospedale di Bressanone per tentare di "riprenderlo". Di fronte al presunto scoop ogni diritto pare venir meno. Questo non è giornalismo.