Cultura | Diario di viaggio

Mindat e le donne dal viso tatuato

Racconti dal Myanmar
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
Signora si 93 anni, Mindat
Foto: Giulia Pedron © Tutti i diritti riservati

Il Myanmar è un paese che ancora oggi conserva antiche usanze risalenti a tradizioni di epoche lontane. Si trova in Asia sudorientale ed è un paese che entra velocemente nel cuore di chi lo visita, grazie al calore e ai sorrisi della gente che rendono il Myanmar un paese speciale. Le città brulicanti, i piccoli villaggi, i mercati pieni di oggetti e alimenti strani (a volte impossibili da identificare), le strade sabbiose color rosso, i monasteri, i monaci gentili, le pagode sfarzose, sono così unici proprio grazie al popolo birmano, gente cordiale e generosa. Sono loro che hanno reso il mio viaggio in questa terra incredibilmente magico, sempre pronti ad aiutarmi quando ne avevo bisogno.

In Myanmar non si va per i paesaggi, si va per la gente, che ti rimane nel cuore.

In questo racconto, voglio parlarvi di Mindat, un piccolo villaggio di montagna nello stato Chin, dove convivono tre gruppi etnici: i Mun, i Dai ed i Kaang. Non si raggiunge facilmente, l'unico modo per arrivarci è tramite una strada che per la maggior parte del tragitto è solamente sterrata: decisamente un viaggio molto movimentato e traballante, ma ne vale la pena.

Mindat è un villaggio che sembra essersi fermato nel tempo, la gente vive le giornate scandite dal lento ritmo asiatico, i tramonti sono spettacolari ed è ancora possibile incontrare le donne Chin con il viso tatuato, sedersi con loro e farsi raccontare (nei limiti che impone l’assenza di una lingua ponte) la loro storia. Il loro viso è interamente coperto da tatuaggi.

Parlando con gli abitanti del villaggio mi viene raccontato che le origini di questa pratica risalgono a un epoca ormai lontana, a quando il re si recava a Mindat per prendere le ragazze più belle e farle sue spose, portandole via dalla famiglia che purtroppo non avrebbero più rivisto. E' per questo motivo che iniziarono a tatuare i visi delle ragazze in età giovanissima, per renderle ‘meno attraenti' ed evitare così che fossero rapite. Per farlo usavano una tinta che ricavavano dalla radice di un albero. Con il tempo la pratica divenne parte della tradizione tribale, un doloroso rituale di bellezza che, ufficialmente, terminò negli anni ‘60 quando fu proibito dal governo.

Tra le signore che ho avuto la fortuna di conoscere, c’erano anche due amiche che si conoscevano da sempre, rispettivamente di 87 e 93 anni. Parlavano nel loro dialetto ma grazie all'aiuto di un ragazzo che parlava anche l’inglese, ho potuto apprendere qualcosa in più della loro storia. Entrambe sono state tatuate quando erano molto giovani, contro la loro volontà. Il loro viso è completamente ricoperto dai tatuaggi che lasciano spazio ad occhi vispi ed espressivi. Incontrarle è stato una vera emozione.

Sono rimasta a Mindat poco più di una settimana e al momento della mia partenza un piccolo nodo mi si è stretto alla gola. La gente lì è amichevole e curiosa, tutti ti sorridono e molti cercano un contatto. Vale veramente la pena farsi questo lungo viaggio, arrivare fin qui e scollegare la testa dal resto del mondo. A Mindat non c'è internet, non ci sono ristoranti turistici, i bambini giocano per strada, le macchine sono poche e si vive alla giornata. La gente di questo villaggio non conosce i comfort ai quali siamo abituati noi, la vita è molto più dura ma la gente trova sempre un buon motivo per sorridere e, inevitabilmente, ti contagia con la sua allegria.

Per altre foto visita www.giuliapedron.com

Giulia Pedron COOLtour