Società | Astronomia

Una scoperta rivoluzionaria

Pianeti simili alla terra e dove trovarli
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Foto: NASA

Nel 2015 l’Unione Astronomica Internazionale UAI decise di organizzare un concorso, con l’obiettivo di avvicinare pubblico al tema di come vengano assegnati i nomi dei corpi celesti quando vengono scoperti. L’UAI è infatti l’unico organo riconosciuto dalla comunità astronomica internazionale competente nella denominazione dei corpi celesti. L’idea fu quella di selezionare quattordici stelle attorno alle quali girano trentuno esopianeti, che avessero avuto una notevole importanza nella storia dell’astronomia. Chi nel 2015 decise di partecipare al concorso Name Exoworlds ebbe la possibilità di scegliere un sistema esoplanetario e di proporre dei nomi per la sua stella madre e per i suoi pianeti. Il Planetarium Alto Adige decise di partecipare e venne scelta la stella di neutroni dal repulsivo nome di PSR 1257+12 con i suoi tre esopianeti dagli altrettanto anonimi nomi PSR 1257+12b, 12c e 12d. Questo sistema esoplanetario è molto particolare, perché i suoi tre pianeti furono i primi a essere scoperti attorno a una stella di neutroni ovvero attorno a una stella ormai morta, nata dall’esplosione di una supernova. All’epoca gli astronomi rimasero stupefatti da ciò, perché si riteneva che con l’esplosione finale di una stella molto più massiccia del Sole nessun pianeta sarebbe dovuto sopravvivere. PSR 1257+12 con i suoi tre esopianeti aveva dimostrato come questa assunzione non fosse corretta. La scelta dei nomi avvenne dopo un lungo dibattito e furono scelti nomi legati alla letteratura fantasy e per essere precisi a mostri non morti, negromanti e via discorrendo.
 


Al momento delle votazioni le proposte del Planetarium Alto Adige riuscirono a spuntarla sulla concorrenza e i nomi Lich, Poltergeist, Phobetor e Draugr vennero ufficialmente accettati. In uno studio scientifico è possibile usare la vecchia nomenclatura, così come i nuovi nomi senza nessun tipo di discriminazione da parte dell’editore. Come riconoscimento l’UAI diede al Planetarium Alto Adige la possibilità di rinominare un piccolo corpo nella fascia principale degli asteroidi e la scelta cadde su Franz Thaler, contadino della val Sarentino e autore del libro “Dimenticare mai” edito da Raetia, ma questa però è tutta un’altra storia.
 


​​​​​​​Negli ultimi anni lo studio degli esopianeti ha fatto passi da gigante e grazie alle missioni Gaia e Kepler è stato possibile scoprirne con certezza 5312 (alla data del 22 marzo 2023). Il loro numero è destinato a crescere esponenzialmente nei prossimi anni e non è una domanda peregrina chiedersi quanti tra questi esopianeti siano simili alla Terra e quanti potenzialmente abitabili. La vita qui sul nostro pianeta azzurro si è evoluta rapidamente andando a occupare praticamente ogni nicchia ecologica, grazie al fatto che la Terra si trova alla giusta distanza dalla sua stella madre e soprattutto al fatto che il Sole sia una stella di piccola massa. Stelle come la nostra bruciano l’idrogeno con grande parsimonia, in modo regolare e per lunghi tempi. Questi sono stati solo alcune delle caratteristiche che secondo gli astronomi dovremmo andare a investigare, per capire se un esopianeta sia effettivamente abitabile o meno.

 

Ma cosa abbiamo scoperto recentemente? Molto, grazie soprattutto al nuovo telescopio spaziale James Webb della NASA, la cui progettazione è stata per così dire travagliata, ma che alla fine ha portato alla nascita del più potente telescopio mai costruito dall’uomo. Il 12 luglio dell’anno scorso la NASA ha annunciato la scoperta di vapore acqueo nell’atmosfera dell’esopianeta WASP-96b, mentre pochi mesi dopo venne pubblicata la notizia che nell’atmosfera dell’esopianeta WASP-39b erano state rilevate numerose molecole oltre a quelle dell’acqua. Grazie agli strumenti del telescopio e a raffinate analisi dei dati si è capito che nella sua atmosfera sono presenti molecole di acqua (H2O), monossido di carbonio (CO), diossido di carbonio ovvero anidride carbonica (CO2), biossido di zolfo (SO2) e sodio (S) con abbondanze più o meno elevate.

 

Una scoperta rivoluzionaria che ci avvicina un po’ di più al rispondere a una delle grandi domande dell’umanità: siamo soli nell’universo?