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Foto: Russia beyond
Cultura | Vorausgespuckt

Dove va la troika russa?

Il senso del presente può essere ritrovato in testi scritti a grande distanza temporale. Ecco come Gogol' e Dostoevskij profetizzavano il destino della Russia.

Ho la fortuna di avere una estesa biblioteca privata, con libri sedimentati in strati afferenti a epoche lontane. È come disporre di un giacimento di pensieri ai quali si può attingere quando le varie contingenze del momento lo richiedono. Così, lasciate per anni (talvolta decenni) in uno stato di latenza, il caso permette di tanto in tanto l'affiorare di perle allora appena intraviste e quasi dimenticate. Ecco, per esempio, un articolo scritto da Guido Morselli nel 1948, e poi raccolto – postumo, come quasi tutto di questo straordinario e sfortunato scrittore – nella silloge adelphiana “La felicità non è un lusso”. Siccome mi pareva assai promettente (“Una profezia sulla Russia”, s'intitola l'articolo), l'ho sfogliato e – qual stupore! –sembra scritto oggi: anzi, sembra scritto domani.

Il minimo comun denominatore della letteratura russa è il senso della patria

In quattro pagine smilze Morselli affronta il tema muovendo dalla letteratura, vale a dire cercando di individuare un minimo comun denominatore fra diversi autori russi del passato e del presente (il presente dal quale scrive, ci troviamo alle soglie degli anni Cinquanta, come detto). Quale sarebbe, dunque, questo minimo comun denominatore? Per Morselli si tratta del senso della patria. E spiega: “Senso e non idea: poiché quello a cui si allude è il fenomeno prevalente irrazionale o se si vuole irriflesso, espressione di una aderenza spesse volte inconscia ai valori mitici, religiosi o puramente naturalistici della terra natia”. Non è qui tanto importante addentrarsi nel testo di Morselli al fine di specificare di che cosa, propriamente, sarebbe espressione questo senso della patria (magari per abbozzare un confronto estemporaneo con altre possibili patrie: non lo fa lui, non lo facciamo ovviamente neppure noi). La cosa più interessante è che, a un certo punto, dall'intuizione di tale senso scaturisce una visione profetica: “Ai poeti qualche volta è restituita la facoltà dei vati antichi, di antivedere nel futuro delle nazioni”.

Due autori per una profezia

La profezia alla quale ci si riferisce (cristallizzata in immagine) è scandita in due momenti, cioè lo scrittore bolognese si riferisce prima al romanzo di Gogol' “Anime morte” (del 1842) e poi ai “Fratelli Karamazov” di Dostoevskij (l'ultimo romanzo di Dostoevskij, pubblicato nel 1880). In entrambi i libri si parla della corsa di una troika, vale a dire quel tradizionale tipo di traino a tre cavelli per slitte o carrozze che veniva utilizzato in Russia dal XVII secolo (per estensione, informa un dizionario, è chiamato troika anche la slitta o il carretto trainato da questo tipo di tiro). Ma come? In che senso un veicolo arcaico può condensare il destino di una nazione? Miracoli dell'esegesi letteraria, evidentemente. Sentite cosa scrivono Gogol' e poi Dostoevskij.

Gogol': “E non così tu, o Russia, corri alla dirotta, come la troika ardita e impetuosa? Fumiga e scintilla sotto le tue ruote la strada, rumoreggiano i ponti, fugge ogni cosa e si dilegua lontano alle tue spalle. Non è forse questa la folgore? E che cosa vuol dire codesta tua spaventosa rovina? ... Dove corri, o Russia?... Rispondi! Nessuna risposta... Tintinna armonioso il sonaglio, freme l'aria e si squarcia, tutto vola indietro e dispare, e sogguardando rispettosi si tirano da parte sul tuo cammino trionfale popoli e imperi”.

E ora Dostoevskij: “La nostra fatale troika corre a precipizio, e forse verso la rovina. Già da lungo tempo in tutta la Russia si tendono braccia e si levano voci per arrestare la folle e furiosa corsa. E se per adesso gli altri popoli si scostano ancora dalla troika galoppante a rotta di collo, non è forse per rispetto, come piaceva al poeta [cioè a Gogol', ndr], ma semplicemente per orrore, prendetene nota. Per orrore, e forse anche per disgusto, e meno male ancora che si traggono da parte, perché potrebbero cessare di farlo, ed ergersi come una salda muraglia davanti alla fuggente visione, e arrestare la corsa pazzesca della nostra licenza, per salvare se stessi, la cultura e la civiltà!”.

Abbattere la muraglia che ci divide

Impressionante, no? Morselli commenta così (commento, ripetiamolo ancora, del 1948, ma attuale più che mai): “Avverandosi largamente il vaticinio, l'Occidente s'irrigidisce in una intimorita avversione alla nazione russa, si arma, materialmente e moralmente contro di essa. Auguriamoci che da entrambi i lati della muraglia si comprenda, come questa barriera elevata dal sospetto e dalla paura debba cadere al più presto, se si vuole assicurare al mondo una pace, e la stessa esistenza”.

Serve aggiungere altro?