Cronaca | Dietro le sbarre

Stop ai suicidi in carcere

A Trento il piano per la prevenzione. “Più contatti con l’esterno”, ma la capienza sale a 418 detenuti (rispetto a 241) e ci sono solo 5 educatori.
carcere Trento
Foto: Cons. prov. Tn

L’aumento dei suicidi e la crescita del sovraffollamento sono i tratti salienti del 2018 nelle carceri italiane. Lo scrive l’associazione Antigone scorrendo i dati dell’anno trascorso. Il flagello delle morti volontarie dietro le sbarre è un fatto noto, di cui si parla riguardo alle annose problematiche delle strutture penitenziarie del Belpaese, avvertite anche in regione. Un dibattito che però sovente finisce nel nulla. A Trento si prova ad andare in direzione contraria. Con un piano per la prevenzione dei gesti estremi e dell’autolesionismo, che punta ad accrescere la salute, i contatti esterni, riducendo al contempo le pratiche che possono alimentare tra i reclusi la sensazione di “impotenza e umiliazione”.

 

Linee guida condivise

 

Per arrivare alle linee guida approvate dalla giunta provinciale, in accordo con il “gruppo di lavoro interistituzionale” formato da prefettura, questura, azienda sanitaria e amministrazione locale, c’è voluta - purtroppo - la rivolta del dicembre scorso. Partita proprio dal gesto estremo di uno dei detenuti. La protesta ha costretto le autorità a guardare come si vive dentro la struttura di Spini di Gardolo, inaugurata appena nel 2011

Salutato in pompa magna dall’allora ministro di grazia e giustizia Angelino Alfano, voluto e finanziato dalla Provincia, il carcere è stato pensato per una “capienza regolamentare” di 241 posti, come riporta anche Antigone. Peccato che oggi sul sito del ministero, aggiornato a gennaio, si sia arrivati a 418 “posti regolamentari”, di cui 325 occupati. 

 

 

Ma il vero problema sono i numeri drammatici del personale: 175 agenti di polizia penitenziaria “effettivi”, rispetto ai 225 previsti, e 5 educatori (sui 6 indicati), a cui si aggiungono 12 amministrativi. E sono proprio i funzionari ministeriali addetti alle attività educative, alternative, per i detenuti, ad avere un compito fondamentale. Se manca la rieducazione, o è carente, viene meno il fine riabilitativo della pena sancito dalla Costituzione, e soprattutto la speranza del singolo. I dati sulle morti volontarie starebbero a dimostrarlo.

 

Burocrazia permettendo

 

Ecco quindi dove si situa l’iniziativa annunciata dalla Provincia di Trento, un seguito alle promesse ai detenuti fatte da commissario del governo e questore per placare la rivolta di dicembre. Proposta che fra l’altro arriva nella primavera del 2019, dopo un 2018 difficile nelle carceri italiane. Dove ci sono stati 63 suicidi, contro i 47 del 2017 e i 39 del 2016. “Ogni 900 detenuti presenti, durante l’anno, uno ha deciso di togliersi la vita, venti volte di più che nella vita libera” nota l’associazione. A Trento gli episodi sono stati 7 dal 2011 al 2017 e due solo l’anno scorso.

 

 

Nelle linee guida, elaborate da dipartimento salute e politiche sociali, dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari e del provveditorato penitenziario del Triveneto, “si raccomanda di includere nel piano operativo della casa circondariale tutti gli interventi realizzati da parte enti, istituzioni e associazioni che hanno la finalità generale di migliorare la salute, il benessere”. Per ridurre i fattori di rischio che possono portare “non solo per comportamenti autolesivi ma anche per la radicalizzazione islamista”. 

Si punta a incentivare i contatti familiari ed esterni, ridurre le dipendenze, promuovere attività fisica e abitudini salutari, soprattutto a rilevare “eventuali segnali di disagio e sofferenza emotiva, in correlazione con un rischio suicidario, facendo particolare attenzione al presidio delle situazioni potenzialmente stressanti per i reclusi (ingresso, trasferimenti, colloqui, processi, eventi della vita in sezione eccetera)”. 

Burocrazia del carcere permettendo.