Cultura | SALTO WEEKEND

Rovesciare l'odio

Presentata a Bolzano una raccolta di autori che esplorano le declinazioni del sentimento più lacerante e pervasivo della contemporaneità.
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Foto: Foto gadilu

Mercoledì scorso (18 ottobre) è stata presentata al “Picchio” di Bolzano la raccolta Odi. Quindici declinazioni di un sentimento (Effequ, 2017). Il libro comincia con un esergo spiazzante: “È uno de' vantaggi di questo mondo, quello di poter odiare ed essere odiati, senza conoscersi” (Alessandro Manzoni). Eppure è proprio una citazione del cattolico Don Lisander, come noto vicino alle posizioni del gruppo de “Il Conciliatore”, ad assumere qui il ruolo di segnavia per le escursioni lungo i quindici sentieri narrativi percorsi dagli autori esordienti in volume (ma non in assoluto, visto che la maggior parte ha già pubblicato nel vasto mondo delle riviste online), tutti alle prese col sentimento per definizione più lacerante.

L'odio, per l'appunto, del quale le note di copertina affermano essere quello che “più di tutti si affaccia nel nostro tempo”, ossia “negli sfoghi sui social, nei muri che si alzano o si vogliono alzare, nel rifiuto dello straniero, nella furia delle tifoserie, nelle difficoltà relazionali che degenerano e in innumerevoli altre forme, più sottili o più evidenti”. “Pensateci bene” – ha commentato Flavio Pintarelli (uno degli autori della raccolta e moderatore, assieme al collaboratore di Salto.bz Domenico Nunziata, della serata) interpretando la frase dell'autore de I promessi sposi – “non vi pare che qui Manzoni alluda a Facebook”?

Il compito di parlare a braccio del contenuto del libro era affidato al suo curatore, il fiorentino Gabriele Merlini, il quale prima di tutto ha voluto essere rassicurante: “Anche se il tema potrebbe sembrare uno strazio, gli autori sono riusciti a metterne in evidenza i lati persino buffi”. Scendendo poi nel dettaglio dell'assemblaggio, Merlini ha parlato del suo lavoro, che è consistito soprattutto nello scegliere la sequenza dei contributi in modo da evitare sovrapposizioni, ottenendo così un numero quanto più ampio di sfaccettature e un risultato programmaticamente eterogeneo (“sia per quanto riguarda gli spunti, sia per gli stili compositivi”). “Sono tempi piuttosto rabbiosi questi in cui viviamo”, riassume alla fine, e affrontarli diluendo il torbido impasto fatto di istinti bellicosi, frustrazioni mal digerite e impulsi vendicativi attraverso il medium della scrittura è un modo per dare un po' di luce alla contemporaneità (se non per redimerla, almeno per illuminarla).

Due esempi, due assaggi del libro sono stati forniti da Daniele Gambetta (che insieme a Danilo Pettinati è autore del racconto “Red Salmon”: “una sorta di distopia ironica” ricamata sul viscido concetto di “fake-news” e di ciò che esso implica all'interno del dibattito su verità e uso strumentale dei dati nel mondo della comunicazione) e, come accennato all'inizio, da Pintarelli ("Il Carnevale in cui ho imparato a odiare i miei vicini"). Il bolzanino ha qui deciso di affrontare in chiave narrativa la vecchia contrapposizione etnica tra italiani e tedeschi, rievocando un episodio della sua gioventù (e di quella di molti ex ragazzi locali). La preoccupazione principale, però, non era quella di fornire un contributo storico o sociologico, e neppure quella di restare aderente punto per punto al proprio vissuto. Il racconto costituisce piuttosto il rovesciamento della mimes più scontata, visto che il protagonista (trattato in seconda persona) è un tedesco che a Carnevale medita di infliggere una punizione tardiva ai Walschen, i quali l'avevano umiliato l'anno precedente.

Assumendo paradigmaticamente il ruolo dell'altro – questa forse la chiave di lettura più persuasiva – il sentimento dell'odio viene decostruito lungo il confine di appartenenze di fatto interscambiabili, ridotto a un grumo di rancore “infantile” e perciò reso inconsistente all'apparire di un'istanza superiore (nel racconto è la trasfigurazione del padre dell'autore, sopraggiunto a scongiurare il progetto di aggressione fin troppo a lungo stupidamente mediatato). Verissimo a proposito del nostro piccolo microcosmo conflittuale – in cui chi pratica l'odio lo fa in forme stereotipate, essendo costretto ormai ad appoggiarsi ai fondali di cartapesta della storia passata –, purtroppo in altri luoghi e contesti la diagnosi riesce meno leggera, non restando circoscrivibile ad una mera fenomenologia del quotidiano.

Rimane l'acquisizione di fondo. Una ricognizione narrativa sull'odio è oggi utilissima perché – come ha scritto Carolin Emcke nel suo Gegen den Hass – “condannare l'odio e la violenza non è abbastanza”. Occorre, piuttosto, seguirne la variegata espressione per indicare il punto in cui ci sarebbe stata la possibilità di interromperne o rovesciarne il corso. Un compito che può trarre spunto dalla letteratura, ma che deve essere poi svolto da ognuno di noi.