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La cooperativa per la vita indipendente

I 20 anni della cooperativa independent L. raccontati dal presidente Enzo Dellantonio.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale del partner e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
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Foto: Independent L.

Independent living di Merano, conosciuta come independent L., sostiene da sempre i diritti delle persone disabili, ha come credo l’innovazione continua nei Servizi e compie 20 anni. La storia di Enzo Dellantonio, cooperatore dopo l’incidente: “Digitale accessibile a tutti per definizione, un’opportunità da cogliere”

Enzo Dellantonio, presidente della cooperativa sociale Independent living fondata nel 1997 per promuovere “la vita indipendente e la mobilità delle persone disabili in Alto Adige”. Da dove viene questo nome?
Il termine indica la filosofia appunto dell’Independent living che nasce negli anni sessanta all’università di Berkeley (California), dove si sono mossi i primi passi del 1968, della stagione dei diritti civili. A un certo punto accade che nel campus un gruppo di studenti universitari non autonomi, e intendo persone bisognose di assistenza o accompagnamento 24 ore su 24, ospitati nell’infermeria del campus e con accesso a poche aule, vanno dal rettore e gli dicono: Ma senta, per il nostro mantenimento quanto spende? Perché quei soldi non li dà a noi che ci autogestiamo? Così nasce il movimento per una vita indipendente. Un concetto che noi abbiamo fatto proprio. Sto semplificando e romanzando leggermente, ma non sono lontano dal vero. Di fatto era l’inizio di una svolta epocale che, passando per la presa di coscienza dei singoli, le pari opportunità, la dignità umana e soprattutto il diritto di autodeterminazione da parte del singolo individuo nel prendere autonomamente le piccole e grandi decisioni della vita, ha indicato e tracciato la strada che nel 2007 ha portato alla firma della Convenzione ONU sui Diritti delle persone disabili, ratificata e fatta propria prima dall’UE e successivamente da tutti i Paesi aderenti.

La storia della cooperativa è profondamente legata alla sua vicenda personale, è corretto? 
Nel settembre 1989 rimasi in sedia a rotelle, tetraplegico, ovvero con lesioni ai quattro arti, in seguito a un incidente. Prima lavoravo come insegnante di ruolo e vicepreside alle scuole medie Archimede di Bolzano e vivevo in via Cesare Battisti, dove avevo appena acquistato un appartamento. Lì purtroppo mi sono scontrato con le barriere architettoniche. Proprio non entravi, per via di 4-5 scalini e dell’ascensore con portine di legno apribili verso l’esterno. Progressivamente ho capito sulla mia pelle che in Alto Adige a quel tempo non c’era assolutamente nulla per le persone nelle mie condizioni. Un punto di riferimento, un luogo dove chiedere informazioni, dove confrontarsi, dove parlare e la rete (internet) era agli albori. C’è poi un altro passaggio fondamentale che mi portò alla scelta di lasciare la scuola e dare vita alla cooperativa.

Quale?
Succede che dopo un anno di ospedalizzazione e riabilitazione e due anni di aspettativa decido che forse valeva la pena di fare un tentativo, di tornare a insegnare e mi presento davanti alla commissione medica deputata a giudicare il mio stato psicofisico e la conseguente idoneità. La decisione mi viene comunicata tramite raccomandata ed è accompagnata da una sorpresa: idoneo a riprendere servizio, però destinato ad altro incarico. In altre parole bibliotecario presso la scuola media Negrelli di Merano. Il nuovo e “prestigioso” ruolo che mi viene assegnato full time per i successivi 30 anni, prevede la mia presenza in un’aula a ciò adibita nel seminterrato, dotata di una “piacevolissima” luce al neon che oltre ad illuminare l’ambiente era stata concepita con la funzionalità aggiuntiva di stimolare le endorfine, metterti di buon umore e di supplire col suo “calore” al totale isolamento e stato di emarginazione cui venivo relegato.

La motivazione consisteva nel fatto che non potendo utilizzare le mani in maniera sufficientemente produttiva, non avrei potuto correggere, tenere il registro, scrivere i giudizi. Le tentai tutte per rimanere insegnante, offrendo anche il mio appoggio in qualità di assistente al docente designato di informatica, poi però il Consiglio decise di realizzare l’aula informatica al 2° o 3° piano e non essendoci un ascensore accessibile la mia proposta si auto-cassò da sola.

A quasi 30 anni di distanza e con una vita lavorativa e relazionale piena di soddisfazioni, posso ripercorrere quegli anni con un certo distacco misto a una punta di ironia, ma a quei tempi si è trattato di un passaggio di crescita e di presa di coscienza obbligato e catartico.

Da lì quindi nasce l’idea della cooperativa, giusto?
Sì, di una cooperativa ovvero di un centro per la vita indipendente. Ormai erano passati quasi dieci anni dall’incidente. Nell’aprile 1997 diedi le dimissioni e nel novembre fondammo la cooperativa. All’inizio eravamo io, Martin Telser, paraplegico e la mia attuale compagna di vita e futura consorte Tiziana - artefice a tutti gli effetti della mia “rinascita” – si aggiunsero poi due assistenti sociali, un programmatore e una segretaria/contabile. L’obiettivo era quello di realizzare un punto d’appoggio per le persone che a causa di traumi o patologie invalidanti vedono cambiare totalmente la loro vita; un punto di riferimento che desse informazioni, offrisse consulenze, erogasse attività di formazione al e sul lavoro finalizzata all’inserimento lavorativo di persone con disabilità motorie.

L’altro passaggio chiave, in quella prima fase, è stata la realizzazione di un telecentro: un’area all’interno della cooperativa - ma replicabile in qualsiasi altra azienda - in cui persone con disabilità potessero lavorare in un ambiente coeso con altri colleghi nel settore dell’informatica e telematica. Fa piacere ricordare questi passaggi, questa crescita progressiva ma continua, perché contestualmente ricordo anche lo scetticismo di molti, ma anche i volti di chi ci ha incoraggiato, appoggiato e sostenuto sin dall’inizio incondizionatamente. E sono tanti.

Oggi la cooperativa è conosciuta e apprezzata a livello provinciale, nazionale e internazionale. Independent L. ha pubblicato diverse ricerche, elaborato il portale ufficiale dell’Alto Adige dedicato al turismo accessibile per tutti (www.altoadigepertutti.it), organizzato numerosi convegni a carattere internazionale e realizzato innumerevoli progetti cofinanziati da fondi europei. La cooperativa è riconosciuta quale centro per la consulenza nella progettazione ed eliminazione delle barriere architettoniche e come centro di competenza nel settore delle assistive technology.

Independent L. è rimasta fedele allo slogan che da sempre ha ispirato e contraddistinto ogni attività e ogni investimento fatto: “le tecnologie esistono, utilizziamole”.

Quanto è cresciuta Independent living?
I soci fondatori - 9 persone tutte in sedia a rotelle – erano per la maggior parte persone laureate di madrelingua italiana e tedesca tra i 18 e i 50 anni. Si trattava, se volete, a tutti gli effetti di una sfida personale, di una sorta di rivalsa dopo ciò che avevo subito sulla mia pelle a livello professionale e non. Volevo/volevamo dimostrare che anche persone su una sedia a rotelle erano in grado di lavorare, di ottenere e produrre risultati quantomeno alla pari se non qualitativamente migliori. Questo è stato e continua ad essere il vero propellente di independent L. – nata e concepita in un piccolo appartamento in centro a Merano e che oggi si estende su oltre 600 mq, con l’obiettivo di aprire al più presto una filiale a Bolzano. Oggi independent L. conta 24 collaboratori interni con contratto a tempo indeterminato e 7 collaboratori esterni “fissi”. 9 collaboratori assunti rientrano nella definizione di persone svantaggiate ai sensi della L. 381/1991; si tratta quindi di „inserimenti lavorativi interni” che vanno ad aggiungersi a quelli che independent L. ritiene essere i veri inserimenti lavorativi, ovvero persone con disabilità che, dopo essere state formate, vengono gradualmente inserite nel mondo del lavoro.

Cosa rappresenta questo anniversario, i 20 anni di attività, dal 1998 a oggi?
Soprattutto un’occasione di rivedere e passare qualche ora assieme a tutti coloro che in questi 20 anni hanno avuto modo di interagire con la cooperativa in modo diretto o indiretto: soci, collaboratori, partner, ricercatori, funzionari, politici, docenti universitari, dirigenti, insegnanti, ricercatori e soprattutto i nostri 3.000 utenti. Purtroppo non siamo ancora riusciti a pianificare nulla. Stiamo valutando due variabili e cioè abbinare l’inaugurazione dell’appartamento modello a controllo ambientale con consulenze, testing, ricerca applicata e formazione, oppure organizzare con un pochino più di calma qualcosa di informale per i primi mesi del 2019.

In questo periodo siamo oberati di lavoro: riparte il corso FSE, va migliorato e ottimizzato il portale www.altoadigepertutti.it, dobbiamo iniziare il rilevamento di tutte le fermate urbane di SASA, andrà migliorata l’applicazione sui parcheggi dotandone alcuni di appositi sensori capaci di fare pervenire sullo smartphone l’informazione se il parcheggio è libero o occupato ecc. Insomma, una valanga di cose da fare, che stanno a dimostrare che forse qualcosa di buono independent L. l’ha realizzato e che quello che nel novembre del 1997 pareva un sogno si è dimostrato non essere poi così velleitario.

Ci sono delle priorità per il presente e futuro?
In passato come in futuro sono due le priorità: la collettività intesa come la somma delle singole persone e l’utilizzo delle tecnologie e del digitale in modo intelligente e non discriminante.
La tematica delle barriere architettoniche è centrale per independent L. e rimarrà tale anche per il prossimo futuro, anche perché dopo anni di “sensibilizzazione” si intravvede finalmente una volontà tecnico-politica di adeguarsi alle normative vigenti. D’altra parte è difficile ignorare il trend che vede aumentare ogni anno il numero degli anziani.

Da qualche anno però stiamo dando una sempre maggiore importanza al digitale per un motivo molto semplice: lo sviluppo continuo e inarrestabile delle tecnologie e del digitale, che è per definizione accessibile e fruibile da tutti e a costo zero. A condizione che NON vengano create barriere.

Circa due anni fa ho cambiato modo di comunicare perché non mi ci ritrovavo più. Ho iniziato ad esporre ai politici e ai tecnici l’argomentazione seguente: “Se avete intenzione di investire risorse per quattro persone in sedia a rotelle allora noi ci tiriamo indietro, se invece ragionate in un’ottica inclusiva, per tutti, e con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita di tutti i cittadini e dei turisti (concetto di Smart City), allora sì che siamo in prima fila”.

Lo so anch’io che si dovrà sempre e comunque tenere in debito conto ogni singolo aspetto e bisogno dell’individuo; un non vedente o un anziano ha delle esigenze diverse rispetto a una persona in sedia a rotelle o a una donna incinta. Ma siamo sicuri che le soluzioni da adottare siano poi così diverse?

Se si continua ad utilizzare concetti e definizioni stigmatizzanti e di nicchia allora non ci si deve sorprendere se le cose non cambieranno mai nella sostanza; se invece si riuscirà finalmente ad “evadere” ragionando in modo diverso e in un’accezione veramente inclusiva, allora la prospettiva cambierà radicalmente.

Il digitale è l’ambito da sviluppare?
Certamente, il digitale è l’occasione che non può essere mancata. Non sono le abilità ridotte che ingenerano un handicap, ma è il contesto in cui vivi che determina una situazione di disagio o emarginazione. Mi spiego meglio: ciò che io percepisco (ma anche chi mi osserva) come una situazione di handicap, di impedimento a Merano o Bolzano, perché ad esempio gli autobus urbani non sono dotati di rampe appropriate, oppure perché le banchine della stazione di Bolzano non sono complanari agli accessi dei treni, non costituirebbe assolutamente un handicap se mi trovassi a Zurigo o a Stoccolma in procinto di eseguire la medesima azione e cioè salire su un autobus o su un treno.

Tornando al digitale e all’utilizzo delle tecnologie ad esso connesse dobbiamo ragionare in termini di inclusione a tutti i livelli. Non solo di barriere architettoniche, ma anche di urbanistica, mobilità, scuola, formazione, università, lavoro, tempo libero, accesso e fruizione delle informazioni e dei servizi che già si stanno sviluppando e sempre più si svilupperanno consentendo, se governati con intelligenza, un evidente miglioramento della qualità della vita di tutti. Tutto è legato o come si direbbe oggi: tutto è connesso.