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Cultura | Avvenne domani

“Svuotò di uomini la nostra terra”

Cronache della Peste del 1348. Parla il monaco Goswin.

Se succederà di nuovo, tra un anno, tra cinque anni o tra dieci non lo sappiamo. Quel che sappiamo, ma forse avevamo dimenticato, e che è già successo molte volte. Quando, qualche tempo fa, ho pubblicato su questa pagina un piccolo itinerario altoatesino tra luoghi e monumenti che ricordano le pestilenze del passato, qualcuno, tra i miei benevoli lettori ha gradito poco affermando che si dovrebbe parlar d’altro, di cose leggere e divertenti. Altri invece hanno mostrato interesse. Rispetto l’opinione dei primi, ma ricordo a me stesso prima di tutto, che questo piccolo spazio settimanale che Salto mi concede di riempire nasce proprio dall’idea di recuperare dal passato, prossimo o remoto a seconda dei casi, degli spunti per capire meglio quello che ci succede nel presente.

Ed allora torniamo a parlare della pandemia che è rimasta nella storia e nel nostro inconscio collettivo come quella che ha segnato il mondo con la sua violenza: la peste nera del 1348.

Lo facciamo con le parole scritte, pochissimi anni dopo, da un monaco che visse in prima persona quei drammatici avvenimenti e che ne racconta nelle cronache scritte per raccontare la storia del suo monastero: quello di Monte Maria in Val Venosta.

Questa pestilenza - scrive il monaco Goswin - fu veramente una malattia stupefacente: alcuni avevano delle ghiandole infiammate attorno ai posti vergognosi e giacevano per tre giorni come se dormissero e morivano senza parlare; altri invece avevano nello sputo sangue al posto di saliva e quasi tutti coloro che erano infettati da queste ghiandole e dal sangue morivano; né i medici potevano trovare qualche rimedio a causa del fatto che sicuramente la malattia era un castigo divino, come il diluvio nell’antichità. Allora anche gli Ebrei in molti luoghi furono sottoposti al ferro e fuoco e ad altre crociate poiché si diceva che avevano sparso veleno in molte regioni per aiutare la diffusione della malattia, affinché in tal modo la fede cristiana fosse soffocata; se ciò sia vero o falso lo ignoriamo.”*

Goswin, come abbiamo detto, vide quei tempi calamitosi con i propri occhi. Nel 1348 era un giovane novizio, uno scolaro monaco come venivano chiamati allora, e ricevette gli ordini sacri proprio nell’infuriare della pestilenza. La sua cronaca è spaventosa nella sua freddezza: “Innanzitutto giunsero così tante cavallette, di insolita grandezza, da coprire quasi tutta la superficie della Terra. In seguito, nel 1344, vi furono terremoti così forti e frequenti da abbattere castelli e città, come si può vedere ancora oggi in Carinzia. Questi terremoti furono seguiti nel 1348 da una terribile pestilenza, che svuotò di uomini la nostra terra e quelle vicine perché sopravvisse solo un sesto della popolazione. Allora morirono tutti i monaci del mostro monastero tranne il venerabile padre Wyso, un altro sacerdote, frate Rodolfo uno scolaro monaco, fratello Goswin (che qui parla di sé stesso in terza persona) e un converso”. Secondo Goswin dunque la peste, arrivata dopo tutta una serie di altre calamità, da una prolungata carestia dovuta ad un mutamento climatico abbastanza improvviso, all’invasione delle cavallette che distruggevano raccolti, ai terremoti, avrebbe ucciso oltre l’ottanta per cento della popolazione delle zone vicine al convento. Tutti i riferimenti storico-statistici, che pure scontano la difficoltà di fare calcoli precisi su un’epoca così lontana, parlano di un tasso di mortalità che varia, nelle stime più benevole attorno ad un terzo della popolazione, arrivando al massimo ad immaginare la morte, per epidemia, di metà degli abitanti del continente europeo. Può darsi, ma è solo un’ipotesi, che Goswin abbia incluso nel conto anche tutti coloro che, in una zona montana, preferirono abbandonare case, campi e stalle emigrare altrove in cerca di territori più facili da coltivare e rimasti abbandonati anch’essi. In questo senso potrebbe essere interpretato quello “svuotò”.

Qualunque sia il conto che l’umanità dovette pagare in quegli anni, esso fu sicuramente spaventoso. Non era, quella, la prima pandemia ad abbattersi sull’Europa e il Mediterraneo. La storia riporta molte notizie in merito a malattie contagiose, denominata genericamente come “peste” e risalenti ai secoli precedenti. Quella del 1348, però, fu probabilmente una delle più spaventose per gli effetti che ebbe e per terrore che lasciò impresso nell’anima degli uomini, terrore rinnovato periodicamente, nei decenni nei secoli successivi, dal risorgere, meno devastante in termini generali ma non meno terribile, della stessa o di altre forme epidemiche.

Divenne la peste per antonomasia anche perché, probabilmente, è la prima di cui ci restano racconti dettagliati, cronache scritte quasi “in diretta” come quella compilata a distanza di pochissimi anni dagli avvenimenti dal monaco Goswin di Monte Maria.

*I testi in corsivo e le notizie principali sono tratti dalla pregevolissima monografia di Giuseppe Albertoni “Il mondo di Goswin, monaco del Trecento”, pubblicata nel 2003 sulla rivista “Storiae”, pubblicata all’epoca dalla Sovrintendenza scolastica di Bolzano. Un patrimonio preziosissimo di approfondimenti storici e di strumenti didattici, poi soppresso con una sciagurata decisione politica.