Società | Riflessione

Il volto del mio Anno Nuovo

Il desiderio di un letto e due pasti caldi per centinaia di persone che giacciono al gelo negli angoli bui di Bolzano.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.

Stavo immaginando il volto che potrebbe avere il mio anno nuovo. Ogni anno ne ha, per me, uno specifico. Fra i più remoti riportano alla memoria il più delle volte quello della zia Flutura, in italiano la zia Farfalla, che da Tirana portava con sé le sue ricette “rubate” di nascosto dalle riviste francesi o da quelle ungheresi. Erano pur sempre ricette straniere, ma una volta all’anno si poteva peccare. I peccati come quelli, da una porta del tempo all’altra, non pesavano. Non potevano pesare non trovando abbastanza posto. Da noi la festa di Natale non è esistita per 50 anni. Tuttora per molti è solo un pretesto per mangiare assieme, scambiare dei saluti ma senza che ci sia un senso pagano e misterioso come quello della festa dell'anno nuovo, del 31 dicembre che muore per portare in vita il 1 gennaio.

Il 31 dicembre liberava cose, situazioni e cibi vietati per tutto l’anno. Dalle mandorle alle arance, dal tacchino all'arrosto con l’uovo sodo dentro, alla maionese fatta rigorosamente a mano. E di questo si occupava la zia Farfalla, che era capace di rompere 10 uova fresche mentre leggeva la ricetta con quegli occhiali tipicamente francesi, e contemporaneamente cantare a voce bassa versi di Yves Montand dalle “Les Feuilles Mortes”. Mentre sbatteva i tuorli ci raccontava come il grande Yves si innamorò di Edith Piaf e quale vera passione fu quella per Simone Signoret. Di solito la zia arrivava di mattina o di pomeriggio. Il 31 a scuola ci facevano fare lectio brevis e noi eravamo già a casa verso le 10 e 30. Nell'entrare nel palazzo, in quei nostri palazzi gobbi e decolorati, si sentivano odori pungenti balcanici e orientali. Durante l’anno il pollo non si mangiava spesso e mai il tacchino. Perciò prima di capodanno compravamo un tacchino vivo, che si trovava il 31 al mattino, con il collo spezzato dentro una pentola gigante e grigia. Nessuno faceva caso agli occhi spalancati del nostro amico che ci aveva fatto compagnia per almeno una settimana. Nella nostra famiglia il tacchino è entrato vivo solo una volta. Chiuso in bagno. Fu orrenda quella esperienza, soprattutto per mio fratello che ogni volta che aveva necessità di utilizzare il bagno, si ritrovava a fissare il povero animale con gli occhi semichiusi e non riusciva a fare niente, neanche una goccia di pipì. Usciva con un'espressione malinconica pregando la mamma di lasciare vivo il pennuto. Infatti non era mia mamma che si sporcava le mani di sangue. Non ne sarebbe stata capace. Al contrario della nostra vicina di casa, Fatima, che, come tutte le altre donne del palazzo, fuori nel cortile in una bacinella con acqua bollente avrebbe tagliato la testa e spellato il suo tacchino e anche il nostro. In seguito sul cortile si vedevano delle strane nuvole di piume a colori. Fu la prima e l’ultima volta. Nella nostra famiglia era usanza che i piccoli per il  31 dovessero assolutamente andare a letto verso le 13 e svegliarsi verso le 17 e 30. Gli adulti dovevano avere spazio per cucinare e per sistemare delle pietanze giganti con uova sode, pezzi di vitello stufato, cosce di pollo caramellate e polpette di macinato speziato. Perciò noi andavamo a letto nella nostra stanza chiudendo la porta. Il buio arrivava al galoppo ed è forse per questo che quel risveglio a fine tramonto con la luce gialla che entrava dalla cucina nel corridoio per poi arrivare dentro la nostra stanza, con odori di fritto e di cotto, di cioccolata e di burro, le voci degli adulti, della zia, di mio padre, della mamma, ci sembravano i richiami delle sirenette. Tutti e due in pigiama ci precipitavamo in cucina per baciare la zia e dare un'occhiata ai piatti nascosti un po’ dappertutto. Dopo il discorso del primo ministro il tavolo era pronto, potevamo buttarci sui piatti sbavando elegantemente. Piatti piccoli per le olive e il formaggio di capra, grandi e ovali per le polpette di cavolfiori e spinaci, rotondi per le fette larghe di arrosto e piatti medi per riso in bianco al burro con sopra un pezzo di tacchino al forno. Il mangiare e il parlare si placava verso le 23 e 30 ma si rianimava velocemente alle 12 quando suonavano alla porta e davanti a noi appariva Gjyshi i Vitit te ri (Babbo Natale). Era lui, con baffi di cotone bianco messi a stento sotto il naso e con addosso un costume rosso acceso e una cappuccio ridicolo sulla testa. Sulle spalle portava un grande sacco color marrone con dentro altri sacchetti di plastica trasparenti. Era proprio lui, si vedeva lontano un chilometro: il marito di mia zia. Per accontentarlo facevamo finta di non conoscerlo e di non esserci accorti quando verso le 23 e 50 si alzava dal tavolo e sgattaiolava fuori dalla cucina. Ognuno il suo sacchetto di plastica con dentro un paio di castagne arrostite, due o tre mandorle, noci, due mandarini, una mela, un melograno e tre o quattro biscottini. La mattina dopo il bagno era sempre occupato e il papà stava ancora un po’ a letto ascoltando la musica classica che trasmetteva la radio il primo giorno dell'anno. Era bella la notte, e anche addormentarsi tra le braccia dei cugini, per terra, su materassi improvvisati. Uno con il piede dell’altro sul naso.

* * *

Ho immaginato il volto del mio Anno Nuovo questi giorni prefestivi mentre leggevo quello che mi scriveva la mia amica riguardo ai profughi: … sotto i ponti era angosciante. C'era spazio solo per strisciare dentro. Un freddo incredibile. Corpi vivi in questa specie di bare. Quando sono andata a vedere piangevo. Ho pensato che sopra questi ponti passano mille persone al giorno . È come se sotto i loro piedi respirassero in silenzio centinaia di corpi viventi invisibili”.

Si, siamo a fine anno 2015. Tutto è cambiato. Io mi trovo lontana dalla mia casa, lontana dal mio mare e dalla mia terra, dai miei parenti e dal cimitero dei miei nonni. I miei desideri per l’anno nuovo man mano che invecchio sono diventati seri e sobri, quasi noiosi. Ritornando indietro vorrei che ci mancasse qualcosa per poter essere felici con una sola mandorla e una sola mela. Il volto del mio Anno Nuovo sarà il desiderio di un letto e due pasti caldi per centinaia di persone che giacciono al gelo negli angoli bui di Bolzano. Non m’importa da dove vengono e verso dove sono diretti, non m’interessa quali siano “le carte” e “le regole” che li trattengono come degli internati lontani dall’occhio garbato. Il volto di questo anno nuovo sarà anche la pace della donna e dell'uomo che di sera appoggia la testa sul cuscino e dorme sereno, sapendo che là fuori, a fine dicembre, degli esseri umani si sforzano di addormentarsi dopo aver placato la fame con un panino o, peggio ancora, con del pane improvvisato con farina, sale e acqua.