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Vietato piangere

In Baby Blue, graphic novel che porta la firma di Bim Eriksson, si immagina la dittatura della felicità.
Baby Blue
Foto: ADD EDITORE

Un mondo distopico dove sorridere è un obbligo comportamentale; una società che impone ai suoi abitanti di non provocare alcun turbamento; una struttura che sorveglia le abitudini individuali: ecco quello che immagina Bim Eriksson in Baby Blue, graphic novel pubblicata quest’anno da add editore nonché prima opera tradotta in italiano della giovane fumettista svedese. Attraverso le tavole colorate di blu – colore sentimento che traduce visivamente l’espressione inglese “I fell blue”, “mi sento triste” –, si accompagna Betty che da cameriera in un café diventa membro di un gruppo di donne resistenti. Convocata all’istituto di psichiatria e di salute popolare per ricevere delle flebo di stabilizzatore emozionale, Betty conosce Berina. Da quest’incontro fortuito l’esistenza di Betty cambia radicalmente: inizia a comprendere che la felicità non può essere obbligata per legge, che la tristezza è un’emozione legittima e, con il nome di Baby Blue, decide di combattere quello Stato di polizia che fa del benessere psicologico un diktat a cui è difficile sottrarsi.

La felicità non può essere obbligata per legge, la tristezza è un’emozione legittima.

La salute come obbligo è diventato qualcosa con cui tutti negli ultimi anni ci siamo dovuti confrontare. Mai come in questo periodo storico posizioni sanitarie divergenti da quelle governative sono state ritenute “deviate” e perseguibili, un panorama che fa della lettura di Baby Blue un’occasione di riflessione e analisi politica. L’emergenza pandemica ha, infatti, mostrato come il potere dello Stato possa travalicare il limite della libertà personale imponendo trattamenti sanitari ed escludendo dalle attività quotidiane chi decide di sottrarsi a determinate imposizioni. Tale violenza statale è qualcosa che le persone con fragilità psicologica conoscono da vicino. Sebbene non sia ancora stato istituito un apposito ministero che si occupa di tracciare ogni sintomo di devianza psichica così come nella graphic novel di Eriksson, la tendenza a psichiatrizzare tutte le forme di umana difficoltà è una realtà. Il disagio e il malessere sono stati d’animo che rischiano di far diventare un individuo un paziente e una debolezza un caso clinico. Se inseriti all’interno di uno standard da osservare, ognuno rischia di non rispettare le rigide griglie comportamentali: essere più felici di quello di quello che il parametro richiede significa mostrare un’eccessiva euforia, essere più tristi vuol dire manifestare una forma di depressione. La facilità con cui si medicalizzano gli stati d’animo ha come diretta conseguenza un uso eccessivo di psicofarmaci. Non solo il consumo di psicofarmaci utilizzati per combattere ansie, nevrosi, attacchi di panico e insonnia è aumentato, ma è notizia di pochi mesi fa che il 10,8% dei ragazzi italiani tra i 15 e i 19 anni ha assunto psicofarmaci senza prescrizione medica nel 2022. Nulla di cui sorprendersi se si pensa che lo Xanax è diventato un oggetto pop: in commercio si trovano ciondoli con la forma della struttura molecolare dell’ansiolitico e “Mens sana in corpore xanax” è una frase che si vede stampata sulle magliette. Rendere uno psicofarmaco un gadget non spoglia però la fragilità psicologica dal peso dello stigma, piuttosto fa del benessere mentale uno stato da mantenere a ogni costo e in ogni situazione.

Il disegno ricercato, lo stile grottesco, l’accuratezza della trama fanno di Baby Blue una lettura da consigliare anche a chi non è interessato ai temi di argomento psicologico. Le tavole di Eriksson sono ricche di dettagli ma le fattezze delle figure rimangono poco definite: i corpi sono imponenti e sproporzionati rispetto alla dimensione dei visi, gli occhi sono privi di pupille, diversi personaggi indossano maschere buffe. Una scelta che non toglie credibilità alla narrazione ma stuzzica l’immaginazione e permette a chi legge di integrare la storia con la propria fantasia. Quella di Bim Eriksson è dunque una graphic novel che può essere attraversata anche concentrandosi sullo spessore artistico dell’autrice, ma, a mio avviso, sarebbe un vero peccato non riconoscerle tutto il significato che porta con sé.