Cultura | Scuola e società

Vivere di sudtirolesità si può, ma...

Alcune riflessioni (scontate) di una candidata alle provinciali non sudtirolese:
l’Alto Adige, il modello ladino di scuola e la mia idea futura di società

Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
francesca_4.jpg
Foto: Morrone Francesca

Sono approdata in questa bellissima e particolare terra ormai undici anni fa per lavoro, ma soprattutto per amore, amore per la lingua tedesca e per la sua cultura che studio da tempo e che non smetterò mai di scoprire. Quando è venuto il momento non ebbi dubbi a scegliere gli studi di  germanistica - tra Roma e Vienna - e oggi insegno Italiano L2 nelle scuole di lingua tedesca.

All’inizio non sapevo…

All’inizio non sapevo nulla di questa provincia, ma per me era un luogo ideale dove vivere, con il suo faticoso intersecarsi di culture differenti. Ho imparato a conoscere la storia di questa terra attraverso il mio lavoro di insegnante, soprattutto nelle valli: la proporzionale etnica, l’autonomia e i rapporti con Roma, le minoranze linguistiche e la storia -  le opzioni, il fascismo e l’italianizzazione, Tolomei e la toponomastica - fino allo Statuto di autonomia e alla necessità di una sua riforma, ma anche le difficoltà legate al patentino e la ricerca di un lavoro. Temi importanti, ma allo stesso tempo carichi ancora oggi di divisione e troppo spesso di incomprensione.

Come molte persone che vivono qui ma sono giunte da fuori provincia per motivi personali o di lavoro, mi sono sempre chiesta come mai il peso della storia fosse ancora cosí preponderante da influenzare le scelte della politica di oggi. La risposta l’ho trovata da me, vivendo: molti partiti - italiani e tedeschi - nati più o meno recentemente dalle macerie del passato, si sono garantiti la sopravvivenza attraverso la continua riproposizione di contrapposizioni del passato, soffiando ignobilmente sul fuoco del nazionalismo. Un modo di fare politica di cui francamente non se ne può più.

Oggi la campagna elettorale per le provinciali segue gli stessi obiettivi: aggiudicarsi la fiducia del proprio elettorato sulla base di forme di aggregazione etnica, i partiti tedeschi da una parte, quelli italiani sempre più parcellizzati dall’altra, le destre tedesche e quelle italiane più capillari nel tessuto periferico delle valli e delle città. Poche le eccezioni a questo stantio paradigma.

Poi ho deciso di….

Non mi sono rassegnata a questo stato di cose, non è nel mio carattere. Dal mio piccolo angolo di mondo ho cominciato a sperimentare qualche soluzione, cercando di trasmettere ai miei alunni la consapevolezza della fortuna di vivere nella nostra particolare situazione linguistica e culturale, un’occasione da cogliere assolutamente.

Pur rispettando profondamente la storia e le ferite che ha inferto a questa terra, non possiamo non guardare avanti e il futuro è straordinariamente ricco di opportunità quando si posseggono più strumenti di comunicazione  per capire se stessi e il mondo degli altri. Uno sforzo arricchente che rende loro persone migliori. Questi sono i messaggi che cerco di veicolare ogni giorno - da ormai undici anni - in tutte le mie classi, prendendomi il tempo di ascoltare anche le polemiche più dure nei confronti della comunità italiana.

Ogni tanto lo sconforto prende il sopravvento….

“Sind Sie Walsche?”

“Südtirol ist nicht Italien”.

“Ich brauch kein Italienisch”.

Quante volte i miei colleghi hanno dovuto reggere la tensione in classe a causa di messaggi politici strumentali di cui i ragazzi non hanno alcuna responsabilità se non quella di riportare acriticamente delle frasi fatte? Ogni tanto lo sconforto prende il sopravvento, ma questi casi di intolleranza sono sempre più rari nelle scuole: le famiglie, le comunità comprendono sempre di più l’importanza dell’apprendimento delle lingue. Per viaggiare, per studiare all’università, per trovare lavoro. Per la vita.

Passi in avanti ne sono stati fatti molti, ma la scuola e le intendenze scolastiche devono fare un ulteriore sforzo per promuovere un clima di convivenza attraverso l’armonizzazione dei programmi e dei contenuti scolastici. Ma se la politica volge lo sguardo al passato invece che al futuro, l’input decisivo non arriverà mai.

A scuola si costruiscono ponti, ma non bastano…

La precarietà del mio lavoro mi ha permesso in questi anni di conoscere molte realtà scolastiche soprattutto delle valli; ho conosciuto insegnanti straordinari da Bolzano a Laces che credono fermamente nella forza dello scambio, nella conoscenza reciproca, nelle iniziative per stare insieme, nella costruzione di percorsi didattici comuni. Sono un esercito di cittadini che ha perfettamente compreso che il futuro dei nostri ragazzi passa attraverso l’apprendimento di più lingue e che le lingue arricchiscono automaticamente la nostra Weltanschauung e ci rendono persone migliori.

Ma non si può lasciare che questo esercito di combattenti conduca le proprie battaglie da solo, ci vuole una politica fatta di punti e di programmi seri e concreti che promuovano il plurilinguismo nelle scuole a partire dalla realizzazione di un terzo modello di scuola accanto a quello delle scuole monolingue. A scuola si costruiscono ponti, ma non bastano: abbiamo bisogno “per legge” di formare docenti preparati in didattica acquisizionale delle lingue, occorre istituire corsi di formazione all’interno dell’Euregio e approfittare dell’offerta formativa delle facoltà di Innsbruck, Trento e Bolzano, i docenti devono poter fare esperienza nelle scuole del vicino. La nostra provincia può diventare un modello di studio e di ricerca per il plurilinguismo. Gli studi del centro di ricerca Eurac confermano ogni anno il trend negativo sull’apprendimento delle lingue seconde in Alto Adige e questo significa due cose: mancanza di luoghi fisici di scambio e formazione docente ancora insufficiente.

E se provassimo…?

E se provassimo a chiedere alla popolazione sudtirolese/altoatesina di interrogarsi sul tipo di sistema scolastico che si immaginano per il futuro?

Se i cittadini attraverso un referendum consultivo manifestassero l’interesse verso un nuovo modello di scuola come quello ladino accanto alle due scuole monolingue?

Il partito di maggioranza predica democrazia e dialogo, eppure ignora costantemente gli impulsi che arrivano dalla società e non si accorge- o fa finta-dei cambiamenti geopolitici in atto.

Questa provincia ha tutte le potenzialità per diventare una terra perfettamente plurilingue e una piattaforma sperimentale per lo studio sul plurilinguismo. A pochi chilometri di distanza da noi, nelle valli ladine, esiste un modello di scuola unico e già da molti anni orientato ad una didattica delle lingue pronta alle sfide del futuro: una scuola dove i bambini imparano in maniera paritetica italiano, tedesco, inglese e ladino.

L’apprendimento di più lingue favorisce le capacità interlinguistiche e aumenta quelle interculturali. Che sono poi quelle abilità che consentono di costruire società migliori, superando qualsiasi timore di assimilazione o di estinzione. La nostra società si muove velocemente, ogni giorno milioni di persone migrano da una città all’altra, da un continente all’altro, le lingue si modificheranno e perderanno la loro architettura originaria perché verranno in contatto con altri parlanti. Non vedere il cambiamento, significa rifiutare un’idea di futuro, restare semplicemente indietro.

Poi naturalmente tocca a tutti noi, perché non si impara un’altra lingua senza un po’ di curiosità, di passione… Non bastano delle buone leggi. Occorre invece avvicinarsi all’altro con un’apertura che - ammettiamolo almeno a noi stessi - in troppi di noi è sempre mancata.