Cultura | Un caso musicale

Dalla, Bonaga e la storia di "Cara"

Una delle più belle canzoni d'amore degli ultimi decenni raccontata nella sua genesi. Un testo nella realtà non di Lucio, ma che gli è appartenuto alla fine della vita
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Foto: Screenshot
Può il testo di una canzone non scritto da te - ed è un quesito iniziale e finale - disegnare a perfezione, quasi fotografandolo, quello che sarebbe stato l'ultimo momento della tua vita?
Nel bellissimo cimitero bolognese della Certosa, in questa fine d'aprile a metà tra qualche pioggia e tentativi sempre più pressanti di tepore, non distante da quelle di Giosuè Carducci e Roberto Roversi, è facile trovare la tomba di Lucio Dalla, "musicista, poeta, maestro di vita"; e riconoscerla subito, a prima vista, per via della sagoma di Lucio ad altezza d'uomo, con bastone, cappello e clarino, ricostruita da una foto scattata nelle amate e remote IsoleTremiti.
Se statutariamente ogni tomba reca con sé il tentativo vano (e sulla lunga distanza perduto in partenza) di sconfiggere l'oblio che inevitabilmente arriverà, per Lucio la morte deve comunque tuttora impegnarsi parecchio e metterci più fatica del previsto per azzerarne il ricordo, essendo tuttora assai forti i tentativi di resistenza della vita: i mazzolini di fiori, i bigliettini, le piccole pietre, gli oggetti, ex voto laici per un cantautore entrato in qualche modo, e in modi talvolta anche diversi e traversi, nella sfera affettiva di decine di milioni di italiani.
 
Una scritta, ben visibile, sul fondo della lapide, riporta l'estremo saluto scelto per lui: "Buonanotte, anima mia/Adesso spengo la luce, e così sia", la strofa finale di "Cara".
Curioso, e molto particolare, è il destino di questa canzone. Nata normale, bella tra le belle senza particolarmente ambire, richiesta ma non richiestissima, amata ma non amatissima, è andata via via affermandosi scovando accumuli di sempre maggiore brillantezza attraverso il filtro del tempo. Fino al punto di essere adesso considerata tra le più belle canzoni d'amore degli ultimi decenni, probabilmente anche a causa della prodigiosa interpretazione di Fiorella Mannoia al concerto bolognese in memoria di Lucio.
 
Fiorella Mannoia - Cara (live Tour "SUD"), per clohill
 
Una parte del suo successo si deve però anche a qualcosa di particolare che la caratterizza, al suo essere anomala rispetto al consueto modo di Dalla di raccontare i sentimenti; un modo, il suo, solitamente "oggettivato", descritto "in generale".
 
Mentre "Cara" disegna una storia completamente diversa, personale, ossia l'amore, con anche i suoi tratti onestamente patetici e disperati, tra un maturo signore e una ragazza assai più giovane: "Conosco un posto nel mio cuore/dove tira sempre il vento/per i tuoi pochi anni/per i miei che sono cento" che spinge lui nell'abisso dello sconforto fino al pericolo personale: "E devo stare attento/a non cadere nel vino".  
Questa particolarità di composizione del testo spinge a una domanda: chi ha veramente scritto "Cara"? Come è nata questa "canzone per ogni pentimento"? L'ha scritta davvero Dalla come risulta ufficialmente?
Si sussurra, da qualche parte, e la cosa gira anche in rete, che a scrivere il testo sia stato in realtà il filosofo bolognese Stefano Bonaga, grande amico di Lucio. Il quale Bonaga, ai tempi, non essendo iscritto in Siae, avrebbe ricevuto da Dalla in dono, e per ricompensa, una Citroen due cavalli verdina.
Vero oppure leggenda metropolitana?
Sarebbe facilissimo togliersi ogni dubbio, se solo Stefano Bonaga non fosse Stefano Bonaga; se cioè dietro la sua apparente bonomia tipica delle cosche di gaudenti bolognesi non si celasse una feroce intransigenza nella scelta del silenzio. Peraltro, quello che per un più comune mortale potrebbe essere visto come un puntiglio, da Bonaga è vissuto assai più filosoficamente come principio: la riservatezza a tutela e per conservazione di un'amicizia. Perché spesso solo il silenzio può rappresentare degnamente quel che è stato, mentre la parola scivola, inciampa, e corrompe, e corrode.
Non ho mai parlato di Lucio con Lucio in vita, figuriamoci se parlo del mio rapporto e delle mie cose con lui da morto, non esiste
"Non ho mai parlato di Lucio con Lucio in vita, figuriamoci se parlo del mio rapporto e delle mie cose con lui da morto, non esiste", fa sapere da sempre. Chi lo conosce bene aggiunge che Bonaga ami ripetere una cosa un po' complicata da capire epperò molto importante nell'impalcatura del suo cervello, cita Carlo Emilio Gadda, ricorda che la mania dell'IO "è una caccola della storia", che il soggettivismo non conta nulla rispetto alla complessità delle persone e delle concatenazioni degli eventi, e insomma trova tutta questa mania di dire "io io io" di una noia mortale. E dunque vuole sottrarsene.
Come però "Cara" sia nata, tra varie peregrinazioni bolognesi, è stato per noi possibile ricostruire. Dunque, Dalla ha composto la musica, e su questo non c'è dubbio.. Aveva anche un testo, solo che non gli piaceva.
Il testo è stato certamente scritto da  un'altra persona: Bonaga molto probabilmente, anche se da lui la conferma non arriverà mai.
La storia è questa.
Dunque un giorno un brillante professore, probabilmente un professore universitario, si invaghisce di una ragazza parecchio giovane, che chiameremo Laura. Ne nasce un sentimento tumultuoso, a metà tra il carnale "io che volevo prenderti per mano/e cascare dentro un letto" e il romantico "prenderti per mano /e volare sopra un tetto". I due vivono su una nuvola per qualche tempo, con lui totalmente inebriato dall'incanto di lei, eppure già un po' presago su quelli che avrebbero potuto essere gli sviluppi: "Quanti capelli che hai/non si riesce a contare/ sposta la bottiglia/e lasciami guardare/se di tanti capelli/ci si può fidare".
A un certo punto, a lei viene proposto un viaggio studio/lavoro negli Stati Uniti. Laura vorrebbe, non vorrebbe, insomma è dubbiosa, messa a dura prova. Lui è disperato: "Ma so già cosa pensi/tu vorresti partire/come se andare lontano/fosse uguale a morire/E non c'è niente di strano/ma non posso venire"
Il maturo professore si tormenta. Si macera. Poi decide: meglio che lei vada, meglio che stia in America pensando a lui piuttosto che a Bologna pentita per non essere andata in America.
 
 
La tragedia sentimentale però arriva rapidamente. Non sono tempi di smartphone, di connessioni permanenti, di chat. A un certo punto, com'è come non è, tra i due cala il silenzio. Un silenzio cupo, Laura non si fa più viva. Lui sostanzialmente impazzisce. Tutto diviene insopportabile e pare perduto, quando viene a sapere da comuni conoscenti che lei si trova in California e per guadagnarsi da vivere lavora in una gelateria: "Almeno/ non ti avessi incontrato/ io che qui sto morendo/ e tu che mangi il gelato" (originariamente era infatti "e tu che vendi il gelato"), fino all'apoteosi dello sconforto "La notte sta morendo/Ed è cretino cercare di fermare le lacrime ridendo", fino al distacco completo, all'oscurità, appunto alla morte poi divenuta nella sostanza analoga narrazione di morte sulla tomba di Lucio "Lontano/si ferma un treno/ma che bella mattina/il cielo è sereno/Buonanotte, anima mia, adesso spengo la luce e così sia...".
Dopo la disperata canzone, per la coppia nella vita reale la cosa andrà meglio, il maturo professore riaccoglie la sua Laura che torna in Italia, si ritrovano (e staranno insieme per qualche anno).
 
Ma torniamo al quesito - iniziale e finale -: può il testo di una canzone non scritto da te disegnare a perfezione l'atmosfera dell'ultimo momento della tua vita?
Siamo al 1 marzo 2012, a Montreux, In Svizzera, tre giorni prima del compleanno. Dalla sta benissimo, la sera prima si è esibito al Jazz festival senza problemi. Quando, all'improvviso, viene fulminato da un infarto nel suo albergo, il Plaza.
Precisamente in "una bella mattina/il cielo è sereno", come nella canzone. E proprio lì, nei pressi dell'albergo, la stazione ferroviaria: dove, assieme ad altri, "si ferma il treno" anche della sua vita.
 
La risposta potrebbe proprio essere che l'"IO", secondo gli insegnamenti di Gadda, sia stato in questa vicenda cosa in fondo trascurabile, o almeno non così centrale rispetto alle relazioni, alle complessità, alle interazioni, una caccola della Storia e anche di questa storia, appunto. Perché questo testo, non suo, è comunque all'atto della morte come fosse divenuto realmente, pienamente di Lucio.
Forse anche per questo motivo, chissà, Bonaga non ha voglia di parlare, di puntualizzare, di rivendicare, o anche solo di chiarire: perché sa che la vanità personale è spesso solo una stonatura che nulla aggiunge; e che anzi, altrettanto spesso, parecchio toglie.