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“Eppur si muove!”

Due episodi portano per l’ennesima volta al centro delle cronache il cruccio dell’apprendimento linguistico nella nostra terra.
Aldo Mazza
Foto: Youtube

Il primo episodio è legato ad una dichiarazione di Philipp Achammer, che qualche giorno fa, all’Eurac, davanti al Landesbeirat der Eltern afferma: “Wir müssen in Süddtirol endlich verstehen, dass Mehrsprachigkeit und Offenheit gegenüber anderen Sprachen nicht mit dem Verlust von etwas anderem bedeutet”. Se impariamo e siamo aperti verso altre lingue, non perdiamo niente. Sembrerebbe un’ovvietà, confermata tra l’altro da tutta la ricerca scientifica in questo campo, ma ci appare coraggiosa se rivolta al gruppo di lingua tedesco della nostra provincia dove è ancora molto radicata la convinzione opposta da parte dai difensori ad oltranza della lingua della minoranza. Gliene va dato atto.

Poi arriva il senatore Francesco Palermo che presenta un disegno di legge che aggiunge un comma al famoso Art. 19. La proposta di Palermo ha il merito di mettere le mani su un tabù quasi intoccabile, l’Art. 19 appunto, e lo fa introducendo nella norma statutaria la possibilità di creare all’interno delle singole scuole “classi con insegnamento paritetico in lingua italiana e in lingua tedesca in ogni scuola della provincia di Bolzano”. Questa possibilità viene concessa in presenza di una richiesta da parte di un certo numero di genitori e deve avvenire nel pieno rispetto dell’autonomia delle singole scuole. Sulla falsariga della scuola ladina, per intenderci, e ufficializzando quanto già da alcuni anni si sta realizzando con diverse sperimentazioni nella scuola in lingua italiana.
“Eppur si muove!”, mi verrebbe da dire.

"Il bilinguismo diffuso è ancora lontano e qualcosa di significativo va fatto. Ne va del futuro dei nostri figli."


Come da copione adesso probabilmente assisteremo al solito dialogo tra sordi. C’è il rischio che il coro delle reazioni riproponga il solito tormentone che si andrà poi esaurendo lasciando tutto così com’è. Per alcuni significherà spingersi “troppo in là”, per altri sarà “troppo poco”. Ognuno confermato nella propria posizione e in attesa della prossima fiammata. Ma forse non andrà così. Questa potrebbe essere l’occasione per provare a creare un nuovo clima di dibattito sereno che ci dia la possibilità di riflettere e intervenire per una necessaria svolta nella politica linguistica nella nostra terra. Il bilinguismo diffuso è infatti ancora lontano e qualcosa di significativo va fatto. Ne va del futuro dei nostri figli.

I tempi, secondo me, sono maturi, a patto di non caricare il tutto di aspettative esagerate e di essere disposti anche a cambiare qualcosa come individui. Cerco di motivare brevemente questa mia sensazione con alcune riflessioni.

Il gruppo di lingua tedesca si è sempre mosso con estrema diffidenza in questo campo, sostenendo che una minoranza linguistica si tutela solo garantendo ad essa la possibilità di studiare nella propria madrelingua. È un argomento da prendere sul serio. I sudtirolesi vengono da una situazione in cui l’uso del tedesco era stato loro proibito; non c’è da stupirsi che abbiano voluto codificare il loro diritto ad una “scuola tedesca” nello Statuto d’autonomia. Pur comprendendo queste ragioni, non può però essere ignorato il fatto che la lingua tedesca non appare per fortuna più in pericolo, anche grazie al forte impegno in questo senso della comunità di lingua tedesca. Chi agita questo argomento non è più credibile e ha lo sguardo rivolto unicamente al passato. Per questo credo sia venuto il momento di ampliare i modelli scolastici nella provincia di Bolzano e soprattutto modificare l’atteggiamento di chiusura verso l’apprendimento dell’italiano e verso l’elemento italiano in generale. “Senza paura di perdere qualcosa”, come dice Achammer.

"Mi è chiaro che sarebbe ingenuo credere che la proposta di Palermo o il segnale di apertura di Achammer rappresentino la soluzione finale del 'problema'"

Il gruppo di lingua italiana dopo anni di chiusura totale, quasi una rimozione del “tedesco”, dimostra, a partire dagli anni ottanta, una forte fame di bilinguismo. Si potrebbe dire che questo è normale, visto che fa parte della maggioranza nazionale e quindi non ha un certo tipo di paure tipiche delle minoranze. Credo che questo tipo giudizio sia ingiusto e che invece vada apprezzata questa nuova consapevolezza anche quale dimostrazione di rispetto e riconoscimento della minoranza “tedesca”. Gli altoatesini di lingua italiana devono piuttosto fare i conti con una certa ansia d’apprendimento che li potrebbe danneggiare. Anche qui c’è un atteggiamento da cambiare.

Mi è chiaro che sarebbe ingenuo credere che la proposta di Palermo o il segnale di apertura di Achammer rappresentino la soluzione finale del “problema”. La proposta di Palermo è un passo significativo che non riguarderà però la totalità degli studenti. Il suo valore sta nel fatto di aprire una breccia nelle nostre teste e nel sistema. C’è molto ancora da fare perché, nel caso venisse approvato il comma, le scuole rimarrebbero separate, anche se con classi bilingui. “Ciò che viene appreso a scuola viene impiegato nel cortile…” raccomanda la professoressa Lynne Chrisholm e da noi i cortili sono e rimarranno ancora spesso diversi. Ed è “nel cortile” che la lingua appresa a scuola può effettivamente svilupparsi.

Conoscersi, parlarsi, informarsi, inter-agire: “più abbiamo a che fare con gli altri, meglio ci comprenderemo” afferma Alexander Langer nel suo Decalogo della convivenza. Questo è quello che dovremo sempre più fare per conoscere l’altro e la sua lingua. Uno sforzo che sarà compito della scuola con il suo modello organizzativo, ma anche di ognuno di noi.