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“Siamo un presidio di socialità”

Mauro Trentini e il centro Nologo di Laives tra emergenza virus e riapertura: l’attività a distanza, il contatto con i ragazzi, la paura degli adulti. “Aperti in estate”.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale del partner e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
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Foto: Nologo

salto.bz: Mauro Trentini, presidente della cooperativa Arcoop che gestisce il centro di cultura giovanile Nologo di Laives, come sta andando la struttura vicina a compiere i 20 anni di vita?

Il nostro è un centro giovanile un po’ atipico. Nato da una scelta concertata con il Servizio Giovani della Provincia e con il Comune di Laives, mira a servire un target di ragazzi e ragazze dai sedici anni in su: una fascia che di questi tempi soffre la minor presenza di servizi specifici e dedicati rispetto ai bambini ed agli anziani. Attualmente il nostro gruppo di riferimento è composto principalmente da ventenni, ragazzi che almeno anagraficamente sono adulti. Essendo l’intera nostra attività rappresentata da tutti quegl’interventi che stringatamente potremmo definire di “coaching”: di supporto e sostegno alla persona affinché possa esprimere il proprio percorso, possa sconfiggere i blocchi interiori ed esteriori ed andare oltre la crisi d’autogoverno. È chiaro che in questo periodo estremamente atipico, il nostro lavoro, che è essenzialmente lavoro per e di relazione, ha trovato in tante sue espressioni un duro stop: dalle registrazioni e produzioni audio alle meditazioni collettive, dalle costellazioni famigliari a certe pratiche energetiche più particolari.

Il centro non si è fermato durante la quarantena. In che modo il lockdown ha modificato la vostra attività?

La nostra azione si è semplicemente trasferita per una quantità maggiore di tempo sulle piattaforme digitali. Questo spostamento ci ha creato qualche problema all’inizio, perché non avevamo più orari, poi ci siamo rodati ed è andata meglio.

Come hanno reagito i ragazzi a questa fase difficile?

L’ondata di sconcerto iniziale si è sommata al senso di paura che, per quanto riguarda i “nostri” ragazzi, ha sortito tutto sommato un effetto piuttosto contenuto, mentre abbiamo notato un maggiore impatto tra i genitori che hanno faticato un po’ di più nel gestire il momento.

I genitori erano più spaventati dei figli?

Da quel che abbiamo potuto constatare dal nostro piccolo punto d’osservazione sì e questo per una serie di ragioni. Chiaramente i genitori si sono sentiti schiacciati tra martello ed incudine, privi di un’istituzione come la scuola che potesse effettivamente sostenere almeno in alcuni momenti il figlio e dar loro modo di respirare a livello individuale, consentendo la gestione dello stress. In casa 24 ore su 24 era più difficile. Invece con i ragazzi un po’ più grandi è stato diverso: tanti di loro avevano già sviluppato un’abitudine alla meditazione, a ritagliarsi spazi di riflessione e hanno sperimentato quella che nella tradizione monacale è definita “la prova del kelion”, della cella: ovvero sfruttare la limitazione di movimento e la costrizione nelle relazioni prossime per aumentare il proprio stato di consapevolezza; l’occasione per fare quel tipo di lavoro interiore che permette di aumentare il proprio stato di coscienza, inteso come consapevolezza di se stessi, di quello che c’è attorno, del potenziamento dei propri mezzi.

Tramite quali piattaforme digitali avete mantenuto il contatto?

Ad esempio tramite Zoom, la sede in cui fra l’altro ho ricevuto gli auguri di compleanno (sorride, ndr), e soprattutto Whatsapp. Poi ci sono i gruppi di diversa estrazione, quelli dedicati ad un tipo di meditazione piuttosto che un altro, ancora i gruppi rivolti a tematiche economiche e altri argomenti.

Con quanti utenti avete continuato a lavorare anche nel periodo del lockdown?

Difficile quantificare, ma circa una ventina, solo ragazzi, altrettanti i genitori.

Circa una ventina di famiglie nel complesso?

Anche un po’ di più, considerando anche che ci sono altri genitori che si sono interessati al nostro centro.

Si può dire dunque che siete stati un sostegno, un filo diretto con le famiglie durante l’emergenza?

E’ quello che c’auguriamo e cerchiamo di fare sempre: desideravamo essere presenti anche con queste modalità trasformate, a distanza. Abbiamo dovuto commutare gli strumenti del dialogo e non nascondiamo di aver avuto qualche difficoltà. Ad esempio nel rapporto con il gruppo tra i 16 e i 20 anni, che tendenzialmente hanno bisogno di una presenza più fisica, perché non è ancora consolidata quel tipo di relazione che permette di giocare sulla speculazione, sulle piene leve motivazionali e soprattutto sulla provocazione in assenza del diretto contatto. Ora che abbiamo aperto da un paio di settimane vedremo di pensare a delle modalità, in sicurezza, per poterli riavvicinare e coinvolgere maggiormente.

Com’è ora la ripartenza per il centro giovanile?

Teniamo conto naturalmente in modo rigoroso delle regole: una persona ogni 10 metri quadri, mascherina quasi sempre, quando c’è interazione, disponibilità di accedere ai disinfettanti per mani in modo libero. Partiremo con gli incontri in simultanea a 4-5 persone non appena avremo le forniture complete di materiale sanitario, nel mentre abbiamo già cominciato con attività individuali.

Si avvicina un’estate in cui sarà difficile andare in vacanza e alcune famiglie avranno sicuramente bisogno di sostegno: come Nologo che progetti avete?

Negli anni scorsi abbiamo sempre avuto cura di rimanere aperti continuativamente anche in estate, proprio per permettere ai ragazzi più timidi o svantaggiati, quelli che i gruppi di pari tendono a schivare, di trovare un appoggio. Momenti di apparente noia o scoramento perché “tutti sono via”, possono divenire un’occasione preziosa per instaurare relazioni più profonde, recepite in modo maggiormente autentico. Lavorare con i ragazzi significa in sintesi “perdere” tempo con loro, impegnarsi ed instaurare quel tipo di profondità che è alla base per qualsiasi altro sviluppo successivo.

Rimarrete aperti quindi?

Certamente. La prima cosa che è stata intaccata nell’emergenza è il senso di comunità e la relazione. Quest’ultima è l’essenza del lavoro per un centro giovanile, quello su cui ci si basa, perché a differenza della scuola non c’è coercizione.

Volete continuare a essere un presidio di socialità, è così?

Sì, nel bene e nel male è sempre stato il sentiero che abbiamo percorso ed intendiamo ancora percorrere. L’obiettivo è restituire una qualità di relazione, di interconnessione superiore a quella di entrata.

Tra i servizi potete vantare lo studio di registrazione musicale: continua a essere molto richiesto?

Lo studio è ora aperto, gli artisti vengono, secondo le misure di sicurezza (e dobbiamo sanificare continuamente le attrezzature), ma la risposta è positiva: si sono rimessi in moto, tanti a quanto pare hanno trovato linfa vitale per nuove produzioni e noi, che ci sentiamo a loro supporto, non possiamo che esserne felici.