Cultura | Salto Afternoon

Luoghi e corpi in cui stare

Giovanni Accardo ha guidato la conversazione tra le scrittrici Francesca Manfredi e Alessandra Sarchi durante la giornata mondiale del libro.
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Foto: Foto: Salto.bz

All'incrocio tra la “Giornata mondiale del libro” e il “Festival delle Resistenze”, al Centro Trevi di Bolzano l'insegnante e scrittore Giovanni Accardo ha presentato assieme alle autrici Alessandra Sarchi e Francesca Manfredi le loro due ultime opere, rispettivamente “La notte ha la mia voce” (Einaudi) e “Un buon posto dove stare” (La nave di Teseo). È stata una conversazione molto spigliata ed affabile, entrando e uscendo dai testi per toccare questioni di carattere più generale, come per esempio l'utilità dei premi letterari o della frequentazione dei corsi di scrittura creativa.

Pur senza inserirsi in modo esplicito nella categoria del “romanzo autobiografico”, il libro di Alessandra Sarchi ruota attorno alla condizione di disabilità vissuta in prima persona e ne estrae un'essenza generale, dalla scrittrice qualificata come “mancanza”. “Con la mia opera – ha spiegato – non volevo parlare di me, ma di una problematica che in realtà riguarda o può riguardare ognuno di noi. Tutti infatti possiamo perdere una funzionalità, ma anche qualcuno, una persona cara, quindi ero interessata a capire come si reagisce, come si convive con una perdita che determina un mutamento così radicale della propria identità”.

La scrittura è un argine contro l'azione di cancellazione praticata dal tempo

A far da controcanto al tema dell'assenza, ecco invece la presenza degli ambienti domestici descritta da Francesca Manfredi: “Ho concentrato il mio sguardo sugli interni, oppure su prospettive che si aprivano, ma sempre guardandole da dentro, perché ritengo che ciò contribuisca a creare un alone di mistero, qualcosa in grado di rendere le cose più impalpabili e interessanti. Allo stesso modo non ho fatto ricorso ai nomi propri, limitandomi a far dialogare dei pronomi, sempre per la stessa ragione”. Un po' come se dalla scarnificazione dei particolari emergesse, attorno a loro, quella vaghezza che poi finisce per renderli ancora più nitidi (e non è un caso che la Manfredi, alla fine, abbia nominato Silvio D'Arzo e Raymond Carver come suoi punti di riferimento o fonti di ispirazione).

Credo che la scrittura – ha affermato Alessandra Sarchi sollecitata poi da Accardo ad esporre il centro della sua ispirazione – costituisca un argine contro l'azione di cancellazione praticata dal tempo. Scrivere significa cercare di fissare ciò che scorre, dare spessore e durata alle cose che scompaiono”. Ma per riuscire in questo intento, sono sufficienti l'ispirazione e la perizia innate di chi si appresta a digitare parole su una tastiera, oppure è necessario che subentrino fattori esterni in grado di facilitare tale arduo compito? “Per quanto riguarda i premi letterari – ha commentato ancora Sarchi, che peraltro ha partecipato con successo a molti di questi – mi sembra indubbio che si tratti di manifestazioni molto utili. Soprattutto in un Paese di pochi lettori, come il nostro, la visibilità concessa dalla partecipazione ad un premio, e mi riferisco in particolare a quei premi che vengono assegnati coinvolgendo un territorio, una giuria popolare, è per un autore ormai irrinunciabile”.

Luoghi e corpi sono parti di un'identità che deve essere risvegliata

Forse non irrinunciabile, ma di certo anch'essa utile, è secondo Francesca Manfredi la partecipazione a corsi di scrittura creativa: “Ho preso parte a questi corsi e adesso ne sono anche diventata docente, quindi è chiaro che il mio giudizio sia positivo. In sintesi direi che i vantaggi derivanti dalla frequenza riguardano l'acquisizione di una disciplina, di una costanza nello scrivere che poi è l'unico modo per ottenere dei risultati soddisfacenti. Il talento, ogni talento, anche quando c'è ha bisogno di essere allenato, affinato. Inoltre è molto importante condividere il percorso creativo con altri, con chi ha già scritto o ha intenzione di scrivere. E questo è possibile, per l'appunto, incontrandosi e praticando insieme la scrittura”.

Alla fine l'incrocio tra le due scrittrici produce incastri inaspettati, reciprocamente illuminanti. Parlando di uno dei racconti della sua raccolta, Manfredi identifica il “buon posto in cui stare” non tanto con un luogo, bensì “con un desiderio che magari abbiamo già realizzato, e tuttavia resta sepolto in uno strato impercepibile della nostra coscienza, parte di un'identità che aspetta di essere risvegliata”. “Questa è una cosa che accade anche se pensiamo al nostro corpo”, annota infine Sarchi. “Anch'esso, infatti, ha bisogno di tempo per poter diventare un buon posto in cui stare, proprio perché all'inizio lo intendiamo solo superficialmente e non sappiamo abitarlo o renderlo interessante dall'interno. Il confine tra spazio fisico e spazio psichico è precisamente quel terreno che a me preme esplorare quando scrivo, e la malattia, vale a dire il corpo degradato, offeso, maltrattato, rappresenta un campo di ricerca privilegiato, come ci ha per esempio insegnato Primo Levi”.