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Il terzo settore di fronte alla crisi

Le risposte possibili della cooperazione per superare le attuali difficoltà. Intervista di Alex Baldo a Carlo Borzaga, presidente di Euricse ed esperto di terzo settore.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale del partner e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
Il terzo settore di fronte alla crisi
Foto: Coopbund

Partiamo dal fatto che il momento che stiamo vivendo è assolutamente straordinario ed imprevedibile per tutti. Da un punto di vista sociale il 2020 è stato un anno che ha messo a dura prova soprattutto il sistema dei servizi sociali e sanitari. A partire da inizio 2020 abbiamo vissuto un susseguirsi di misure preventive volte soprattutto a contrastare il dilagare dell’epidemia. Al di là delle molte conseguenze in ambito sociale, non possiamo però evitare di tenere in considerazione anche le ricadute economiche che stanno colpendo i mercati con un forte impatto anche sul terzo settore. Per analizzare la situazione da un punto di vista socio-economico, abbiamo intervistato il Professor Carlo Borzaga, presidente di Euricse ed esperto di terzo settore e non profit.

 

Prof. Borzaga, quali differenze ci sono tra questa crisi e quella economica del 2008?

La crisi del 2008 aveva colpito in maniera uniforme molti settori e ambiti diversi, ma non particolarmente i servizi e ancora meno quelli alla persona. Questa emergenza, invece, ha colpito anche, se non soprattutto l’ambito dei servizi in generale e alla persona. Pensiamo alle molte strutture sanitarie, alle residenze per anziani e ai servizi per persone con disabilità. Ma non dimentichiamo neanche la scuola che ha trovato non poche difficoltà per reinventarsi un tipo di didattica differente da quella tradizionale.

Quanto è forte questa crisi nel terzo settore?

L’impatto sul terzo settore è stato e continua ad essere indubbiamente molto forte. Bisogna però sottolineare che molte cooperative in quanto imprese hanno potuto beneficiare di una serie di misure governative di sostegno più degli altri enti del terzo settore. Molte associazioni infatti non hanno potuto beneficiare di questi aiuti nonostante le ricadute economiche negative. Pensiamo ad esempio alle molte case di riposo costituite in forma di fondazione che hanno potuto contare su sostegni del tutto inadeguati.

In Italia non abbiamo ancora capito che i servizi offerti dal terzo settore sono davvero rilevanti, spesso anche più di quelli offerti dalla pubblica amministrazione

Cosa si poteva fare per il terzo settore oltre agli aiuti economici?

Bisogna riconoscere che durante questo periodo diversi enti di terzo settore e in particolare molte imprese sociali che avevano in essere contratti con amministrazioni pubbliche hanno dovuto interrompere del tutto o in parte l’attività o hanno visto aumentare i costi. Il che significa che chiuderanno i bilanci in perdita, rischiano la sopravvivenza e quindi anche la riapertura dei servizi. Non dimentichiamo che molti servizi sociali e alla persona dipendono proprio da queste organizzazioni. Sarebbe stato importante riconoscere loro sia i maggiori costi sostenuti sia, del tutto o in parte i costi fissi, in modo da aiutarli a mantenere un ragionevole equilibrio economico-finanziario.

Il mondo del terzo settore che in questi anni, anche a causa della diffusione della pratica delle gare d’appalto, aveva sviluppato comportamenti competitivi, nel corso della crisi sembra avere rivalutato le relazioni collaborative, anche tra volontariato e forme più imprenditoriali.

Cosa ci lascerà questa emergenza a breve e medio termine?

A breve termine, e quindi entro la fine di quest’anno, la situazione sarà molto differenziata. Ci saranno sicuramente molte cooperative che operano, per esempio, nel settore dei beni alimentari o delle sanificazioni che chiuderanno l’anno con dei risultati migliori rispetto al passato. D’altro canto ci saranno anche molte cooperative che riporteranno perdite importanti.
Per quanto riguarda invece le prospettive a medio e lungo termine è possibile cogliere alcuni segnali interessanti. Per prima cosa le nuove opportunità offerte dalla tecnologia che ha svolto un ruolo fondamentale nel 2020. Se pensiamo ai servizi alla persona o all’ambito educativo devo dire che la cooperazione sociale ha risposto prima e meglio rispetto alle altre istituzioni. Nella prima fase molte scuole pubbliche non sono nemmeno riuscite ad attivare la didattica distanza. Per quanto riguarda invece i servizi domiciliari svolti a distanza con l’uso della videoconferenza molti educatori si sono detti soddisfatti di questa nuova modalità perché hanno così avuto l’opportunità di entrare virtualmente nelle case degli utenti e vedere da vicino l’ambiente in cui vivono. In secondo luogo, ho rilevato un aumento delle collaborazioni. Il mondo del terzo settore che in questi anni, anche a causa della diffusione della pratica delle gare d’appalto, aveva sviluppato comportamenti competitivi, nel corso della crisi sembra avere rivalutato le relazioni collaborative, anche tra volontariato e forme più imprenditoriali.

Il tema degli appalti è sempre un nodo da sciogliere?

Sicuramente. Trovo assurdo che due soggetti che hanno gli stessi obiettivi si rapportino secondo logiche competitive. Altrettanto assurdo è usare strumenti come le gare d’appalto che non consentono di tenere nel dovuto conto la qualità dei servizi offerti dai diversi concorrenti.  Il rischio è che le cooperative o si mettano d’accordo prima, rischiando di finire in tribunale, oppure entrino in concorrenza. Quando poi la scelta del vincitore è fatta soltanto sulla base del prezzo o quasi, si crea evidentemente una situazione aberrante di peggioramento della qualità dei servizi e delle condizioni di lavoro.

C’è speranza sul fronte della coprogettazione e coprogrammazione con la pubblica amministrazione?

L’obbligo di ricorrere alle gare di appalto anche nell’affidamento di servizi sociali e di inserimento lavorativo ha creato anche alle amministrazioni locali non pochi problemi. Fino ad oggi un sindaco di un piccolo paese che voglia istituire un servizio a supporto di un limitato numero di suoi cittadini deve ricorrere ad una gara d’appalto anche per poche decine di migliaia di euro. Con la possibilità non tanto remota che vinca una cooperativa di un altro territorio che non conosce nulla di quel comune e della sua cultura e che magari deprime le remunerazioni degli operatori avendo vinto la gara solo grazie a un eccessivo ribasso. Per questo motivo, in tutti questi anni non solo le organizzazioni di Terzo settore, ma anche le pubbliche amministrazioni hanno cercato modelli di affidamento alternativi. Per fortuna il Codice del terzo settore ha introdotto l’articolo 55 che prevede la possibilità di ricorrere invece che agli appalti alla co-programmazione e alla co-progettazione di tutti i servizi. Un articolo che però non è piaciuto all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) che ha chiesto un parere al Consiglio di Stato il quale ha sostenuto la sua inapplicabilità. Fortunatamente la Corte Costituzionale, investita della questione, ha demolito il parere del Consiglio di Stato, sostenendo l’importanza della coprogrammazione e coprogettazione in quanto strumenti efficaci ed efficienti.

Quali risorse troviamo nella co-programmazione?

Co-programmare nei servizi sociali vuol dire coinvolgere fin dall’inizio del processo, cioè già dall’individuazione e quantificazione dei bisogni, tutti coloro che vi possono contribuire con informazioni, conoscenze e risorse. L’errore che si rischia di fare è quello di ritenere che comunque debba essere sempre la pubblica amministrazione a farsi carico dell’avvio e della conduzione di questi percorsi. Invece essi possono essere avviati da qualsiasi soggetto, pubblico e di terzo settore.  Ricordiamoci che molti dei servizi sociali ed educativi su cui oggi possiamo contare non sono nati per iniziativa di qualche pubblica amministrazione, ma direttamente dalla società civile, da quelle organizzazioni che oggi chiamiamo di terzo settore.

Per concludere quindi: terzo settore o primo settore?

Primo e per diverse ragioni. Perché si è sviluppato – e non poco – prima di Stato e Mercato. Perché i servizi che offre hanno un impatto primario sul benessere e la coesione sociale. In Italia non abbiamo ancora capito che i servizi offerti dal terzo settore sono davvero rilevanti, spesso anche più di quelli offerti dalla pubblica amministrazione e di molti prodotti offerti dal mercato. Ma c’è purtroppo ancora una cultura che non riesce proprio a fare questo ragionamento.