Politica | Referendum

Più autonomia fiscale per le Regioni?

Il messaggio politico che esce dalle urne venete e lombarde del referendum consultivo dell’altro ieri è chiaro: si rivendicano più poteri e le risorse per gestirle.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.

La maggioranza della popolazione di queste Regioni rivendica poteri più forti e competenze più estese per la Regione e una più avanzata autonomia finanziaria per gestire tale competenze. Perciò si conferma il rifiuto netto dello stesso elettorato del disegno di riforma costituzionale di stampo renziano tagliare poteri alle Regioni del dicembre 2016. Questo intento ora le delegazioni regionali lombardo-venete dovranno tradurre in proposte concrete sul tavolo delle trattative col Governo a Roma.

Ottenere un più ampio controllo del gettito fiscale riscosso sul proprio territorio è uno degli obiettivi centrali del regionalismo di stampo leghista e di altre forze autonomiste in Italia. In fondo si tratta di riesumare il vecchio progetto di federalismo fiscale, arenatosi con la crisi finanziario e dell’Euro del 2008. Sarebbero quasi 100 miliardi il residuo fiscale (la differenza fra entrate pubbliche complessive regionalizzate meno il totale delle spese pubbliche riferite allo stesso territorio) delle Regioni a statuto ordinario del Nord, fra cui la sola Lombardia contribuisce con 54 miliardi di Euro (CGIA Mestre). Quindi un’enorme massa finanziaria con cui il Nord finanzia lo Stato centrale e copre i disavanzi delle Regioni del Sud. Anche le Regioni a statuto speciale attualmente vantano un residuo fiscale netto positivo, quindi versano di più allo Stato di quanto incassino, ma in una misura molto più modesta.

Arginare questo flusso di risorse verso lo Stato, rafforzare la responsabilità finanziaria del Sud e aumentare le risorse sotto controllo regionale – da una prospettiva di regione speciale che già dispone di questo diritto - è una domanda legittima, ma comunque difficile da realizzare. Questo non tanto per la cattiva volontà del governo, ma soprattutto per il deficit cronico del bilancio dello Stato. Con quasi 2.300 miliardi di debiti accumulati e il quantitative easing in progressivo esaurimento lo Stato non ha gran spazio di manovra per lasciare una fetta consistente delle entrate tributarie alle Regioni del Nord. Nel 2016 la “bolletta” per il servizio interessi sul debito pubblico italiano ha superato i 70 miliardi di euro.

Il federalismo fiscale fa a pugni con la solidarietà interregionale, fin quando il divario Nord-Sud si presenta talmente incancrenito come è il caso in Italia. Purtroppo in 70 anni di Repubblica, nonostante il gran flusso di risorse pubbliche, non si è ridotto decisamente. Federalismo fiscale non significherebbe solo il diritto delle Regioni di trattenere una fetta più ampia del gettito fiscale (dei tributi statali) riscosso sul proprio territorio, ma anche qualche competenza in più per regolamentare i tributi più importanti, intervenendo sulle aliquote dell’IRPEF, dell’IRPEG, dell’IVA o magari introducendo un’imposta aggiuntiva come quella sull’eredità e le successioni. Quest’ambizione al momento non viene neanche soddisfatta nei confronti delle Regioni a statuto speciale, perché lo Stato fa di tutto per mantenere un sistema tributario unitario sia per non creare situazioni di “dumping” fra le Regioni, sia per non perdere quote del gettito urgentemente richieste per ridurre il deficit pubblico. In fin dei conti, anche se la Lombardia e il Veneto riuscissero a farsi attribuire qualche competenza in più, il salasso annuale finanziario verso il Centro – quantificato dal CGIA di Mestre con 5.511 Euro a testa per i lombardi e con 3.733 Euro per i veneti – non si ridurrà sostanzialmente.