Politica | Autonomia

“La riforma finirà nel cassetto”

Fabio Pizzi è il rappresentante delle Acli trentine nella "Consulta per l'Autonomia" di Trento: "Nessun dialogo con il Konvent a Bolzano, sono andati per la loro strada".
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Foto: Fabio Pizzi

Salto.bz: Venerdì a Bolzano saranno presentati gli esiti dei lavori della Convenzione, arrivati alle battute finali. Ma i sudtirolesi“in convento”, a giudicare dalle polemiche e per usare un eufemismo, non hanno dato il meglio di se. A Trento è in corso la consultazione online sul documento conclusivo della Consulta. Come va?

Fabio Pizzi: I percorsi della Consulta trentina e della Convenzione altoatesina sono un po' due piramidi rovesciate. In teoria, la Convenzione partiva con il grande coinvolgimento popolare per arrivare poi alla definizione del documento. La Consulta è partita al contrario: selezionando dalla società civile, dall'università, dalla politica, una componente che fosse uno specchio della società e da lì partisse con l'elaborazione di un primo documento, messo a punto entro gennaio. In questi mesi estivi, è partita la fase partecipativa – e potremmo avere molto da ridire sulla tempistica, perché andando in giro a luglio e agosto a parlare di autonomia, quando il tema di per se è ostico, non ci si può attendere una gran partecipazione.

Mi scusi, ma i lavori della Consulta quando si concluderanno?

Finita la fase partecipativa, entro qualche settimana si tornerà in aula, con l'invito a rivedere il documento portato in giro alla luce delle indicazioni emerse dal territorio, dalle categorie e da chi voleva esprimersi. Quello che dovremo fare lunedì 2 ottobre, alla prossima riunione. Sino a quando lavoreremo? Non si sa: la Consulta è stata prorogata allo scadere del primo anno, ovvero dal 5 settembre, per un altro anno “o fino a conclusione dei lavori”. Al massimo sino al 5 settembre 2018, ma probabilmente – questa la voce che circola – per metà dell'anno prossimo completerà i suoi lavori. Ci sono le elezioni, la palla dovrà passare al Consiglio provinciale di Trento che non si sa bene cosa farà di questo documento: dovrebbe pure confrontarsi col Consiglio provinciale di Bolzano, per farne uno solo.

Come ha vissuto sinora il lavoro di riforma dello Statuto?

Sono uno dei tre rappresentanti delle associazioni del territorio: io rappresento le associazioni del sociale, ma ho fatto fronte comune con le colleghe che rappresentano le associazioni ambientali e culturali. Dal nostro punto di vista, il lavoro è stato frustrante. Abbiamo raccolto le istanze delle associazioni che rappresentiamo, e rappresentano circa 200mila trentini, e abbiamo chiesto – con riscontro positivo da parte sia del presidente della provincia Rossi che dall'ex presidente Dellai – che venissero inseriti nello Statuto del Trentino le “culle fondanti” dell'Autonomia, come la Magnifica Comunità di Fiemme, o le Regole, ovvero quegli usi civici che rappresentano la declinazione storica importante per il Trentino.

E la reazione alla vostra proposta quale è stata?

Ci è stato fatto capire che non andava, perché poteva infastidire l'Alto Adige, e così non è stata inserita nel documento. Nessuna tra le proposte dei membri della Consulta appartenenti alla cosiddetta “società civile” è nel documento finale uscito a gennaio. La rappresentante delle associazioni culturali si era spesa moltissimo sul discorso della parità di genere, sul garante dell'Autonomia, su una proposta di partecipazione diretta e democratica sul modello della legge della partecipazione in Toscana. Tutte queste proposte sono state rispedite al mittente, “derubricate ad altre ipotesi” per dirla con il linguaggio giuridico della Consulta.

In una provincia dove è così importante l'impegno del volontariato e dell'associazionismo...

E pensare che avevamo detto in maniera non troppo velata che era il caso – per ciò che rappresentavamo come singoli e come collettività, perché il mondo sta cambiando – di inserire nel documento un accenno alle associazioni, in quanto rappresentano un sistema sociale che spesso sopperisce alle mancanze della politica. Vengo dalle Acli trentine, di cui sono stato vicepresidente e da quasi vent'anni dirigente nel Patronato, nel CAF e ora nella scuola professionale ENAIP, e posso garantire che molte volte - magari con contratti di servizio della Provincia – sopperiamo alle mancanze politiche. Nominare questo virtuosismo dell'associazionismo trentino? Non esiste, ci è stato detto. Allo stesso modo forse, sarebbe stato il caso, essendo Euregio (e Grenzland, terra di confine, anche se meno dell'Alto Adige) parlare di nuovi cittadini, di inclusione. Non è stato assolutamente recepito.

Quali saranno le vostre prossime mosse?

In ottobre torneremo in aula, come rappresentanti delle associazioni, e riproporremo le nostre proposte. Difficilmente verranno accolte. Il documento emerso è uno scheletro giuridico molto difficile da leggere. Avevamo chiesto che i contenuti della Consulta fossero più fruibili: ciò non significa considerare i trentini ignoranti, “o studiano o è meglio che non si confrontino con l'Autonomia” e poi alle giornate dell'Autonomia partecipano in tre. Andava semplificato il linguaggio, non i contenuti. Ci è stato detto che non era necessario tale lavoro di semplificazione, di trasmissione dei contenuti. Anche la partecipazione sui social è stata bassa. La risposta facile potrebbe essere quella di dare la colpa alle associazioni, ree di non portare la gente a partecipare. Ma le associazioni si sono sentite a un certo punto emarginate, questo posso garantirtelo.

La partecipazione agli incontri nelle valli è stata tanto bassa?

In val di Fiemme, dove c'è la Magnifica Comunità e da sempre un certo modo di intendere l'Autonomia, la partecipazione è stata buona. In molte parti del Trentino non è che ci fossero le persone che spingevano per entrare a parlare di Autonomia...

Secondo molti osservatori, la componente “secessionista” era sovra-rappresentata nella Convenzione sudtirolese; quella favorevole all'abolizione della Regione Trentino-Alto Adige era decisamente maggioritaria. È accaduto qualcosa di simile in Trentino?

No, all'inizio della Consulta si sono impadroniti i professori universitari (nominati persino come rappresentanti dei sindacati) ma non c'è stato questo tipo d'indirizzo. Anzi, noi abbiamo chiesto subito un incontro con la Convenzione altoatesina. Solo dopo quattro mesi si sono incontrati i presidenti, dichiarando di voler lavorare insieme. L'unico incontro che c'è stato, di fatto, tra membri della Consulta e della Convenzione è stato organizzato noi a Trento e vi hanno partecipato, da Bolzano, la rappresentante dei 100 Prisca Prugger e Riccardo dello Sbarba in rappresentanza dei 33 membri del Konvent.

A questo punto, quali sono le chance di successo del percorso di riforma, “sfalsato” tra le due Province a causa della totale assenza di dialogo?

Dal punto di vista dell'Alto Adige, vi è stato questo impossessarsi dei meccanismi della Convenzione da parte di Luis Durnwalder e della destra tedesca che ha portato a dire “questo vogliamo noi, cerchiamo l'autodeterminazione intesa tout court come secessione, e il Trentino s'arrangi”. Tagliando le gambe a chi in maniera ragionevole – come nel documento della minoranza in Alto Adige – sosteneva il dialogo con il Trentino. Da noi, per paura di disturbare l'Alto Adige (che avrebbe potuto fare quello che poi ha fatto) sin dall'inizio si è detto “facciamo un documento pulito, giuridico che parta dall'accordo di Degasperi-Gruber, presupponga soltanto dei punti di contatto senza andare ad aizzare con l'orgoglio trentino dell'Autonomia, della Magnifica e delle Regole, perché può dare fastidio agli altoatesini”. Il risultato è un documentino pulito, sicuramente faticoso da costruire, ma poco coraggioso e sterile. Non si potrà certo andare a dire all'Alto Adige “siamo stati carini e bravi”.

Il rischio concreto è quindi il fallimento della Convenzione come della Consulta?

Il grande rischio è che arrivino due documenti distinti nei rispettivi Consigli provinciali, li prendano e li mettano nel cassetto, perché ci sono elezioni alle porte: sconfortante per chi ha cercato di darsi da fare sin dall'inizio – meno dopo il referendum costituzionale del quattro dicembre, con risultati opposti tra Trento e Bolzano. Lì la Consulta doveva cambiare, trovare la volontà di diventare qualcos'altro, il coraggio di una modificazione genetica. Non avendo più l'urgenza di andare a rinegoziare l'autonomia con lo Stato, ma gettando le basi non tanto di un terzo statuto domani, bensì di un dialogo, d'un fronte comune con l'Alto Adige.

Quali responsabilità ha il Sudtirolo per quest'esito tutt'altro che positivo?

In Trentino si è detto “stiamo assieme, confrontiamoci, incontriamoci in aula in Consiglio regionale”, arrivando a redigere un documento neutro, un compitino. In Alto Adige hanno detto “cosa ci importa di loro, vadano a quel paese, noi andiamo per la nostra strada”. Bisognava avere il coraggio di dire all'Alto Adige di smetterla di fare giochetti semantici: non si può sentire che “la regione va bene se facciamo due regioni”. Allora prendi per i fondelli. Il quadro regionale va ripensato, ma è intoccabile per legge costituzionale – e per intelligenza: se salta l'unione regionale, salta l'Autonomia del Trentino come dell'Alto Adige.