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Politica | Avvenne domani

Pasticcio elettorale

Comuni in crisi per una legge che confonde maggioritario e proporzionale

Il percorso, che è eufemistico definire accidentato, delle trattative per la formazione della nuova giunta di Merano conduce direttamente ad un interrogativo di fondo: è ancora possibile lasciare intatta, nella sua totale incongruenza, una legge elettorale che mischia senza costrutto elementi di maggioritario e di proporzionale e che rischia di portare all’ingovernabilità progressiva una parte non irrilevante delle amministrazioni locali altoatesine?

L’interrogativo, si badi bene, rimarrebbe assolutamente in piedi anche se nella città del Passirio le forze politiche trovassero, prima della fatidica scadenza del 3 novembre, un’intesa capace di evitare il commissariamento e il ritorno a nuove elezioni. È una realtà il fatto che questa legge sta creando solamente incertezza politica e sta allontanando dall’esercizio del voto tanti cittadini che faticano a comprendere come l’indicazione che hanno validamente espressa nelle urne resti poi senza conseguenze sul piano della pratica politica.

Le cause di tutto questo stato di cose sono in teoria abbastanza note, ma vale la pena di riepilogarle, se non altro per fare giustizia di qualche affermazione che, nella foga del contrasto politico, ha trovato spazio nel dibattito più recente.

L’ubriacatura maggioritaria

Tutto comincia alla metà degli anni 90, quando, sulle macerie di Tangentopoli, gli italiani, anche sulla base di una propaganda martellante, si fanno convinti che l’origine di ogni male stia nel sistema dei partiti coltivato con le elezioni a sistema proporzionale che hanno caratterizzato, per buona parte, la realtà nazionale nei decenni precedenti. Vanno in massa a votare un referendum che impone il passaggio al sistema maggioritario. Il motto che trionfa allora e che viene ancora oggi ripetuto tutte le volte che si discute di sistemi elettorali è quello secondo il quale il maggioritario garantisce di sapere la sera delle elezioni chi governerà nei cinque anni successivi, invece di dover attendere l’interminabile trafila delle trattative tra le varie forze politiche alla ricerca di un’alleanza e di un programma.

Questa ondata si abbatte con eguale intensità sia sul sistema elettorale nazionale che su quello che regola il voto a livello locale. Viene introdotta l’elezione diretta dei presidenti delle regioni, delle province e dei comuni. Ovunque la prassi e la logica vogliono che, una volta ricevuto il mandato direttamente dalle urne, l’eletto possa godere automaticamente di un “bonus” di seggi nell’assemblea di riferimento, in modo da poter esercitare senza troppi problemi, almeno in teoria, il suo compito.

Ovunque ma non nella provincia di Bolzano. Qui la situazione, come sempre, si complica per effetto della questione etnica. A sbarrare la strada all’introduzione del maggioritario, sia per l’elezione del Consiglio Provinciale sia nei comuni, c’è una chiara indicazione che arriva dall’articolo 61 dello Statuto di autonomia. Rileggiamolo insieme.

Nell’ordinamento degli enti pubblici locali sono stabilite le norme atte ad assicurare la rappresentanza proporzionale dei gruppi linguistici nei riguardi della costituzione degli organi degli enti stessi. Nei comuni della Provincia di Bolzano ciascun gruppo linguistico ha diritto di essere rappresentato nella Giunta municipale se nel Consiglio comunale vi siano almeno due consiglieri appartenenti al gruppo stesso.

Il senso della norma è abbastanza chiaro. Nelle assemblee legislative locali dell’Alto Adige occorre utilizzare il sistema proporzionale in modo da garantire ipoteticamente una rappresentanza equilibrata dei vari gruppi etnici. Il concetto è rafforzato imponendo di inserire nel governo dell’ente locale stesso un rappresentante del gruppo linguistico che abbia almeno due eletti nel relativo consiglio. Lo scopo dell’intero sistema è, come capirà ognuno, quello di imporre in un certo senso la collaborazione politica e amministrativa tra i vari gruppi linguistici, a prescindere anche dalle differenze di parte.

È una norma che ha in sé stessa il proprio limite, laddove non può imporre a nessuno di votare necessariamente per un candidato del proprio gruppo etnico e che quindi non garantisce, da sola, che la rappresentanza dei vari gruppi in un consiglio, provinciale o comunale che sia, rappresenti realmente la composizione linguistica del corpo dei votanti. Si tentò, agli albori dell’attuazione del secondo Statuto, di ottenere almeno in parte questo risultato con una sorta di assai poco simpatico ricatto. Si vincolò infatti, per diverso tempo, la fissazione dei rapporti tra i vari gruppi su cui articolare l’applicazione della proporzionale etnica, alla consistenza dei gruppi linguistici in provincia. Lo scopo era evidente. Se chi aveva reso dichiarazione di appartenenza etnica d’un gruppo voleva poter contare su una quota di posti di lavoro nel pubblico impiego, di case popolari o di altri benefici sociali per sé e per i propri concittadini, doveva evitare di votare il candidato di un altro gruppo linguistico. Era un sistema aberrante e fu presto superato agganciando la proporzionale ai dati del censimento.

Le quote “etniche” all’interno dei consigli sono divenute quindi più variabili nel corso del tempo. Basti ricordare l’esempio del Consiglio Provinciale di Bolzano che, per la combinazione di vari fattori, vide, nel 2013, una rappresentanza italiana assai ridotta, mentre nel 2018 il numero dei consiglieri italiani è notevolmente aumentato, con l’effetto, non secondario, di portare da uno a due gli assessori in Giunta.

Il pasticcio comunale

Sulla base di queste premesse giuridiche fu costruita a suo tempo anche la nuova legge elettorale comunale. Nel Trentino nessun problema. Ai sindaci eletti direttamente venne riconosciuto il “bonus” di cui sopra  che consente loro, salvo rivolgimenti successivi, di poter governare il loro comune senza troppi problemi. In Alto Adige invece si misero assieme, come si suol dire, le mele e le pere nello stesso cesto. Fu decisa l’elezione diretta del sindaco, ma senza dargli nessun tipo di premio di maggioranza, proprio per non andare a intaccare il dogma della proporzionalità assoluta previsto dallo Statuto, in virtù del quale si decise anche di lasciare intonso il sistema vigente da sempre in Provincia. Quanto quest’ultima decisione fosse stata saggia lo si capì quando, un sia pur minimo tentativo di modifica della legge elettorale provinciale in direzione maggioritaria fu drasticamente cassato dalla Corte Costituzionale su ricorso di una lista ladina che riteneva di essere svantaggiata da quelle novità.

Nei comuni altoatesini si è cominciato a votare col nuovo sistema “misto” a partire dal 1995, ma per arrivare a capire che qualcosa non andava in tutto il meccanismo sono dovuti passare ben dieci anni. Nel maggio del 2005, nel capoluogo, il primo cittadino uscente Giovanni Salghetti Drioli viene sconfitto al ballottaggio, per una manciata di voti, dal candidato del centrodestra Giovanni Benussi. Quest’ultimo ha la carica di sindaco ma non ha la maggioranza per poter eleggere la giunta e approvare il programma. Cerca inutilmente di coinvolgere la Südtiroler Volkspartei che rifiuta. Così il sindaco eletto dal popolo deve dimettersi e lasciare il posto ad un commissario.

Se si guarda bene è più o meno quello che sta succedendo in questi giorni a Merano, dove un sindaco che si è aggiudicato, sia pure di strettissima misura, la vittoria al ballottaggio si trova a dover affrontare una delicata trattativa per cercare di coinvolgere forze politiche che non lo hanno appoggiato o che addirittura l’hanno avversato. Avviene così che, quando nel concitato dibattito di questi giorni, le parti in causa si accusano l’un l’altra di voler tradire il mandato degli elettori hanno tutte torto e ragione al tempo stesso. Ha ragione il sindaco Rösch quando ricorda di aver ricevuto dalle urne la legittimazione a governare Merano nei prossimi cinque anni, ma non hanno torto nemmeno i suoi oppositori quando gli contestano il fatto che le liste che lo hanno appoggiato, in primo grado e al ballottaggio non hanno i numeri, da sole, per eleggere una giunta e per approvare un programma. Il risultato finale è che l’elezione diretta finisce per complicare ulteriormente una situazione già complessa.

Una legge diversa

Varrebbe quindi la pena di ripensare a questo punto all’intero impianto della legge elettorale comunale per l’Alto Adige. Sarebbe bene farlo, tra l’altro, con una certa urgenza, utilizzando gli anni immediatamente successivi alla tornata elettorale appena conclusa. È sempre bene operare sulla legge elettorali quando mancano ancora diversi anni alla nuova scadenza per evitare di cadere nella tentazione di adattare le leggi all’interesse immediato delle forze politiche e per dare a queste ultime il tempo di prepararsi adeguatamente all’utilizzo delle nuove regole.

Di fronte al problema che abbiamo esposto più sopra le possibili soluzioni non sono molte, anzi, a dire il vero, sono sostanzialmente solo due. La prima, la più ardua è complessa, è quella di smontare il veto contenuto nello Statuto di utilizzare il sistema maggioritario per l’elezione degli enti locali in provincia di Bolzano. Si potrebbe convenire che, magari solo per i comuni, l’obbligo di garantire una comunque dubbia rappresentanza etnica, non è più assillante come mezzo secolo fa e che quindi si potrebbe tranquillamente eliminarlo, lasciando eventualmente solo l’obbligo di inserire negli organi di governo un rappresentante dei gruppi che abbiano una certa consistenza nei consigli. Il problema è che per percorrere questa strada occorre una modifica statutaria che deve essere attuata in Parlamento con la doppia lettura riservata alle norme di rango costituzionale. Una strada irta di insidie e tutt’altro che semplice da porre in essere, come recenti esperienze hanno abbondantemente dimostrato. Non è detto poi che sull’idea di abolire la rappresentanza proporzionale etnica ci si possa trovare tutti d’accordo.

L’altra ipotesi, più semplice da mettere in campo, è quella di tornare indietro nel tempo. Modificare, sempre e solo per l’Alto Adige ovviamente, la legge elettorale regionale, abolendo l’elezione diretta dei sindaci e adeguando il sistema elettorale dei comuni a quello che, senza troppi problemi a dire il vero, ha continuato a funzionare in Provincia. Si tornerebbe così a dare rilievo al sistema dei partiti, rinunciando alla caccia preelettorale ai cosiddetti “papi stranieri”, figure esterne al mondo della politica vero e proprio, che vengono reclutate per l’occasione ma che poi, in virtù del sistema sopra descritto, con i partiti, con i movimenti, con le liste civiche devono continuare a fare i conti come nella aborrita prima Repubblica. Tanto varrebbe allora tornare a quello schema con il quale le città e i paesi altoatesini sono stati governati, senza drammatici problemi, per quasi mezzo secolo.

La questione si pone con crescente urgenza anche perché la progressiva frammentazione del quadro politico a livello locale, con la perdita di posizioni da parte delle tradizionali forze di maggioranza, Südtiroler Volkspartei per prima, compone un quadro nel quale il pastrocchio tra proporzionale e maggioritario congegnato dal legislatore regionale un quarto di secolo fa promette di essere fonte di incertezze e soprattutto di alimentare sempre di più la sensazione, da parte degli elettori, che il proprio voto non sia tenuto nella giusta considerazione. Un pericolo che, in tempi di disaffezione al voto come quelli che viviamo, andrebbe accuratamente evitato.

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Michele De Luca Sab, 10/24/2020 - 21:03

Grazie davvero per l'analisi dettagliata che condivido appieno. L'assurdità attuale è proprio eleggere il sindaco senza che poi abbia la maggioranza in consiglio comunale perché si compone al primo turno. È evidente che oggi tale legge è semplicemente anacronistica nonché illogica. Ma assai comoda a qualcuno...

Sab, 10/24/2020 - 21:03 Collegamento permanente
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Alessandro Stenico Sab, 10/24/2020 - 21:14

Bravo Maurizio Ferrandi a ricordare quanto sia anacronistica la legge elettorele che disciplina l'elezione dei sindaci e dei consigli comunali, opinione che aveva giá manifestato in occasione delle passate tornate elettorali. Delle due possibilità la più semplice e ragionevole è la seconda opzione e cioè abolendo l’elezione diretta dei sindaci e adeguando il sistema elettorale dei comuni a quello che, come l'autore dice: senza troppi problemi a dire il vero, ha continuato a funzionare in Provincia.

Sab, 10/24/2020 - 21:14 Collegamento permanente
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Michele De Luca Dom, 10/25/2020 - 10:05

In risposta a di rotaderga

Certamente l'articolo non chiede un cambiamento "in corsa" ma dovrebbe essere un tema dell'agenda politica di questa legislatura provinciale-regionale.
Semmai era dal caso dell'ex sindaco Benussi nel 2005 che la politica, la "classe dirigente" e tutto ciò che si muove attorno avrebbero dovuto darsi una mossa.
Invece nulla, quindici anni trascorsi senza che succedesse nulla. Come ho scritto nel commento più sopra, ovviamente perché a taluni va bene così. Che la situazione sia assurda, lo capisce chiunque.
Forse qualche politologo locale non la vedrà così, ma le situazioni concrete che si sono create anche in questa tornata elettorale sono sotto gli occhi di tutti/e e ormai al limite dell'assurdo con una contrattazione di poltrone e, immagino, posti di sottogoverno e chissà cos'altro (magari anche semplici antipatie personali) che si cerca di mascherare sotto questioni di "programma" e "vedute politiche".

Dom, 10/25/2020 - 10:05 Collegamento permanente
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Francesco Palermo Dom, 10/25/2020 - 10:07

Ineccepibile come sempre.
Come sappiamo ci è stato detto che un ammodernamento dello statuto non è prioritario, che non ci sono le condizioni, che tanto basta all'occorrenza qualche norma di attuazione.... Poi puntualmente emergono lacune date delle crepe del sistema e ce ne saranno sempre di più. Non per cattiveria, per invecchiamento della macchina. Ma tant'è. Guardiamo al massimo a domani, meglio a oggi pomeriggio. E continuiamo a sorprenderci quando accadono queste cose prevedibilissime

Dom, 10/25/2020 - 10:07 Collegamento permanente
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Massimo Mollica Dom, 10/25/2020 - 10:30

Assodato ciò che era chiaro e che Maurizio come sempre ha descritto in modo efficace ora c'è da fare un'ulteriore considerazione:
A chi giova questa situazione? A chi è al potere e ha tutti gli interessi affinché vi sia sempre meno gente che vada a votare? (io credo che se hai davvero a cuore questa terra TUTTI dovrebbero esprimere il proprio voto)
E ancora, possiamo discutere su un modello migliore dell'attuale? Possiamo partire dai principi democratici per formulare un sistema più efficiente non tanto nella gestione della cosa pubblica quanto nell'espressione della volontà popolare? (che si traduca poi in responsibilità delle scelte fatte?)
Comunque la sensazione che ravviso è che questo scoramento dalla democrazia/politica avviene in tutto il mondo. E proprio ieri parlavo con un collega che constatava che attualmente a livello locale secondo lui politicamente nessuno si salva e non sa per chi voterà la prossima volta. Stiamo passando dalla meritocrazia (intesa come competenza) alla meschino-crazia.

Dom, 10/25/2020 - 10:30 Collegamento permanente