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Sunset Boulevard

Cinema, teatro e musica si incontrano nella messinscena a Bolzano dello storico musical che ha fatto il giro del mondo in tante lingue.
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Foto: Christoph Sebastian

L’orchestra è quella della Haydn e si sente il suono magnifico che accompagna le oltre due ore di spettacolo sul palco del Teatro Comunale di Bolzano, qui diretti da Stephen Lloyd, australiano, ormai quasi bolzanino visto che ci vive e lavora dai primi anni Duemila. Stiamo parlando di Sunset Boulevard (in scena fino al 24 maggio), il musical composto da Andrew Lloyd Webber negli anni tra il 1976 e il 1991 sulla base dell’omonimo film girato nel 1950 da Billy Wilder, regista di origine austriaca emigrato come tanti negli anni trenta negli Usa e che aveva fatto una importante carriera a Hollywood.


Il ruolo che allora fu di Gloria Swanson, star negli anni d’oro a Hollywood, poi ripescata per quella pellicola realizzata dalla Paramount, nella messinscena a Bolzano diretta da Rudolf Frey (già firmatario di grandi successi come West Side Story e Liliom negli anni scorsi) è stato affidato a Maya Hakvoort – nata in Olanda ma giunta sotto i fari di grandi produzioni in Austria – e che sin dalle prime apparizioni fa vibrare la sua forte voce nell’aria per dare corpo alla diva del cinema muto che vuole celebrare (o non) la storia inventata dal genio tragicomico di Wilder: Norma Desmond. Viale del tramonto è il titolo del film quando esce nelle sale italiane, e quella parola “tramonto” non è soltanto la traduzione del nome del Boulevard di Hollywood dove abitano alcuni tra divi e dive, ma in senso lato significa anche il tramonto della carriera di quella star e in secondo luogo il tramonto di tutta una generazione di Hollywood e di un modo di fare cinema. E nella versione bolzanina forse si aggiunge il tramonto di un mondo che vuole apparire, visto che nel finale Norma-Maya si toglie la sua parrucca vistosa di riccioli rosso-mogano facendo apparire il suo volto di donna odierna, mentre nel film si snocciola l’apoteosi della meravigliosa follia smaniosa di una attrice del muto.


Il nucleo della storia è presto raccontato, in quanto si attiene fedelmente a quella cinematografica: Webber aveva ammesso di essere rimasto talmente colpito dal film di Wilder da bruciare dalla voglia di scriverne un musical finché ci riuscì con l’autore dei testi Christopher Hampton (in collaborazione con Don Black). Va detto subito che la pièce può tranquillamente essere seguita in italiano essendoci i sovratitoli in entrambe le lingue, tedesco e italiano, per meglio comprendere i brani cantati. Il tutto inizia con un morto fluttuante nelle acque di una lussuosa piscina in una elegante villa situata sul Sunset Boulevard, appunto, e in un lunghissimo flashback si narra il perché si era arrivati a quel punto. Non essendo facile installare una piscina su un palco, lo scenografo Luis Graninger non solo per questa scena iniziale si è ampiamente avvalso dell’aiuto di video (curati da Aron Kitzig) e delle luci (di Micha Beyermann) per rendere l’ampio immaginario proposto nel film. Così le acque sono proiettate virtualmente in una forma trapezoidale sullo sfondo e tante altre scene si costruiscono grazie a un affascinante gioco di luci, in alternanza anche sulla tela trasparente fatta scendere di tanto in tanto per distanziare meglio il primo piano dallo sfondo ricoperto con un tendaggio pesante, da poter giocare con effetti visivi del tipo enormi tasti di una macchina da scrivere ai fini di simboleggiare l’attività del protagonista maschile Joe Gillis (magistralmente interpretato da Dominik Hees) o lo scorrere di un asfalto con la linea bianca in mezzo per contrassegnare una corsa in macchina.


Si inizia con il morto, abbiamo detto, e subito dopo si è in pieno ufficio di uno studio hollywoodiano per un colloquio tra il nostro sceneggiatore e un produttore per discutere di un soggetto che però viene rifiutato. Ha problemi di sopravvivenza, Gillis, per cui al momento in cui due creditori vogliono impadronirsi della sua macchina, lui si dilegua e per un guasto va a finire nel giardino di una grande villa che pare abbandonata. Ma, al suono del campanello gli apre un cameriere e lo fa entrare pensando che fosse la persona che doveva portare una bara per l’amico morto della padrona di casa, Norma Desmond, la quale piange la sua scimmietta di compagnia. L’errore viene chiarito e lei - incuriosita del visitatore notturno che si era dichiarato essere sceneggiatore - lo invita a fermarsi per leggere il suo script volendo lei a tutti i costi tornare sotto i riflettori. Passano le ore, lei gli offre il lavoro di redigere il testo e decide di farlo restare per la notte nella camera sopra il garage. La notte diventano tante notti finché a revisione ultimata e all’approssimarsi del Capodanno lei lo ricopre di regali e nuovi abiti per la festa nella villa, dove però – ahilui! – altri ospiti non ce ne sono… Sentitosi prigioniero, Gillis si reca alla festa dell’amico, dove reincontra Betty Schaefer, la giovane e attraente segretaria del produttore dello studio con cui aveva avuto il colloquio (Marie Hoch) e poco dopo apprende al telefono che l’addolorata Desmond, tendente alla depressione, ha trovato il suo rasoio…


Non serve andare oltre nella descrizione dei fatti per non comprendere da subito cosa poteva essere accaduto in seguito, e non vogliamo nemmeno rubare troppo le aspettative ai nostri lettori che non conoscono il film, piuttosto guardiamo ad alcuni altri fattori della messinscena bolzanina.


Come già accennato, colpisce che numerose scene sono costruite con pochi elementi concreti – ad esempio qualche poltrona oppure un telefono oppure una porzione di scala (che forse potevano essere più stilizzati nel loro design) che a loro volta vengono “ampliati” dalle già citate luci ben orchestrate e le scene piuttosto “vuote” vengono inoltre “riempite” di componenti vivi sotto forma del numeroso corpo di ballo composto da sette donne e otto uomini. Nelle vivide coreografie curate da Marcel Leemann, i singoli e le singole componenti ricoprono anche diversi ruoli secondari, dalle girls al party ai poliziotti sulla scena del delitto, dalle estetiste e massaggiatrici della diva a attori e comparse del film Samson e Dalila quando la nostra star del muto arriva in visita sul set del grande regista Cecil B. DeMille (interpretato da Markus Lobis). Sono questi momenti davvero emozionanti di grande teatro che fanno convivere il dettaglio per il tutto con lo sconfinante universo del potenziale immaginario, dove canto e gestualità arrivano dritti nel cuore di chi guarda toccando punte di grande umanità. Erwin Belakowitsch che presta corpo e voce, e dunque l’anima, al cameriere Max che poi si rivela essere uno dei tre grandi registi del muto ossia un certo von Mayerling (in realtà nel film questo personaggio è interpretato da Erich von Strohheim, il quale oltre a essere stato davvero un grande regista negli anni venti fu anche colui che entrò in discordia con la gran diva-idolo della moda femminile nel periodo del muto, ovvero la stessa Gloria Swanson; ecco perché Wilder in un certo senso col suo Sunset Boulevard aveva creato un capolavoro-omaggio al cinema che al contempo fu l’addio a un certo periodo glorioso della fabbrica dei sogni, benché fosse stato anche molto criticato dagli stessi padroni degli studios avendo lui smascherato con ironia e garbo tanti modi di fare oltre ai – tanti - modelli di potere). L’attore cantante austriaco Belakowitsch raggiunge a suo modo quel tocco di eleganza strafottente resa sullo schermo dal trio Wilder-von Strohheim-Swanson, tipico del loro tempo, riunendo nella sua performance a dir poco completa il ruolo di lui e di lei: basta pensare ai suoi passi (in)discreti sullo sfondo del palco, quando la Desmond-Hakvoort è in primo piano o al sinuoso movimento nell’abito di lei al momento in cui von Mayerling-Belakowitsch svela il suo vero passato di regista-mentore-primo marito di lei. Momenti di grande magia che bastano da soli per dire grazie alle Vereinigten Bühnen e alla Stiftung Haydn di Bolzano e Trento per aver coprodotto questo musical che chiude la stagione 2018-19 di teatro in lingua tedesca sotto la direzione di Irene Girkinger.