Società | Terzo statuto

“La Convenzione non sia un pretesto”

Per tirare fuori il tema della spaccatura etnica, per aggirare le responsabilità, per avvitarsi su posizioni granitiche. L’opinione di Claudio Corrarati, membro dei 33.
corrarati.jpg
Foto: YouTube/Autonomiekonvent

salto.bz: Corrarati, mettiamo subito in chiaro che il mondo dell’economia, che lei rappresenta al tavolo della Convenzione, non condivide l'“incriminata” bozza del documento finale.
Claudio Corrarati
: Come Rete economia non sposiamo il consenso di maggioranza riguardo alcuni punti specifici, come quello sull’autodeterminazione, che già erano emersi nel dibattito durante quest’ultimo anno e mezzo. Nella fase finale della penultima seduta, quando è stato chiesto dal presidente Tschurtschenthaler di avanzare eventuali relazioni di minoranza, non ho alzato la mano per un motivo: prima dell’ultima tranche il mondo economico ha intenzione di presentare, anche attraverso le altre confederazioni del Wirtschaftsring - rappresento con Alessandra Silvestri le associazioni degli imprenditori, degli albergatori, l’Apa e il Bauernbund -, un documento unico in cui vengano dichiarati i punti che non incassano il nostro benestare e che non rispecchiano le necessità delle imprese e dei lavoratori di questo territorio. Da parte nostra ci sarà quindi la volontà di dare un segnale forte in questo senso.

A proposito di Bauernbund, i contadini sono piuttosto vicini alle posizioni di Durnwalder, come si procede, allora?
Il Bauernbund è una delle punte di diamante della nostra economia. I contadini sono i primi a fornirci un esempio di come questa terra, pur restando radicata nei suoi confini, abbia dato dimostrazione di apertura mentale nel proporre tutta una serie di innovazioni nel campo dell’agricoltura - così come nel turismo, del resto - al resto d’Europa. Credo quindi che anche la rappresentanza del Bauernbund possieda un marcato spirito europeista. 

"Viviamo in una Provincia assolutamente leader a livello europeo in termini di best practice, è come dire che indossiamo un vestito di alta sartoria e poi all'interno il tessuto sembra non rispecchiare la stessa superlativa qualità"

Se l’economia, per vocazione, punta al futuro, la Convenzione sembra invece aver fatto emergere un avvitamento su posizioni conservatrici, chiuse sul passato, un risultato frustrante?
Io dico che non possiamo fare seminari e convegni dove spingiamo le aziende a guardare oltre i loro “confini” e dall’altra parte trovarci in mano un nuovo statuto che è più ermetico del precedente. Questo non è pensabile. Non siamo in grado di consegnare ai giovani e alle generazioni future una reale opportunità attraverso gli strumenti innovativi che abbiamo già a disposizione. Avevamo la possibilità, nel percorso della Convenzione, di essere, umilmente, 33 piccoli statisti, portatori di un interesse che andasse oltre quello personale e che avesse lo scopo di far prosperare il territorio in cui viviamo. Questo era il lavoro che si sarebbe dovuto fare, che andava coordinato anche a livello scientifico e capito, fin da subito, dalla politica.

Eppure, appena pochi giorni prima di “incartarsi” nella penultima, accesa, seduta del Konvent, a Merano si celebrava il modello tout court dell’Autonomia altoatesina insieme ai presidenti Mattarella e Van der Bellen.
Esatto. Viviamo in una Provincia assolutamente leader a livello europeo in termini di best practice, è come dire che indossiamo un vestito di alta sartoria e poi all'interno il tessuto sembra non rispecchiare la stessa superlativa qualità.

In questo senso ritiene la Convenzione un fallimento?
Il lavoro fatto finora ha fatto emergere con chiarezza le vere anime che caratterizzano questo territorio. Quando alcuni soggetti, all’interno della Convenzione, non facevano che esternare la necessità assoluta di staccarsi da tutto e da tutti per creare un proprio “Stato” indipendente dissi, già mesi fa, che questa visione era paurosamente affascinante. Mi spiego. È legittima e condivisibile, in questo nostro contesto territoriale, la propensione di ogni individuo a cercare di sentirsi gestore autonomo della propria realtà. Ma in un momento storico come questo reputo pazzesco usare una parola come “autodeterminazione”, nella sua accezione tradizionalmente utilizzata, possiamo trovare altre forme di espressione per dire all’Europa del Nord o al resto d'Italia che siamo un popolo responsabile a cui affidare nuove competenze e capacità gestionali. Va detto che in questo anno e mezzo c’è stato un ottimo lavoro di confronto, ma anche che una buona parte dei membri, compreso Durnwalder, più volte ha detto: “Se non chiediamo l’impossibile non otterremo nemmeno il possibile”, quando sarebbe invece stato opportuno fermarsi al “realizzabile”. Focalizzarsi ad esempio sul fatto, inammissibile, che nel 2017 ragazzi di 20 anni ancora fanno fatica a parlare il tedesco o l’italiano.

Ecco, proprio su temi come la scuola bilingue, ma anche l’eliminazione della clausola dei 4 anni di residenza per votare, o la proporzionale non si sono fatti evidentemente progressi.
Assolutamente no. Su questi argomenti si è mantenuto un concetto di conservatorismo molto forte. E se da una parte si sbandiera il sogno dell’autodeterminazione, dall’altra, sui dettagli operativi intendo, c’è stata una grande chiusura. È paradossale, direi. 

"Ho percepito [da parte della politica], per un certo periodo, questo voler lasciar fare, voler vedere su quale muro si sarebbe sbattuta la testa per poi cercare all’ultimo istante di prendere in mano la situazione e correggerla al fine di evitare problemi ancora maggiori"

L'autodeterminazione, un colpo di teatro, per così dire, da parte dell'asse Svp-Schützen, ma c’è chi evidenzia che in generale il gruppo italiano, che ora insorge, si sia svegliato tardi dal torpore manifestato durante le varie fasi della Convenzione.
Mi premere chiarire un punto: le persone che frequentavano questa Convenzione erano divise in alcuni macro-gruppi. Il primo costituito dalla Svp e dai gruppi collegati, poi c’erano rappresentanti politici, rappresentanti, soprattutto di madrelingua tedesca, ben organizzati, che insistevano sull’autodeterminazione del Sudtirolo, presentando di volta in volta analogie con altri Stati del mondo dove si riesce a fare quello che qui viene negato. Poi c’era una frammentazione incredibile che non coincideva, di fatto, con una vera rappresentanza italiana. Nel mio caso pur appartenendo al gruppo linguistico italiano rappresentavo 4 confederazioni dell’economia che al loro interno hanno identità di madrelingua tedesca, italiana e ladina. Sentivo perciò il peso di rappresentare non me stesso, non un “italiano”, ma un gruppo economico che in questo territorio guarda al futuro. Da parte mia c’è stato più volte un richiamo all’intervento esterno della politica perché dicesse la propria riguardo alcuni temi posti sul tavolo. Ma ho percepito, per un certo periodo, questo voler lasciar fare, voler vedere su quale muro si sarebbe sbattuta la testa per poi cercare all’ultimo istante di prendere in mano la situazione e correggerla al fine di evitare problemi ancora maggiori. In questo senso si è stati lasciati piuttosto soli. E allora diventa difficile farsi sentire, eccezion fatta per i soggetti politici che avevano necessità e interesse a prendere posizioni forti che risuonassero oltre la Convenzione dei 33. Noi che rappresentiamo un’intera società facciamo fatica ad agganciarci, come settore dell’economia, a un unico partito politico. Si sarebbe dovuto fare squadra dall’inizio ma in che modo se l’interesse ultimo era quello di emergere con posizioni singole per tracciare la linea della propria corrente politica? 

Il presidente della Convenzione dei 33 Tschurtschenthaler ha detto che alcuni membri del gruppo linguistico italiano sembravano, in diverse circostanze, addirittura intimoriti, è così?
Scoraggiati, piuttosto. Vede, è facile per un gruppo coeso come quello Svp dire la propria con la certezza che fuori dal circuito della Convenzione c’è un partito e un sistema che supporta quelle posizioni. Più complicato invece metterci la faccia e poi fuori non trovare punti di ancoraggio che diano sostegno. 

 "Credo sia riduttivo richiamare e riversare il tema della spaccatura etnica sulla Convenzione dei 33. È ora di finirla di mettersi in un angolo e lamentarsi".

Si fa un gran parlare di “spaccatura etnica” all’interno della Convenzione, c'è stata, a suo avviso? 
Direi che su certi punti ci si è distanziati in maniera molto decisa. C’è chi lo ha fatto più silenziosamente, chi in modo più plateale. Credo sia riduttivo richiamare e riversare il tema della spaccatura etnica sulla Convenzione dei 33. È ora di finirla di mettersi in un angolo e lamentarsi. Bisogna avere la capacità e la forza di uscire da quell’angolo e con competenza, qualità e professionalità rivendicare le proprie posizioni. Ma non è la Convenzione che deve determinare questa nuova stagione delle rivendicazioni. Si discute e ci si confronta al fine di avere le stesse opportunità per tutti. Ed è con la giornaliera attività che dobbiamo arrivare a dimostrare l’inesistenza di questa spaccatura, attraverso ad esempio la corretta gestione della governance amministrativa, o delle strategie politiche ed economiche. Non si devono puntare i riflettori sulle divisioni solo per interesse politico-elettorale durante il percorso della Convenzione, che sarebbe potuta essere un riassunto di questa attività quotidiana, un’occasione per analizzare ciò che accade fuori da questo contesto, ma così non è stato.

Crede che in un clima del genere si riuscirà a presentare in Parlamento un documento condiviso, anche con il Trentino? O c'è il rischio di fare una magra figura?
Andare a Roma con un documento condiviso, sinergico e ben strutturato, una sintesi fra Bolzano e Trento, permetterebbe non tanto di far vedere che siamo “i più bravi” quanto al Parlamento di dimostrare al resto del Paese che non è un privilegio quello che abbiamo in Provincia, ma che possediamo una serie di capacità di cui anche il resto del Paese può usufruire. Se ci presentiamo con una sfilza di micro-documenti, alcuni magari firmati da una o due persone, immagino che a livello nazionale ci si comincerà a domandare se quella capacità di gestirci la dominiamo davvero. Cerco per questo, fino all’ultimo, forse anche in maniera sbagliata o poco attiva, mi prendo le mie responsabilità, di realizzare un unico documento e portarlo, insieme ai Trentini, a Roma. Anche se all’interno del testo vengono riportati contenuti discordanti, dimostreremo così di saper armonizzare i dissensi. Se non siamo coesi diamo solo adito a chi dice che il Trentino-Alto Adige va trattato come tutte le altre regioni senza tener conto delle peculiarità del territorio. Sarebbe un’enorme perdita e sento già che abbiamo perso una grande opportunità.