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Il prete in miniera

Moriva vent’anni fa don Giorgio Cristofolini. Indimenticato (ma a volte dimenticato) protagonista della nostra storia.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.

Il 23 settembre 1993 si spegneva Giorgio Cristofolini. Vent’anni fa.

Trentino di nascita e altoatesino di cuore, fu il prete degli operai (quelli che nemmeno i sindacati…) e dei minatori (quelli che “ma chi te lo fa fare”…). Un pastore “con l’odore delle pecore”. Ammirava gli “uomini della valigia”: quelli che sono costretti, loro malgrado, a lasciare la Heimat in cerca di un futuro migliore per i propri figli. Hanno una valigia “piena di speranze”.

Fondò e diresse a lungo Il Segno, seguendo alcuni pochi grandi principi che lasciò in eredità al suo indegno successore: dare voce a chi non ha voce, scrivere sempre nell’ottica del dialogo e mai dare fiato ai nazionalismi. A costo di perdere consenso (e lettori).

Lavorò dietro le quinte – consigliere assai ascoltato da Joseph Gargitter, da Giorgio Pasquali e da molti altri – a promuovere la causa della pacificazione tra i gruppi linguistici dell’Alto Adige.

Fu attento, finché ebbe il fiato di salire le scale della redazione, a riconoscere e a leggere i segni dei tempi.

Il 24 settembre 1993 avevamo fissato la presentazione del libro (intervista autobiografica) Un prete in miniera. Era lui, il prete in miniera. Morire il giorno prima fu il suo modo di essere presente.