Società | Il commento

La deriva del sociale

Negli ultimi venticinque anni una vera e propria involuzione ha travolto il sociale così come lo conoscevamo.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
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Foto: Sociale
Scelgo di usare apposta il termine 'Involuzione', per sottolineare i passi all’indietro che sono stati fatti in questo periodo.
 
All’origine c’è la famosa (o famigerata, a seconda dei punti di vista) legge 13 del 1991, con la quale, dopo appena 8 anni di gestione in proprio, la Provincia Autonoma, delega le competenze per i servizi sociali alle neo costituende Comunità Comprensoriali. Nelle intenzioni un nobile tentativo di avvicinare i servizi al cittadino, in pratica un vero e proprio 'scaricabarile'.
 
Alcuni lo avevano capito subito, per altri c’è stato tutto il tempo per capire. Burocratizzazione dei servizi, creazione di uffici superflui se non inutili, appiattimento degli interventi sul livello procedurale e non più su quello dell’efficacia (per cui vale il tristemente famoso motto: “l’operazione è riuscita perfettamente, ma il paziente e morto”), budget ridotti e parallelo sperpero di risorse, proliferazione di figure professionali che svolgono compiti simili ma con diverso inquadramento, creazione di figure manageriali fittizie, consulenze inutili.
 
Questi solo alcuni dei danni dell’involuzione, ma vale la pena di ricordare anche che la tanto sbandierata 'vicinanza dei servizi al cittadino' ha fatto sì che i politici non si limitassero alla programmazione e all’indirizzo, che era il loro ambito primario, ma mettessero pressione su varie 'emergenze', trasformando i servizi in ondivaghi erogatori di mere prestazioni, misurabili, percentuabili e statisticizzabili, pronti insomma per qualsiasi dibattito televisivo o mediatico in generale.
 
Questa frenesia del consenso che ha caratterizzato la gestione del sociale in questi anni, ha portato con sé la conseguenza che alcuni settori, come ad esempio l’handicap o la salute mentale si sono trovati sempre più abbandonati a se stessi e con sempre meno fondi a disposizione. Basti pensare che si è passati dalla copertura di circa l’80% della spesa ammessa a metà anni novanta al 60 % attuale, il che significa un maggiore esborso per le famiglie e una situazione perennemente critica per le associazioni che sempre più sono chiamate a rispondere a bisogni che il pubblico non copre, ma con budget di gran lunga ridotti rispetto a prima.
 
Gli stessi operatori che lavorano nei servizi pubblici soffrono da anni di demotivazione e sentono sempre di più il loro lavoro come routinario e privo di obiettivi reali su cui costruire anche una professionalità. 
 
Insomma l’imbarbarimento che ha fatto scempio del mondo del lavoro non ha certo risparmiato il sociale, le cui carenze sono soprattutto di natura programmatica e di visione d’insieme nonché di partecipazione. Le assemblee delle associazioni sono sempre più deserte, le decisioni che vengono prese rispecchiano punti di vista che privilegiano l’aspetto problematico dei fenomeni piuttosto che la capacità del tessuto sociale, cioè dell’autentico 'sociale', di saper elaborare risposte positive.
 
Se a questo aggiungiamo che recentemente gli operatori dei servizi di prima accoglienza vengono utilizzati (non senza una punta di malafede) come forze dell’ordine nel caos creato dal fenomeno migranti, il quadro d’insieme appare sconsolante.
 
Prima delle parole e delle eventuali misure dei politici però, sarebbe opportuno che fossero i cittadini, le persone a riprendere in mano il bandolo della matassa e iniziare un percorso di crescita comune e di elaborazione. 
 
Nel cosiddetto “sociale” la differenza la fa chi pensa, non chi subisce le categorizzazione altrui.