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“Il calcio dovrà adeguarsi ai tempi”

Account manager durante la settimana e arbitro nei weekend sui campi del Sudtirolo. Lei è Laura Sberna.
Sberna, Laura
Foto: Georg Hofer

Laura Sberna, 30 anni, lavora come account manager per un’azienda a Bolzano. Il fine settimana, smessi gli abiti da lavoro, indossa le scarpe coi tacchetti, la divisa dai colori sgargianti e fischietto alla mano, fa rispettare le regole del gioco sui campi del Sudtirolo. Da 14 anni Laura è un arbitro di calcio.

 

Com’è nata la tua passione per il calcio e per la professione di arbitro?

Il calcio mi è sempre piaciuto. Sono una grande tifosa dell’Inter. Mio padre, che mi ha fatto innamorare di questo sport, un giorno portò a casa il volantino del corso per arbitri. Incuriosita, mi sono iscritta e da lì è iniziata la mia avventura.

Ci sono aspetti comuni tra i tuoi studi, il tuo lavoro e la tua attività di arbitro?

Mi sono laureata in giurisprudenza e nutro un profondo rispetto per le regole e le leggi. Al lavoro mi definiscono scherzosamente uno “squalo”, perché sono molto determinata. Sia nel lavoro che sui campi di calcio devo essere reattiva e prendere decisioni in un breve lasso di tempo, portare avanti l’idea che reputo più corretta e avere la forza di riconoscere i miei sbagli. 

La pressione del pubblico sugli spalti incide sulle tue prestazioni in campo?

Agli esordi sì, essere insultata non è una bella esperienza. Il pubblico ha dei pregiudizi quando vede una donna arbitro e borbotta “non capirà niente, chissà cosa combina”. Col tempo ho imparato a non dare troppo peso agli atteggiamenti sugli spalti. Il comportamento delle donne in tribuna invece suscita in me una reazione ambivalente. Se noto che stanno zitte mentre gli altri tifosi mi criticano, credo che lo facciano solo perché sono anche io una donna e, paradossalmente, mi sento discriminata. Se invece protestano ci rimango male, perché penso che probabilmente nella vita di tutti i giorni criticano con cognizione di causa il ruolo della donna, spesso marginale nella nostra società.

Al lavoro mi definiscono scherzosamente uno “squalo”, perché sono molto determinata. Sia nel lavoro che sui campi di calcio devo essere reattiva e prendere decisioni in un breve lasso di tempo, portare avanti l’idea che reputo più corretta e avere la forza di riconoscere i miei sbagli.

Qual è il tuo rapporto con le regole?

Credo che il rispetto delle regole nel calcio e nella vita sia fondamentale, ma reputo al tempo stesso importante essere aperti e flessibili in determinate situazioni. In campo ad esempio posso “non sentire” lo sfogo di un giocatore per un tiro finito fuori di pochissimo. Su certi episodi, però, è impossibile sorvolare. Ricordo che una volta, dopo aver fischiato un calcio di punizione, un giocatore ha imprecato a voce altissima. Non ho potuto ignorare l’episodio e l’ho espulso, ne andava la mia credibilità di arbitro.

Come vedi la donna nel mondo del calcio?

Le donne godono ancora oggi di scarsa considerazione e il calcio è considerato uno sport di e per soli uomini. Recentemente la squadra femminile della Juventus è diventata campione d’Italia, ma voi avete letto la notizia da qualche parte? Non c’è spazio per le donne ai livelli più alti. In Italia poi siamo particolarmente indietro. In Bundesliga, il massimo campionato tedesco, c’è un arbitro donna. Da noi una collega è arrivata al massimo a ricoprire il ruolo di guardalinee in serie B. Nel mio piccolo cerco di dare il mio contributo, ma la strada da fare è ancora molto lunga. 

 

 

Cos’è per te il fair play?

Il fair play è l’essenza dello sport, ma troppo spesso è visto come una cosa eccezionale. Ci sorprendiamo quando assistiamo a un gesto di sportività in campo, mentre la correttezza dovrebbe essere la norma. Dovremmo ricordarci sempre che il calcio è e dovrebbe rimanere prima di tutto un gioco.

Cosa diresti a una bambina che vuole intraprendere la carriera di arbitro?

Le direi di crederci e di provare fino in fondo a realizzare il suo sogno. La nostra società prima o poi evolverà e anche il mondo del pallone dovrà adeguarsi ai tempi.

Non c’è spazio per le donne ai livelli più alti. In Italia poi siamo particolarmente indietro. In Bundesliga, il massimo campionato tedesco, c’è un arbitro donna. Da noi una collega è arrivata al massimo a ricoprire il ruolo di guardalinee in serie B.

C’è un modello a cui ti ispiri?

Il mio modello è stato Pierluigi Collina, perché, oltre a essere stato un ottimo arbitro, ha contribuito in maniera decisiva nel donare al direttore di gara una dimensione umana. L’arbitro, infatti, è una persona e può commettere degli errori, proprio come un calciatore può sbagliare un calcio di rigore.

Per quale squadra farai il tifo ai Mondiali?

Non so se guarderò i Mondiali, perché forse rosicherei troppo visto che l’Italia non è riuscita a qualificarsi (ride ndr). A parte gli scherzi, devo ancora trovare una “squadra simpatia”. Non sarà semplice, penso che deciderò a Mondiale iniziato.

 

Quest’articolo è tratto dal numero di giugno 2018 del giornale di strada zebra.