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Diversamente abili a 300 all’ora

Alex Innocenti, pilota paralimpico di motociclismo, è ospite al Fablab di Bolzano il 29 novembre. “La tecnologia 3D aiuta a superare barriere impensabili, in sicurezza”.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale del partner e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
Alex Innocenti
Foto: Etienne Maurin

Alex Innocenti è paraplegico dal 1999, ma questo non gli ha impedito di seguire il sogno che aveva fin da bambino: pilotare una moto da corsa in gara, anche al Mugello dove, racconta, “si arriva tranquillamente ai 300 all’ora”. A Bolzano il pilota, insignito del premio Alan Kempster nel 2018, è atteso nella serata speciale, rivolta a tutti, che si terrà giovedì 29 novembre. Alle 18 al Fablab dell’università di Bolzano racconterà come la tecnologia 3D lo ha aiutato a mettersi in sella alla sua MV Augusta, in tutta sicurezza e con la capacità di manovra adatta per poter sfidare gli altri piloti del Bridgestone Handy Race, il campionato paralimpico internazionale delle due ruote. “Le strumentazioni - spiega a salto.bz - mi hanno aiutato a superare barriere prima impensabili e lasciandomi la mente tranquilla per cercare il limite in pista”. Ecco il suo racconto.

 

Com’è iniziata la sua avventura che l’ha portata nell’Handy Race?

Io sono di Orbetello e sono diventato paraplegico dal 1999, all’età di 23 anni. Sono sempre stato appassionato di motociclismo, ma non avevo mai pilotato in pista. Un giorno mia moglie Arianna mi portò un ritaglio di giornale, in tempi non sospetti, in cui non si parlava molto dell’argomento, che parlava dalla onlus Diversamente Disabili di Anguillara. Fu almeno sette anni fa. Da lì è iniziato il mio approdo ai circuiti.

 

La onlus fondata da Emiliano Malagoli ha come scopo quello di aiutare le persone che hanno lesioni agli arti o sono portatori di protesi a “(ri)avvicinarsi alle due ruote”. Si è trovato bene?

Certamente. Loro sono i precursori del motociclismo paralitico in Italia. Prima la disciplina non esisteva nel nostro Paese. Adesso siamo in tanti, circa una trentina di piloti che frequentano la sede di Anguillara.

 

Una domanda che in molti potrebbero farsi: salire in sella a una moto non è ancora più pericoloso per chi ha lesioni alla mobilità degli arti o protesi?

Non è pericoloso, o lo è in quanto motociclismo oppure in quanto sport che ha dei rischi. Anche l’equitazione ne ha, la boxe idem. Sicuramente questa è una disciplina che incute paura ai normodotati. Per i diversamente abili invece il percorso è fatto con coscienza, gradualità, cercando di introdurre insieme le protesi necessarie sulla moto per una guida in sicurezza.

 

Chi sono i piloti di Diversamente Disabili?

Posso dire che noi seduti in carrozzina siamo gli ultimi arrivati nella famiglia. Prima c’erano soprattutto chi non muove le braccia e le persone che sono state amputate agli arti. Ognuno ha cercato un’officina specializzata per la protesi migliore. Ci sono apparecchi adatti alle corse sportive, che permettono non solo di fornire prestazioni all’altezza ma anche di guidare in sicurezza, propria e degli altri. Questo è molto importante.

 

 

Le protesi liberano le capacità individuali dei piloti?

Sì. Nel corso degli anni siamo arrivati a buoni livelli, intendo i piloti diversamente abili. Siamo sempre migliorati. La qualità media dei rider si è alzata notevolmente. E veri e proprio problemi in pista non ce ne sono mai stati, fortunatamente.

 

Com’è stato il suo percorso nel motociclismo paralimpico finora?

Sono partito dal campionato nazionale fino a che siamo arrivati a questo campionato internazionale, il Bridgestone Handy Race, che non è propriamente un mondiale ma vede la partecipazione di squadre da Colombia, Belgio, Francia, Spagna, Portogallo, Finlandia, Regno Unito.

 

In che modo avvengono tecnicamente le gare per piloti diversamente abili?

La partenza avviene lanciata, come si dice in gergo, secondo una griglia di partenza e al rientro della safety car. I partecipanti sono circa una trentina. Io parto in equilibrio dal box, come avviene per un pilota ad esempio del moto gp, e al termine della gara rientro al cavalletto.

 

Che velocità si raggiungono?

Dipende molto dai circuiti e dalle categorie. Abbiamo la Supersport da 600 centimetri cubici e la Bike da mille. In fondo al rettilineo del Mugello si arriva comunque ai 300 chilometri all’ora, siamo al livello dei migliori campionati amatoriali per normodotati.

 

 

Cosa dirà agli studenti del Fablab?

Faremo un’introduzione, poi spiegare come mi sono affiancato alla passione motociclistica e in seguito come ho adibito la moto. In che modo l’ho hackerata in pratica. Parlerò degli step evolutivi per implementare la strumentazione e gli agganci realizzati con la stampa 3D. Questa tecnologia mi ha aiutato a sviluppare soluzione tecniche adatte alla mia situazione. Ho una pulsantiera che mi permette di cambiare marcia, fatta su misura per la mia mano, e pedane che mi ancorano i piedi alla moto che si svincolano in caso di caduta.

 

Come sono fatte?

Grazie a supremagneti con 52 chili di attrazione per ogni piede. Si staccano in caso di caduta e questo è molto importante per la sicurezza del pilota.

 

E l’incontro con il Fablab di Bolzano, perché è avvenuto?

Anni fa ho incontrato un gruppo di ragazzi che con un’idea imprenditoriale brillante si sono messi a realizzare occhiali sfruttando materiali di recupero, soprattutto dalle tavole snowboard non più utilizzate. Tra questi c’è Ermano Zanella (collaboratore del Fablab e organizzatore dell’evento assieme a Katrin Kofler, ndr). Siamo rimasti in contatto e lui è uno degli sponsor per la mia squadra di motociclismo. Mi ha quindi chiesto se ero disponibile a parlare del mio percorso sportivo e del ruolo della tecnologia in questa sfida.

 

Un ruolo significativo, giusto?

Senza dubbio. La tecnologia ci permette di abbattere barriera prima impensabili. Non solo andare in motocicletta, ma farlo in sicurezza, che è un’altra cosa. Avere mezzi che ti permettono di essere sicuro, che si svincolano in caso di caduta, lascia il pilota più tranquillo di testa, gli permettono di cercare la prestazione sul proprio limite. È quello che cerchiamo di fare.