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La responsabilità dell'arte

“L'artista deve alzarsi dal lettino dello psicanalista ed impegnarsi per costruire un mondo migliore”. Michelangelo Pistoletto espone a Bolzano il suo ultimo manifesto.
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Foto: Foto: Salto.bz

Michelangelo Pistoletto, nato a Biella nell'anno 1933 (undicesimo dell'era fascista e primo dell'abominevole Reich millenario di Adolf Hitler), è un uomo saggio, vestito di scuro e con un bellissimo cappello di Panama color crema. I dioscuri Nazario Zambaldi e Manuel Canelles sono riusciti a portarlo a Bolzano facendolo apparire in diversi luoghi della città nella cornice di un progetto mobile, ormai avviato da un anno, intitolato “Quale bellezza?” e raccolto (ma anche sparpagliato) attorno all'opera “La venere degli stracci”, della quale Salto.bz parlò già all'inizio dell'estate. Questa è la cronaca dell'incontro tra l'artista e il capoluogo, avvenuto tra il 23 e il 24 settembre.

Il morso della mela

Domenica, nel cortile della Facoltà di Design della Lub l'appuntamento è per una passeggiata di benvenuto, più prudentemente definita “azione”. Una cosa breve, il maestro è appena arrivato e deve riposare. Una trentina di persone lo ascoltano (in piedi, cambiando al massimo gamba d'appoggio, questa è già tutta la passeggiata che avremo) affacciandosi sullo spazio in cui la Venere è stata collocata e dove rimarrà fino al 13 ottobre. Pistoletto parla della mela, il pomo che resta sempre invisibile agli spettatori, essendo sepolto dagli stracci. “La mela è un simbolo, uno dei simboli più longevi della storia umana. Rappresenta la natura intatta e l'uomo quando era racchiuso nella natura, in un certo senso quando stava dentro la mela. Poi però è accaduto qualcosa, l'incanto si è rotto e l'uomo ha morso la mela, fuoriuscendone”. (Qui si potrebbe pensare che l'uomo, allora, è un verme, responsabile della corruzione della mela, Pistoletto invece cita il marchio della Apple). “Il morso della mela – prosegue l'artista – ha inaugurato il mondo artificiale, quello della tecnica, se vogliamo, e per me rappresenta il secondo paradiso, la seconda grande stagione dell'avventura umana. Ora però si tratta di procedere oltre, di ritrovare una sintesi tra questi due elementi, tra la natura e la tecnica, o tra la religione e la politica, e a mio avviso questa sintesi, questo elemento intermedio è dato dall'arte”. È la “trama” del libro (“il mio ultimo manifesto”) che Pistoletto presenterà il giorno seguente al Centro Trevi: Ominiteismo e demopraxia.

Ritorno del romantico

Per gettare un po' di luce in questo fiorito intrico (in questo intreccio tra arte e politica) sfoglio il nuovo manifesto di Pistoletto, segnatamente a pagina 45, dove si incontra una citazione risalente al 1994: “L'arte è l'espressione più sensibile e integrale del pensiero ed è tempo che l'artista prenda su di sé la responsabilità di porre in comunicazione ogni altra attività umana, dall'economia alla politica, dalla scienza alla religione, dall'educazione al comportamento, in breve tutte le istanze del tessuto sociale” (Progetto Arte). Sembra il programma titanico e ingenuo di un inguaribile romantico (romantico nel senso dato a questo termine da Friedrich Schlegel nel famoso frammento 116 di Aetheneum): “Il genere poetico romantico è ancora in divenire; anzi, questa è la sua essenza peculiare, che può soltanto eternamente divenire e mai essere compiuto. Esso non può esser esaurito da alcuna teoria, e solo una critica divinatoria potrà osare di voler caratterizzare il suo ideale. Esso è solo infinito, così come esso è libero e riconosce come sua prima legge che l’arbitrio del poeta non tollera alcuna legge. Il genere poetico romantico è l’unico essere più di un genere e, per così dire, a essere la poesia stessa: poiché in un certo senso tutta la poesia è o deve essere romantica”. Basta sostituire la parola “Poesia” con “Arte”, ma secondo l'etimo che la riconduce alla Praxis, al fare, ed ecco che abbiamo una prima chiave per comprendere il manifesto.

Libertà e responsabilità

Ma perché proprio un “manifesto”?, chiedo a Pistoletto. Perché recuperare un genere in fondo così caratteristico delle avanguardie storiche (si ricorderanno i manifesti dadaisti, futuristi, surrealisti...) in un'epoca che – almeno in ambito estetico – ha ormai posto fine alla rincorsa a perdifiato della novità, alla ricerca del progresso, conseguito infatti in modo ben più spettacolare e pervasivo dalla tecnica, per riscoprire piuttosto il movimento orizzontale, transavanguardistico, che indugia nelle anse di un tempo da vivere rallentando, salvando o recuperando un ideale estremo di bellezza? La seconda chiave, ce ne accorgiamo adesso, era citata nel breve testo menzionato all'inizio, quando si parla di “responsabilità”. Ecco il ragionamento in sintesi. Non esiste persona più libera dell'artista. Ma tale libertà non consiste certo nel poter fare tutto ciò che gli viene in mente, senza badare alle conseguenze. Anche l'artista – e si vorrebbe quasi dire in primo luogo l'artista – ha il compito di riflettere responsabilmente, cioè porre la questione della sua identità all'interno del mondo sociale al quale appartiene. In tal modo egli riesce così a guidare, o meglio ad intonare la propria libertà in un movimento di rigenerazione morale che è necessariamente collettivo: “Riprendere le forme di etica codificate e inciderne l'integrità per introdurvi la linfa di idee e modalità orientate alla consapevolezza e alla responsabilità interindividuali” (pag. 39).

Dai Quadri specchianti alla legge Trinamica

Esiste un nesso, chiarissimo, che mette in comunicazione questo programma nelle due direzioni del passato e del futuro, da un territorio che potremmo pensare come limitato al discorso dell'arte e sull'arte, ad uno che invece si allarga in un'ottica di design sociale. Pistoletto ne ha parlato al Museion, partendo dal commento dei quadri specchianti: “Volevo risucchiare lo spettatore dentro le opere, volevo farci scorrere dentro il tempo. Poi però mi sono accorto che anche questo desiderio di contemporaneità, tipico dell'arte del Novecento, rischiava di diventare quasi fine a se stesso, un po' come se l'arte tendesse continuamente a psicanalizzarsi, rimanendo inchiodata al lettino”. La ricerca successiva, si potrebbe dire sfruttando l'ultima immagine, ha comportato così l'abbandono del lettino psicanalitico sul quale l'arte si era sdraiata nel Novecento, il suo nuovo passo verso il mondo delle cose, dei rapporti, delle relazioni, degli esseri umani compresi nel loro ambiente. “L'arte non deve apparire come un atto di superbia, bensì aprire nuove vie sociali”, sintetizza il maestro, ed è qui tutto il senso del Terzo Paradiso, o della Venere degli stracci che tenta l'amplesso tra il mondo della bellezza e quello della storia grazie alla legge della “Trinamica”, ovvero il processo di “congiungimento, connessione, combinazione, coniugazione, interazione, fusione di due elementi in sé semplici o complessi”, tale da produrne un terzo, completamente diverso: 1 + 1 = 3.

L'angelo della storia e la Venere dei migranti

Ultima tappa, il colloquio con gli studenti della Facoltà di Design. Pistoletto parla della sua infanzia, che si è svolta sotto l'insegna della restrizione, della negazione di qualsivoglia libertà (“... dovevamo credere, obbedire e combattere, come ci veniva ricordato da ogni muro...”) e ancora del senso di responsabilità che, solo, può riscattare l'imposizione. Sottolinea l'importanza di una pratica artistica e sociale piena di idee, ma lontana dalle ideologie (un ragazzo ingaggia con lui una discussione, dimostrando che la differenza tra idee e ideologia non è poi così chiara a tutti). Io passeggio e guardo la Venere. Torna in mente l'inizio delle Tesi sul concetto di storia di Walter Benjamin: “C'è un quadro di Klee che si chiama Angelus Novus. Vi è rappresentato un angelo che sembra in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui ha fisso lo sguardo. I suoi occhi sono spalancati, la bocca è aperta, e le ali sono dispiegate. L'angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Là dove davanti a noi appare una catena di avvenimenti, egli vede un'unica catastrofe, che ammassa incessantemente macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e riconnettere i frantumi. Ma dal paradiso soffia una bufera, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che l'angelo non può più chiuderle. Questa bufera lo spinge inarrestabilmente nel futuro, a cui egli volge le spalle, mentre cresce verso il cielo il cumulo delle macerie davanti a lui. Ciò che noi chiamiamo il progresso, è questa bufera”. L'angelo di Klee e la Venere di Pistoletto, il passato e il futuro, le macerie e gli stracci. Gli orrori delle guerre, delle dittature e il falso mondo luccicante del consumismo, che ci sta seppellendo sotto una montagna di rifiuti reali e umani: “Questi stracci indossati per esempio anche da uomini, che chiamiamo migranti, persone per noi diventate a loro volta stracci, ci impongono di fare qualcosa, di agire, senza aspettare un minuto di più”.