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"Il trilinguismo non sia un dogma"

Il rettore Paolo Lugli a novembre lascia Unibz. "Abbiamo troppo pochi studenti locali. Il bilancio? Ci vorrà creatività, ma positivo l'aumento dei finanziamenti privati".
Paolo Lugli rettore Unibz fino al 2022
Foto: (Foto: salto.bz)

Quando è stato nominato c’era chi scommetteva che sarebbe durato al massimo un paio d’anni: trilingue, ma non sudtirolese/altoatesino; emiliano, addirittura, e con esperienze all'estero e un curriculum internazionale. In Sudtirolo profili del genere - che di einhemisch non hanno nulla - una volta entrati in contatto con l’invadenza del potere politico-mediatico e il conservatorismo diffuso, di solito vengono mandati via o messi nelle condizioni di andarsene entro un biennio. Paolo Lugli, invece, modenese di Carpi, classe 1956, laureato in fisica con un PhD in Electrical Engineering alla Colorado University, già preside della facoltà di ingengeria alla prestigiosa TUM di München, è rettore dal 2017 ed è stato riconfermato 2 anni fa. Segno che, forse, anche se il vento contrario soffia forte, qualcosa, a vari livelli, sta lentamente cambiando. Ma a novembre il rettore - è stato annunciato qualche settimana fa - lascerà Unibz per ricoprire un incarico importante a Berlino.

salto.bz: Professor Lugli, lei è alla guida dell’ateneo bolzanino dal 2017. Un paio di settimane fa è stato nominato addetto scientifico all’Ambasciata d’Italia nella capitale tedesca. Quando lascerà l’incarico a unibz?

Paolo Lugli: Allo stato attuale l’unica cosa che esiste è la nomina da parte del Ministero degli Esteri. Questo tipo di incarico prevede la messa fuori ruolo e nel momento in cui avviene il passaggio prevede cioè l’incompatibilità con la figura di rettore. Ci vorranno circa sei mesi. Il procedimento dovrebbe completarsi quindi a novembre.

Lei lascia proprio quando sta per nascere la sua creatura, la Facoltà di Ingegneria.

Premetterei che, quando due anni fa mi è stato chiesto se davo la disponibilità per un secondo mandato, avevo detto che ero disponibile a cominciarlo e a proseguirlo fino a quando non si fossero verificati eventi di natura professionale e privata che mi avrebbero potuto condurre ad altre scelte. Il progetto di Ingegneria partì nel 2017, poco dopo il mio arrivo. Si decise di creare una Facoltà che raggruppasse la parte ingegneristica già esistente, ampliata nei settori della sensoristica, dell’intelligenza artificiale, della robotica e dell’automazione, con la Facoltà di Scienze e Tecnologie Informatiche, facendo partire corsi di studi triennali sia lauree magistrali in aggiunta a quelli già esistenti. Il progetto è stato da subito accolto con entusiasmo, la Provincia ha stanziato i fondi, e un paio di mesi fa è stata posata la prima pietra dell’edificio che sarà completato all’inizio del 2024. Ma il primo corso di laurea in Ingegneria elettronica e dei Sistemi ciberfisici prenderà il via già nell’ottobre 2022 con la partenza del nuovo anno accademico. Il progetto è avviato, è stato assicurato il finanziamento, per cui a questo punto la parte propositiva e di impostazione per cui serviva una visione, è di fatto finita. Io sono molto soddisfatto di aver contribuito allo sviluppo del progetto e non è un problema che ci sia io o meno a vigilare e a condurlo in porto.

Una delle cose che andava fatta, ad esempio, era quella di incrementare la quota di fondi terzi acquisiti. Ora siamo arrivati ad avere 6 milioni attraverso procedure competitive.

Oltre alla creazione della nuova Facoltà, ci sono altre cose di cui va fiero?

Prima che lei arrivasse, ho riletto le due interviste che ho rilasciato a salto.bz, una ad ottobre 2016, quando ero stato nominato ma non ero ancora in servizio, e una a novembre 2017 come bilancio del primo anno. Gli obiettivi che sono riuscito a raggiungere sono diversi. Una delle cose che andava fatta, ad esempio, era quella di incrementare la quota di fondi terzi acquisiti. Ora siamo arrivati ad avere 6 milioni attraverso procedure competitive, alcuni dei quali direttamente per ricerche commissionate di privati. Io vengo dalla TUM, che è la 10°-11° università al mondo, che dell’acquisizione di fondi privati per finanziare la ricerca si fa un vanto ed è riconosciuta a livello internazionale e fa altre ben altre cifre, ma credo che il nostro sia un dato già importante. Ci ha peraltro permesso di introdurre la figura dei professori straordinari, che possono essere assunti per tre anni (rinnovabili) e sono cofinanziati da enti esterni come, nel nostro caso, Sparkasse, Alperia,  Covision Lab di Bressanone, Eurac, Euregio, Comuni della Val Pusteria e aziende del settore sciistico, quindi non gravanti per il periodo di finanziamento sul nostro bilancio.

La seconda misura, che dimostra un forte ancoraggio sul territorio, è la creazione dei centri di competenza, e cioè strutture parallele alle Facoltà che fanno solo ricerca su temi come per esempio la sostenibilità (con finanziamento di Sparkasse e Alperia), l’inclusione (finanziato dall’Assessorato al Sociale della Provincia) o la salute delle piante (finanziato dall’Assessorato all’Agricoltura) con fondi aggiuntivi. Nelle ultime settimane infine siamo riusciti ad ottenere i primi fondi del PNRR, finora più di 30 milioni, per ricerche applicate nel campo dell’agricoltura, delle energie alternative, degli ecosistemi montani, della gestione dei bacini fluviali.

 

Quali sono le criticità su cui invece non è riuscito a intervenire?

Ovviamente non tutti gli obiettivi sono stati raggiunti. Sempre nelle interviste di cinque anni fa dicevo che il problema della mancanza di studentati era di notevoli dimensioni. Noi abbiamo sollevato la questione in tutte le sedi ma, tranne qualche centinaio di posti in più, non è stato fatto molto. Poi in generale manca anche la possibilità di WG, Wohngemeinschaften sul modello del mondo germanico. Ultimamente molti privati ci hanno contattato, ma il problema è che poi serve un collegamento con le istituzioni. Con i soldi del PNRR ottenuti dalla provincia verranno realizzati appena 30 posti a Brunico. A Trento invece con il PNRR sono riusciti a finanziare due grandi studentati a Pergine e Rovereto.  Per noi questi studentati non devono essere per forza a Bolzano ma ci vuole la volontà e questa, purtroppo, finora non c’è stata.
Un altro tema critico riguarda la capacità dell’amministrazione dell’Università di tenere il passo con le trasformazioni e la crescita dell’ateneo. Riuscendo per esempio, come dicevamo prima, a generare più fondi per la ricerca, cresce proporzionalmente il numero di personale a tempo determinato (dottorandi o assegnisti di ricerca) che deve essere assunto. E’ ovvio che la pressione sull’amministrazione sale, per riuscire a soddisfare queste nuove esigenze. L’università per crescere ha bisogno che la struttura amministrativa appoggi la visione o che sia essa stessa propositiva. Bisogna dire che  è stato fatto un grande sforzo per la digitalizzazione (sia prima che durante la pandemia), per essere più efficienti in alcuni processi e per garantire la didattica e la ricerca. Penso che siamo riusciti a rispondere molto bene all’emergenza COVID. Ma in generale credo ci voglia una struttura amministrativa più flessibile e meno ingessata, che non abbia paura dei cambiamenti. 

Purtroppo non siamo entrati nel cuore di molti, indipendentemente dai gruppi linguistici, e non siamo per niente entrati nella percezione dei giovani. Se togliamo gli studenti di Bressanone il numero di studenti locali è troppo basso.

Nei primi anni di vita di unibz ricordo che il suo creatore, Luis Durnwalder, non ha mai nascosto che l’obiettivo era quello di avere uno sviluppo contenuto in quanto per i sudtirolesi la Landesuniversität sarebbe rimasta Innsbruck. Questo “sentiment” è ancora diffuso? Come le sembra che unibz dialoghi con la città e con il territorio?

Nell’intervista pubblicata a un anno dall’insediamento ho parlato sensazione di essere arrivato in una sorta di fortino tipo Fort Apache, con l’ateneo asserragliato e molto sulla difensiva. Devo dire che abbiamo fatto molto nella direzione dell’interazione con il territorio, sia sul fronte della formazione che del trasferimento tecnologico (ossia la trasmissione all’esterno del sapere generato internamente) . Nella Facoltà di Economia abbiamo una laurea magistrale in Accounting e Finanza, che è stata creata su richiesta dell’ Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, ed è oggi uno dei fiori all’occhiello che permette a studenti e studentesse di frequentare un anno di Master a New York attraverso borse di studio offerte da banche locali. La laurea in Scienze enogastronomiche di montagna, che partirà a ottobre,e la stessa laurea in Ingegneria elettronica e dei Sistemi ciberfisici, nascono come risposte alle esigenze espresse dal territorio. La Facoltà di Design e Arti ha fatto, per continuare con alcuni esempi,dei progetti nelle piazze assieme al Comune di Bolzano. In una struttura che resta piccola, con circa 130 professori e 130 ricercatori, abbiamo fatto un grande sforzo per uscire fuori. Da questo punto di vista, una cosa che abbiamo introdotto è la festa di consegna dei diplomi di laurea in piazza Walther e a Bressanone, in piazza Duomo. E’ un modo per dire alla città che ci siamo. Certamente possiamo e dobbiamo fare di più, ma dei passi sono stati fatti. Ciò detto, rimane il fatto che per molte persone che incontro il cuore non batte a Bolzano ma a Innsbruck. Recentemente abbiamo organizzato l’Alumni Homecoming, che riunisce  ragazzi e ragazze che hanno studiato qui e hanno poi avuto un percorso professionale di successo. Ci si deve rendere conto che ormai sono oltre diecimila i nostri laureati ed è una cosa di cui andare fieri. Va annunciato con squilli di tromba: signori, ci siamo. Purtroppo non siamo entrati nel cuore di molti, indipendentemente dai gruppi linguistici, e non siamo per niente entrati nella percezione dei giovani. E’ giusto che i ragazzi e le ragazze ambiscano ad andare a studiare fuori da qui, ma è un dato di fatto che continuiamo ad avere problemi a coinvolgere i ragazzi delle quinte superiori e a far loro capire che abbiamo un’offerta didattica eccellente e che possiamo offrire, pur essendo una università piccola e giovane, una valida alternativa a università più famose. Tornando a Innsbruck, è ovvio che non ci possiamo mettere a fare concorrenza negli ambiti in cui sono molto forti. In certi settori come quello della sostenibilità ambientale collaboriamo con IBK – abbiamo un corso di laurea magistrale congiunto, in inglese, Environmental Management of Mountain Areas  – o con Trento, con cui abbiamo un corso di laurea magistrale in Energy Engineering. Ovvio che le sinergie possano crescere ma che, ad esempio, uno corso di laurea in studi giuridici difficilmente potrebbe offerto a Bolzano e reggere la concorrenza dei due atenei limitrofi. Ma dove c’è la potenzialità di far partire qualcosa di nuovo in cui abbiamo competenze e qualcosa di nuovo da offrire, credo che unibz debba provarci, sapendo però che, anche per il trilinguismo, per noi non è facile generare una massa di utenti capace di giustificare i costi.

 

Su 4.400 studenti, quanti sono sudtirolesi di lingua italiana e tedesca?

Noi abbiamo 5 Facoltà ma un quaranta per cento degli studenti frequenta Scienze della Formazione a Bressanone. Lì il 90% sono sudtirolesi ed è grazie a questo dato che riusciamo ad avere il 45% di studenti altoatesini-sudtirolesi sul totale. Se togliamo Bressanone, il numero di studenti locali è effettivamente troppo basso. Dobbiamo cercare di andare di più nelle scuole a far conoscere il nostro ateneo. Molti ragazzi e famiglie infatti non conoscono proprio la nostra offerta. Sono il primo a dire che importante che i ragazzi escano dal Sudtirolo, ma possono farlo anche dopo la triennale. Anche perché’ noi possiamo garantire, attraverso una ottima infrastruttura e un elevato numero di docenti rispetto al numero di studenti, un accesso agli studi universitari meno traumatico rispetto ad università dove, all’inizio, ci si trova in classi assieme a centinaia di studenti. Da noi, inoltre, un semestre su sei lo possono frequentare all’estero, in Erasmus. Abbiamo il 17% di studenti internazionali, il nostro profilo è già internazionale, ma ci mancano paradossalmente, in alcune facoltà, gli studenti locali.

Abbiamo concordato con la Provincia di far valutare da un panel di esperti esterni tre nostre Facoltà. In Italia questa cosa non la fa nessuno.

In alcune risposte lei ha già replicato indirettamente ad alcune osservazioni fatte dal professor Francesco Grillo che ha fatto arrabbiare molti docenti e dirigenti dell’Università di Bolzano. A parte il fatto di aver scoperto che il mondo accademico quanto a permalosità rivaleggia con quello giornalistico, credo che diversi aspetti che ha sollevato meritino almeno un dibattito. L’eccessivo numero di corsi, ad esempio, alcuni dei quali aperti su spinta di alcuni settori economici che poi hanno piantato in asso unibz ... O non è così?

Le do una notizia che non abbiamo ancora comunicato all’esterno semplicemente perché il percorso non è ancora terminato. Abbiamo concordato con la Provincia di far valutare da un panel di esperti esterni tre nostre Facoltà. In Italia questa cosa non la fa nessuno. Questo report ci servirà per prendere le decisioni dell’accordo di programma con la Provincia nei prossimi tre anni (2022-2024). Abbiamo avviato una spending review e un’analisi dei processi amministrativi che esaminerà alcune delle questioni sollevate da Francesco Grillo. La valutazione dovrà rispondere a domande come: ci sono troppi corsi? Quali sono sostenibili da un punto di vista finanziario? Com’è il rapporto con le imprese? Quali correlazioni ci sono tra i costi dell’università e alcune questioni chiave decise a livello politico? Per chiarire un punto importante, il costo di un corso di studi che preveda molti laboratori e attività pratiche, come il caso di molti corsi offerti dalla Facoltà di Scienza della Formazione e da quella di Scienze e Tecnologie, è molto superiore a quello di facoltà basate principalmente su lezioni fontali, come succede in molti corsi della Facoltà di Economia. Tagliare i costi è certamente possibile riducendo tali attività pratiche ma la qualità della formazione diminuirebbe. La spending review che stiamo facendo è una nostra iniziativa non richiesta dal Ministero. Io sono corresponsabile dei corsi avviati negli ultimi 5 anni e devo dire che il 90% è stato fatto su richiesta diretta di qualche ente e/o in risposta a delle esigenze che ci venivano da attori del territorio. Che ci siano attualmente dei corsi che dal punto di vista del numero di studenti e delle ricadute non al livello in cui dovrebbero essere, sono il primo a dirlo. Ma, va ricordato, siamo vincolati a tutti i regolamenti del Ministero dell’Università e della Ricerca, non è che possiamo spegnere i corsi dall’oggi al domani e licenziare i professori. Ogni ri-ordino va fatto per gradi, compatibilmente con il sistema italiano che ha una rigidità medievale del tutto antistorica e contraddittoria rispetto a come vanno le cose nel mondo. 

Una cosa che ha fatto arrabbiare il neo-vicepresidente Antonio Lampis è il cenno di Grillo al fatto che i docenti qui guadagnano troppo. E’ così? Se non li strapaghiamo non vengono? Oppure come dice Grillo l’attrattività non è legata agli stipendi ma ad altri fattori?

Penso vada fatta chiarezza e vadano evitate le banalizzazioni. Lo stipendio di base di un professore di unibz è più alto rispetto alla università statali grazie ad una indennità speciale. Questo stipendio rimane pero’ fisso per i primi anni, nei quali gli adeguamenti all’inflazione e gli scatti stipendiali legati all’anzianità invece di essere pagati (come avviene nelle statali) assorbono tale indennità. Dopo alcuni anni, lo stipendio base a unibz è uguale a quello nazionale. In aggiunta vi sono alcune altre indennità, quali quella linguistica e quella scientifica, attribuite solo a chi sia in possesso di particolare requisiti. Se confrontiamo invece con i paesi di lingua tedesca (Germania, Austria e Svizzera) i nostri stipendi, anche considerando le indennità, sono inferiori, a parità di livello accademico e di anzianità. La legge sul “rientro dei cervelli” ci ha in effetti aiutato molto nell’attirare professori da quei paesi, cosa per noi fondamentale per garantire la nostra offerta trilingue. All’affermazione che i professori di unibz guadagno troppo io risponderei che semmai è vero il contrario, e che sono i professori delle università statali che guadagnano troppo poco. Trovo virtuoso un modello premiale come il nostro, magari con qualche aggiustamento che assicuri dei benefit (a livello sanitario o pensionistico) invece di contributi in denaro.

Noi ci siamo prestati per fare in modo che apprendisti potessero per un certo periodo frequentare  l’università in modo da ottenere una qualifica più elevata. Ma questo non ha funzionato

E per quanto riguarda il bilancio? I vostri bilanci di previsione sono effettivamente in crescita e quelli della Provincia prevedono invece un minor esborso per l’ateneo negli anni a venire?

Noi dalla Provincia abbiamo avuto circa 77 milioni nel 2020, 85 nel 2021 e 87 nel 2022, con una crescita media inferiore al 10%. Oltre ai fondi dei privati abbiamo 3,5 milioni di introiti dalle rette e quello va a comporre il nostro budget. In questi anni, per coprire i costi reali abbiamo dovuto attingere alle riserve. Paradossalmente il Covid da questo punto di vista ha avuto un effetto positivo sulla diminuzione dei costi: meno conferenze e a distanza, niente Erasmus… Non è che possiamo dire che ci siano delle criticità di bilancio. Siamo in fase di contrattazione con Provincia per i prossimi tre anni. Ma ovviamente noi dobbiamo garantire che parte del budget venga da altre fonti che non siano sempre l’ente pubblico. Ma anche per questo serve una struttura amministrativa adeguata. Dobbiamo essere creativi nel trovare risorse ma finora non abbiamo trovato molti privati disponibili. Qui non c’è ancora un ecosistema dell’innovazione come lo si trova a Monaco,  Dresda, Losanna o Zurigo. Questo tipo di best practices andrebbe semplicemente copiato. In questo territorio tutti si aspettano ancora troppo che sia sempre e solo la Provincia a pagare. Se LIDL investe 6 milioni nella TUM per andare a fare un campus in Baden Wuerttemberg, non si capisce perché cose analoghe non possano avvenire anche qui. Qualcosa si muove ma molto molto lentamente. Bisogna essere disposti a slegarsi da questo modello. Questa è una cosa assolutamente necessaria visto che in futuro la Provincia potrebbe essere portata a dover stringere la cinghia. Da parte nostra, dobbiamo dimostrare alle imprese la volontà di lavorare assieme e guadagnare la loro fiducia. Il rapporto deve però essere bilaterale. Alcune iniziative hanno problemi strutturali. È successo per il profilo duale che abbiamo introdotto per la laurea in Ingegneria dell’Automazione sul modello delle Fachhochschulen in Germania. Noi ci siamo prestati per fare in modo che apprendisti o dipendenti delle aziende potessero per un certo periodo frequentare  l’università in modo da ottenere una qualifica più elevata. Ma questo non ha funzionato tanto bene perché le industrie ci dicono: non puoi prendere questa persona che ho fatto fatica a trovare e mandarla a studiare.

 

Quello che lei ha citato credo che fosse il caso cui alludeva Grillo. Una curiosità: come mai la retta per gli studenti, a differenza delle università italiane, non prevede quote differenti in base al reddito? È giusto che il figlio dell’uomo più ricco paghi (quanto?) come il figlio che proviene da una famiglia a basso reddito?

A differenza dalle Università Statali, il diritto allo studio è gestito direttamente dalla Provincia, che garantisce l’aiuto economico a favore di studenti e studentesse provenienti da famiglia a basso reddito. La retta è fissa, ma è anche molto più bassa della media italiana. Quanto effettivamente si paga, dipende poi  dalle agevolazioni ricevute. Va ricordato che ormai da una decina di anni nelle università tedesche le rette sono state abolite. Se questo sia un modello da seguire, lo lascio decidere alla politica. Se fosse per me, io a Bolzano abolirei le tasse conservando un numero chiuso che consenta di selezionare gli studenti e le studentesse più meritevoli.

Il trilinguismo è importante ma non deve essere un dogma, va analizzato disciplina per disciplina e pensare a cosa sia meglio.

Da quando è nata, unibz ha sempre avuto un rapporto molto stretto con la politica. La Provincia ha diritto di intervento su tutto e molti dicono che lo Statuto dell’università andrebbe cambiato. Cosa ne pensa?

Essendo il nostro finanziatore principale è normale che ci siano legami stretti con la Provincia, ma trovo che l’anniversario appena celebrato dei 25 anni di università sia il momento giusto per ripensare alcune caratteristiche. Io sono un grande sostenitore del trilinguismo ma credo però che debba essere applicato in modo flessibile. Se chiediamo alle imprese, come abbiamo fatto per la Facoltà come Ingegneria, se preferiscono avere molti ingegneri che parlino inglese o pochi trilingui, la risposta è ovvia. C’è prima di tutto bisogno di forza lavoro qualificata, se poi è anche trilingue tanto di guadagnato.  E infatti abbiamo introdotto un progetto pilota abbassando i requisiti linguistici in entrata per i corsi di studio in Enogastronomia di montagna e Ingegneria elettronica dal livello B2 a B1 (e corrispondentemente da C1 a B2 in uscita). Il trilinguismo è importante ma non deve essere un dogma, va analizzato disciplina per disciplina e trovata la soluzione più adeguata. E così lo Statuto dell’Università, pur con qualche piccola modifica, è lo stesso pensato 25 anni fa. Anche su questo, penso sia necessario introdurre modifiche significative..

 

 

 

 

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Josef Fulterer Lun, 06/27/2022 - 06:40

An einer Nahtstelle von zwei Sprachen, ist die Kenntnis der jeweils anderen Muttersprache unbedingt notwendig und bringt auch viele Vorteile.
Dazu sind die drei Schulämter, die eifersüchtig ihr Dasein fristen, samt den drei Landesräten zu verräumen und der Fächer-Unterricht zumindest jährlich abwechselnd, mehrsprachig zu gestalten.
Für die Verbindung zur übrigen Welt, hat sich die englische Sprache durchgesetzt, an der auch die Jugendlichen deutlich mehr interessiert sind.

Lun, 06/27/2022 - 06:40 Collegamento permanente
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Liliana Turri Ven, 07/15/2022 - 18:14

Concordo con quanto dice Josef Fulterer: una scuola bilingue che incomincia dalla scuola per l'infanzia ad esporre i bambini alle due lingue del territorio continuando poi il restante percorso scolastico con l'insegnamento paritetico nelle stesse lingue, secondo un modello che già abbiamo in azione, la scuola ladina. La terza lingua, quella straniera, di solito inglese, la wordl language insegnata secondo il metodo CLIL, insegnamento di lingua e contenuti in contemporanea.

Ven, 07/15/2022 - 18:14 Collegamento permanente