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I corpi astinenti

Emmanuelle Richard parla di sesso raccogliendo le esperienze di donne e uomini che di sesso non ne fanno (o ne fanno poco).
I corpi astinenti
Foto: TLON/salto.bz

Digitando su internet l’espressione “astinenza sessuale” ci si imbatte in articoli giornalistici che affrontano l’argomento trattandolo da diverse angolazioni. Dei numerosi pezzi che ho letto, due mi hanno fatto riflette più degli altri: il primo parla di “The Sexless Tribe”, una app che mette in contatto persone in astinenza sessuale, il secondo definisce l’astinenza una pratica dannosa alla salute tanto da essere legata all’insorgenza di malattie cardiache e al rallentamento della crescita del cervello (aspetto quest’ultimo che non è molto chiaro dato che in età adulta non si sviluppano nuovi neuroni). Queste due letture hanno presentato l’astinenza o come una forma di religione o come un comportamento insalubre: se da una parte Shakia Seabrook, creatrice di The Sexless Tribe, spiega come sulla sua app gli utenti possono trovare una canzone, un video o un podcast di incoraggiamento per non tradire la loro scelta qualora colti dal desiderio, dall’altra vengono sbandierate cifre come quelle riguardanti il numero annuo di eiaculazioni necessarie per scongiurare il rischio di sviluppare il cancro alla prostata. Laddove l’astinenza è accolta come stile di vita, l’approccio rasenta la fede; laddove il sesso è accolto come qualcosa di necessario al benessere fisico e psicologico, l’approccio è quello della medicalizzazione.


Scrive Michel Foucault ne “La volontà di sapere”: “il sesso non si giudica solo, si amministra. Esso riguarda il potere politico. Richiede procedure di gestione; deve essere preso in considerazione da discorsi analitici”. Tale amministrazione del sesso fa assumere al discorso sulla sessualità una forma scientifica che fino a non troppi anni fa faceva sì che orientamenti sessuali che si allontanano da quelli imposti dal sistema eteronormato fossero indicati come disturbi nei manuali di psichiatria. La scomparsa dai manuali diagnostici e statistici dei disturbi mentali di alcuni modi di vivere la sessualità non ha però modificato la tendenza, talvolta inconscia, a farli rientrare nella sfera della medicina etichettandoli con una terminologia legata alla cura, tanto che dal 1975 – quando il sessuologo Patrick Carnes coniò il termine – si parla, per esempio, di “anoressia sessuale”. Ma è proprio sicuro che la mancanza di desiderio di fare sesso sia un problema, o forse il problema è la sessualizzazione estrema di una società che mostra una tendenza patologica a medicalizzare ogni aspetto della vita? Indicare la frequenza di rapporti che permette di rimanere vigorosi nel corpo e nell’anima ha realmente qualche senso se non quello di imporre una condotta prestazionale per ogni aspetto dell’esistenza? La rappresentazione mainstream del sesso è legata al desiderio oppure è schiava di un immaginario che censura “una sessualità non performante, non orgasmica, ma irregolare, rara o assente”?


Riprendendo le parole della citazione di Foucault, il campo del sesso sembrerebbe essere amministrato da una serie di imposizioni sociali che delineano i confini di ciò che è socialmente adeguato definendo in questo modo la presenza di tabù come quello dell’astinenza sessuale. Emmanuelle Richard nel suo “I corpi astinenti”, pubblicato dalle Edizioni Tlon nel dicembre 2021 con traduzione di Valentina Maini, racconta l’esperienza di vivere per un periodo più o meno lungo lontano dal sesso inserendo il suo vissuto personale nella raccolta di quasi quaranta testimonianze di astinenze altrui. Tale viaggio corale attraverso esperienze di assenza di sesso parte dalla consapevolezza dell’autrice che “nella dittatura del godimento non partecipare, o partecipare in misura minore, equivale a essere subito percepiti come perdenti, ai margini del capitalismo della seduzione”. Da questa critica alla logica performativa iniziano a susseguirsi i racconti delle donne e degli uomini incontrati da Richard, voci che nella loro moltitudine non permettono di dare un’unica definizione dell’astinenza. Per Emmanuelle Richard “una definizione possibile dell’astinenza, per me la sua accezione più pertinente, è la seguente: non fare più l’amore con la frequenza a cui eravamo abituati anche se lo vorremmo; la nostra libido esiste, ne avremmo voglia, ma per una serie di ragioni non abbiamo nessun rapporto con altre persone”; per qualcuno l’astinenza può essere una scelta, o una condizione “forzata”, può essere cercata in prima persona oppure voluta dal partner, può essere vissuta come un’opportunità oppure come una condizione normale priva di alcuna pretesa rivelatrice.


Mentre leggevo le testimonianze che compongono “I corpi astinenti” riflettevo sulla necessità di definire cosa sia l’astinenza: la definizione non porta con sé dei confini oltre i quali è permesso stabilire una norma? Indagare sui perché si è o si è stati astinenti non porta con sé il rischio di voler trovare a tutti i costi una causa anche laddove essa non c’è? La quarta di copertina recita: “Ho fatto due chiacchiere con chi, come me, non fa più l’amore”. Trascorrere dei mesi, superare l’anno senza condividere la sessualità con qualcuno significa davvero non fare più l’amore? Io non assaggio un gelato dalla scorsa estate eppure non ho smesso di mangiarlo.