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Foto: Tiziana Antonello
Società | Avvenne domani

La bottega del falegname

Una storia di ordinaria resistenza

Salvatore Jodice racconta la sua storia in un seminterrato, per metà centro sociale e per l'altra metà laboratorio da falegname, nel cuore dei Quartieri Spagnoli di Napoli. L'affaccio, al piano superiore, è su una stradina stretta, dove persino gli immancabili motoscooter stentano a passare. A poche decine di metri l'elegante via Toledo, dove i militari in armi proteggono il passeggio dei napoletani tra i negozi e le pasticcerie. Un altro di quei confini invisibili che, come ricordava nei giorni scorsi in un articolo Roberto Saviano, segnano in maniera netta la pianta di Napoli.

Salvatore Jodice spiega, con poche parole accuratamente scelte, di aver percorso la strada sulla quale si incamminano moltissimi giovani della sua città: quella della droga, dei piccoli reati, del carcere. La sua fortuna, spiega, è stata quella di nascere in una famiglia dove il "malaffare" non era pane quotidiano. Dopo la prigione, quindi, la scelta di abbandonare le brutte abitudini, ma anche quella di cercare il proprio riscatto personale nell'aiutare altri giovani come lui, nel dedicarsi interamente al quartiere dove è nato e vissuto. Ricorda, Salvatore Jodice, che da piccolo avrebbe voluto tanto imparare a fare il falegname, ma nel rione c'era un artigiano che non gli permetteva di entrare nella bottega per guardare. Ha deciso, quindi, di dare ad altri ragazzi quell'opportunità che a lui era stata negata.

Il seminterrato dove sono raccolti tutti i pezzi di legno, di carta, recuperati nel quartiere tra gli scarti, assieme ai barattoli di pittura lasciati a metà, diviene così un punto di ritrovo, una fucina di idee per ridare dignità e colore ad uno dei rioni più noti e meno fortunati di Napoli. Il turista non proprio distratto che va alla scoperta dei Quartieri Spagnoli non potrà fare a meno di notare cartelli colorati che a volte indicano dei luoghi e in altri casi delle emozioni. Escono dal laboratorio di Salvatore Jodice e dei suoi ragazzi, così come i cestini dell'immondizia. Si era pensato, racconta il falegname, di mettere qua e la anche qualche panchina per le donne anziane che devono pur riposarsi prima di affrontare la tua ascesa verso i piani alti di queste case, costruite secoli fa per ospitare le guarnigioni del Viceré di Madrid, e rimaste sino ad oggi quasi senza interventi di recupero, senza ascensore. Il Comune non ha dato il permesso.

Non si fa illusioni Salvatore Jodice. Conosce le leggi che regolano la vita e la malavita nel luogo in cui è nato e nel quale ha scelto di continuare a vivere. Sa che molti dei ragazzi che si affacciano nel suo seminterrato sconteranno comunque la pena esistenziale che loro compete per il semplice fatto di essere nati in quelle case. Sa che conosceranno il carcere, ma, dice, quando usciranno forse si ricorderanno di avere imparato, in qualche modo, un mestiere e avranno un'alternativa.

La storia di Salvatore Jodice e dei suoi ragazzi dei Quartieri Spagnoli ritorna alla mente in questi giorni di fronte al frastuono mediatico, convulso e a tratti incomprensibile, del dibattito sulla scuola italiana, sui suoi problemi, sul suo futuro. Sulla stampa, in televisione, alla radio, sui social media tutto si mescola e si confonde: gli isolati episodi da codice penale, le frustrazioni della classe docente, i rigurgiti acidi di chi, a mezzo secolo di distanza, è ancora in attesa di regolare i conti con movimento del 68. Qualche giorno ancora la tempesta si placherà, sino al prossimo professore minacciato o al prossimo studente suicida.

I termini della questione, forse, sono un po' più chiari se osservati dal fondo del seminterrato di Salvatore Jodice, nei Quartieri Spagnoli.