Società | Il ritratto

“A Bolzano ho riscritto la mia storia”

Mamadou Diallo, dalla fuga sui barconi dall’Africa all’Alto Adige per mettere radici, il matrimonio e il sogno diventato realtà: aprire un negozio di bici e monopattini.
Mamadou Diallo
Foto: Mamadou Diallo

Arrivi in Italia dal tuo Paese, divenuto inospitale, dopo mesi di viaggio in condizioni inimmaginabili - quelle che abbiamo sentito tante volte - soffrendo le onde del Mediterraneo, la fame, la sete. In barba sia ai demagoghi che riducono questi esseri umani in fuga a massa contabile, sia alle ricette xenofobe dei soldatini del web che alimentano le pulsioni peggiori, tra mille difficoltà trovi un luogo dove immaginare il tuo avvenire. E te lo costruisci, pezzo per pezzo. Emancipandoti. Una forma di resistenza nel Paese del “prima gli italiani”. È una storia di riscossa (ma anche d’amore) quella di Mamadou Diallo, 26 anni, approdato a Bolzano nel 2014 dalla Guinea. Una di quelle che rovesciano con un colpo gli abusati (e remunerativi per i nullisti della politica) stereotipi sui migranti, la disinformazione, la malafede.

Pancia a terra Mamadou abbatte le barriere linguistiche studiando l’italiano e il tedesco, si prende un diploma professionale dopo 4 anni di apprendistato, inizia uno stage e poi ottiene un contratto al Pit stop, il punto vendita e riparazioni di biciclette in corso Libertà, dove lavora ormai da quasi 6 anni. “I ragazzi mi hanno aiutato molto, hanno creduto in me facendomi fare esperienza e di questo li ringrazio”. Nel frattempo Mamadou fa progetti. I sogni dormono poco. Il risultato: tra un paio di mesi aprirà il suo di negozio. “Mio padre, che ho perso molti anni fa - racconta a salto.bz il giovane africano -, aveva un’officina meccanica in Guinea, e io lì dentro ci sono cresciuto. Papà mi diceva: ‘Un giorno dovrai cavartela da solo perciò prima impari un mestiere meglio è’. Sono grato per tutto quello che mi ha insegnato perché se sono arrivato fino a questo punto, oggi, lo devo anche a lui”.

 

Mamadou non parla volentieri della sua vita “di prima”, ridare spazio e corpo a quegli orrori “mi fa stare male”, dice. Il passato è ancora lì. Sono gli anni della guerra civile in Sierra Leone (quelli dal 1991 al 2002, ndr), paese d’origine della famiglia Diallo. Scappare è inevitabile. La meta è la Guinea, dove il presidente Lansana Conté accoglie i profughi che provano a rifarsi una vita. Alla sua morte, nel 2008, le cose cambiano, l’atteggiamento verso gli “stranieri” diventa più ostile. “‘Sono venuti qui, hanno preso la nostra terra, i nostri soldi, le nostre donne, se ne devono andare’, dicevano i guineani ai nuovi arrivati”. Il campionario di pregiudizi universali che affollano, a ogni latitudine, il discorso pubblico. “Mio padre me l’hanno ammazzato, a quel punto ho capito che non potevo più restare”.

Arrivato in Sicilia, dopo che gli scafisti gli hanno spillato fino all’ultimo centesimo per la traversata in mare, Mamadou viene assegnato a Bolzano. Il piano dipanato in tre tappe, senza sottrazioni: scuola, diploma, lavoro, “in testa avevo sempre lo stesso pensiero: un’attività tutta mia, un giorno non troppo lontano”. Trascorre un anno e mezzo in un centro di accoglienza, dove conosce Maria Furlin, operatrice della Caritas, la sua futura moglie, da cui un anno e un mese fa ha avuto una bambina, Noumoula. “A quei tempi me ne stavo per conto mio, non davo molta confidenza, scosso da quello che avevo vissuto, e il mio carattere schivo ha in qualche modo incuriosito questa ragazza che veniva dal Veneto, ci siamo avvicinati sempre di più, e poi è successo che ci siamo innamorati. Maria è la mia forza, grazie a lei è cambiato tutto”.

In testa avevo sempre lo stesso pensiero: un’attività tutta mia, un giorno non troppo lontano

È il 2019, Mamadou lascia il centro di accoglienza per andare in Marocco a cercare il fratello di cui da qualche tempo non ha più notizie, ma sa che al suo ritorno a Bolzano non avrà diritto a essere ospitato di nuovo nella struttura. Nello stesso anno scopre che la madre, che credeva morta, è invece sopravvissuta alla guerra. Ma ricongiungersi ancora non è possibile. Comincia il momento più duro. Riesce a stabilirsi in una casa popolare del capoluogo altoatesino, “c’era l’affitto da pagare - ricorda -, il cibo da mettere in tavola, i soldi da mandare alla famiglia in Africa. È stato un periodo buio, ma per fortuna è passato piuttosto in fretta, o almeno così mi è sembrato”.

 

“È difficile crescere in questa città, sono sincero, noi immigrati siamo qui da poco, la gente non è abituata a noi, e quindi capita che giudichi prima di conoscere - osserva ancora il 26enne guineano -. Ma io so da dove vengo, so quello che ho passato e so come sono stato educato. Agli insulti non rispondo, ho imparato a farmi scivolare addosso le cose. Quando poi vedo alcuni miei conterranei, che si comportano male - prosegue - me la prendo, perché siamo noi i primi a dover aiutare noi stessi, per questo a loro dico cercate di avvicinarvi alle persone del posto, imparate la lingua, coltivate le conoscenze ‘giuste’, ponetevi un obiettivo”.

Quello di Mamadou ha già preso forma. In attesa della cittadinanza italiana e con in tasca la carta di soggiorno, a luglio si metterà in proprio, aprendo in via Napoli 11 il suo negozio. “Il nome lo sceglierà Maria, e con i risparmi che abbiamo messo da parte ci arrangeremo, sono fiducioso, a Bolzano ho già riscritto la mia storia”.

L’idea è quella di un punto di vendita e riparazione di monopattini, “a Bolzano non lo fa praticamente nessuno e io ho dimestichezza con questi veicoli”. E poi naturalmente ci saranno le biciclette (soprattutto elettriche) da aggiustare. Da aspirante imprenditore Mamadou sa già su quale clientela puntare in partenza: i rider, che in bici attraversano la città per consegnare cibo e bibite. “La stragrande maggioranza di loro è straniera, parla poco la lingua, e ha difficoltà a farsi riparare il mezzo nei negozi dedicati”. Accanto al sogno professionale, ormai a portata di mano, ce n’è anche un altro: “Andare a trovare mia madre, che non vedo da 7 anni. A novembre, se tutto va bene, partiremo per la Guinea tutti e tre, Maria, Noumoula e io. Non sto nella pelle”.
Un finale felice, una volta tanto, non è proibito.