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La nuova era di Trump

Immigrazione, crisi economica, nuovi asset geopolitici mondiali: ma con Trump sono finite anche le politiche ambientali. Finite sul serio.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
Trump
Foto: upi

Mentre scopriamo che a 40 anni luce da noi, attorno a Trappist-1, alcuni pianeti che gli ruotano intorno potrebbero avere dell’acqua, qui sulla nostra Terra le cose continuano a girare sempre peggio. Mi scopro a sognare un’altra vita possibile, inseguendo le orbite armoniche dei sette pianeti che danzano intorno alla stellina trappista che ha delle similitudini con il nostro pianeta e che sono abbastanza vicini al loro piccolo sole pallido da ricevere una sufficiente dose di energia, e nel frattempo leggo che altri visi pallidi stanno cacciando per l’ennesima volta gli indigeni dalle terre ritenute sacre dai loro avi. Ebbene sì: un oleodotto lungo duemila chilometri e che oltrepassa quattro stati americani per portare greggio alle raffinerie dell’Illinois vale di più di qualsiasi vita umana, delle ragioni di un popolo ridotto allo stremo, degli equilibri già molto precari di un territorio meraviglioso. Un tempo. Questo oleodotto va fatto a tutti i costi, nonostante il rischio di distruggere il bacino idrico di intere comunità, non solo quella Sioux,  e il timore di danni ambientali irreparabili. Trump, a differenza di Obama, ha deciso lo sgombero delle aree occupate da “Orso seduto” e dai suoi fratelli; ancora una volta sono costretti a lasciare la loro terra. Eppure vorrei ricordare alla “lingua biforcuta” Trump che stiamo parlando dei native americans, degli “americani nativi”, i “veri” abitanti di queste terre.
 

Torno con il mio telescopio immaginario a guardare lontano immaginando oceani d’acqua dai quali nasce la vita. Anche sulla Terra la vita è nata negli oceani, la nostra ‘vita intelligente’, capace nello stesso tempo di costruire grandi telescopi terrestri e spaziali attraverso il lavoro congiunto di intere congreghe internazionali di astronomi, da Liegi a Marrakesh, passando per l’Italia e per la NASA, e al contempo di distruggere sistematicamente il pianeta in cui viviamo. Un paradosso bello e buono, anzi, brutto e cattivo. Oceani lontani anni luce e oceani che rappresentano il nostro futuro. L’acqua, l’oro bianco. Non a caso i cinesi sono interessati al Tibet perché è da quelle montagne che sgorga la vita da quale dipendono milioni di persone. Proprio in questi giorni a Bali in Indonesia si tiene il quarto World Ocean Summit organizzato dall’Economist. Si tratta di una tre giorni di dibattiti con l’obiettivo di “suscitare una nuova discussione su come creare investimenti sostenibili nell’oceano”. Infatti sono proprio gli oceani ad assorbire il calore in eccesso causato dall’effetto serra e sono quindi il maggior alleato contro il surriscaldamento. Peccato però che le previsioni degli studiosi ritengano che con gli attuali ritmi di inquinamento nel 2050 nei mari ci sarà più plastica che pesci. Anzi, secondo la FAO, di questo passo già nel 2030, vale a dire domani, di pesci non ce ne saranno più. Non so se scrutare ancora attraverso il mio telescopio Dolomit-Rock e ritrovarmi a sognare atmosfere con tracce di metano, vapori d’acqua, anidride carbonica e ossigeno libero o inabissarmi nella becera realtà di un presidente che sta inaugurando una nuova stagione in netta controtendenza rispetto a quella precedente. Non solo immigrazione, crisi economica e nuovi asset geopolitici mondiali: nell’agenda del nuovo presidente sono finite anche le politiche ambientali. Finite sul serio. Perché l’uomo ha dichiarato che bisogna smettere di pensare ai cambiamenti climatici e gettarsi di nuovo sui combustibili fossili. Ha di fatto già smantellato il programma con cui Obama si era impegnato a diminuire la produzione di anidride carbonica e ordinato all’Agenzia americana per la protezione dell’ambiente di interrompere le comunicazioni con l’esterno. Guardo lontano, verso la stella trappista, e un piccolo omino verde mi tira per la manica della giacca e con uno strano accento, così leggero da suonare morbido, vellutato e armonioso mi dice: “Voi umani siete pazzi, e vi piacciono i paradossi: adesso è un presidente cinese a sottolineare la necessità di andare avanti con gli accordi di Parigi, rivendicando così il ruolo di leader nella lotta ambientale”. Mi osservo intorno e non c’è nessun omino verde, penso alla dittatura ecologica cinese e rimango solo con le mie consapevolezze: che se anche fossero possibili altre forme di vita lontane, è qui che dobbiamo guardare, alla nostra forma di vita attuale. E cambiare rotta prima che sia troppo tardi.

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G. M. Sab, 02/25/2017 - 19:53

Man darf Trump nicht unterschätzen, sein Umgang mit der Presse (Stichwort: Lügenpresse) und seine Erlasse sind besorgniserregend. Er ist auf den besten Weg den Rechtsstaat auszuhebeln.

Sab, 02/25/2017 - 19:53 Collegamento permanente