Olena Kushnir
Foto: Olena Kushnir
Società | il cappuccino

In ricordo di Olena Kushnir

La sergente maggiore e medico della Guardia nazionale ucraina è morta a Mariupol nel giorno di Pasqua. Era una delle cento donne combattenti rimaste nella città assediata

Questa rubrichina aveva deciso di dedicare la sua prima puntata di dopo Pasqua 2022 al treno-ospedale di Medici senza frontiere. Un treno che attraversa le aree dell’Ucraina, aggredita dall’esercito russo e dal suo massimo gerarca Putin, per andare a raccogliere feriti, ricoverarli, curarli, portarli al riparo. Provare a salvarli, insomma. E certo non è venuto meno da queste righe l’invito a cercare il sito di Msf, informarsi un po’ e valutare se dare un aiuto, anche una volta soltanto, a questa organizzazione coraggiosa e senza paura.
Ma dall’Ucraina le notizie arrivano ogni minuto e sono struggenti, drammatiche, immediatamente insopportabili. Ad esempio questa. Olena Kushnir, sergente maggiore e medico della Guardia nazionale ucraina, è morta a Mariupol nel giorno di Pasqua 2022. Donna e mamma, era una delle cento donne combattenti rimaste nell’inferno dell’assedio di una città che, ora dopo ora, tutti ma proprio tutti noi rischiamo di perdere.
Non solo di smarrire, di dimenticare. Di perdere come se fosse una parte di ognuno di noi.
La notizia della uccisione di Olena Kushnir è stata rilanciata sui gruppi Telegram dell’Ucraina ed è stata confermata anche da Oleksandra Matviichuk, avvocato per i diritti umani, e Mariana Betsa, ambasciatrice ucraina in Estonia, su Twitter.
Una morte – una uccisione feroce, come lo sono tutte – della quale proprio tre donne sono state le primissime testimoni.

Accanto a lei ci sarebbe stato di sicuro il marito di Olena. Ma è morto nei primi giorni di marzo. Olena è rimasta sola con un figlio piccolo che ha provveduto a mettere in salvo attraverso uno dei pochissimi e molto accidentati corridoi umanitari. Poteva rimanere con lui. Invece, mentre tornava sulla linea del fronte aveva spiegato: “Non compatitemi, sono un medico, una combattente, sono ucraina, faccio il mio dovere”.
Di storie così abbiamo allo stesso tempo grande bisogno ma anche nessuna, nessunissima necessità. Né individuale né collettiva. Servono, queste storie, a tener desta la nostra attenzione su una aggressione bellica drammatica, soprattutto ora che proviamo – almeno per qualche minuto ogni tanto – a pensare anche ad altro. Ma di queste stesse storie - una per una e anche una soltanto – non vorremmo avvertire neanche una eco, un sussulto vocale. Illudendoci che non siamo mai esistite. Soprattutto in guerra. Soprattutto in questa guerra.
Guardando la sua pagina Facebook, si comprende quanto sia cambiata in così poche settimane la vita di Olena. Dalle canzoni su YouTube alle foto con il figlio era passata a condividere foto e video che mostravano solo la
devastazione di Mariupol assediata dall’avanzata russa. “A Mariupol ci sono ancora persone, sono nelle cantine, sono sotto terra, hanno bisogno di tutto. Se non volete salvare Mariupol, salvate i suoi cittadini vi prego! – aveva scritto Olena pochissimi giorni fa - non vogliamo essere eroi e martiri, non potrete dire che non sapevate perché sapevate e potevate agire”.