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“Tradurre tutto da tutti”

Adriano Sofri su Alexander Langer e il Papa, Trump e l'ambientalismo, la sinistra italiana – e quella citazione errata di Don Milani moltiplicata dalla rete.
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Foto: web

Via San Martino, Pisa. Adriano Sofri arriva in leggero ritardo alla nuova sede di “Articolo Uno”, gruppo parlamentare nato dalla scissione del PD di cui Enrico Rossi, Pierluigi Bersani, Roberto Speranza e Massimo D'Alema sono gli esponenti più in vista. Ad attenderlo all'ingresso, lo storico Adriano Prosperi, il deputato pisano (nonché ex-sindaco della città della torre pendente) Paolo Fontanelli e quello bolzanino Florian Kronbichler. L'occasione è offerta dall'intitolazione della sala incontri ad Alexander Langer, giornalista ed europarlamentare fondatore dei Verdi italiani (ed europei) morto suicida nel 1995. Kronbichler presenta la traduzione – edita da Il Margine – del suo Was gut War. Ein Alexander-Langer-ABC. Interviene in una sala gremita, dopodiché è il turno di Sofri, seduto accanto: “I ragazzi ai quali avrei sempre voluto parlare di Alex non vengono spesso a questi incontri. Ma è una bellissima idea intitolare questa sede ad Alexander Langer”.

Allora, aderisce ad Articolo Uno/Mdp?
Adriano Sofri: Non aderisco politicamente ad Articolo Uno, ci mancherebbe altro. Ma quando ero in galera qui a Pisa, mi portavano dei cioccolatini di una qualità sopraffina, in cui c'era scritto “De Bondt”. E oggi ho scoperto che questa era la sede di quei cioccolatini. Spero che i nuovi inquilini siano all'altezza dei precedenti.

Alcuni giorni fa, Papa Francesco ha donato al neo-presidente degli Stati Uniti Donald Trump una copia dell'enciclica “ambientalista” Laudato Si'. Lei ha ipotizzato che Alexander Langer sia stato tra i più importanti ispiratori del pontefice.
A me pare che vi siano traduzioni quasi testuali degli slogan di Alexander Langer, in particolare il motto “citius altius fortius” alla rovescia, “lentius profundius suavius”. Tutto l'impianto dell'enciclica è programmaticamente aderente alle cose principali che diceva Alex a suo tempo.

È un buon segno, il segno di un successo “postumo” di Langer?
Non vedo il successo postumo. Al Parlamento europeo c'è dello scetticismo, quando lo si nomina – naturalmente quando era vivo era il contrario. L'unico ammiratore sfegatato era l'europarlamentare Otto von Habsburg, un suo vero seguace, per cui Alex era un modello di come stare al mondo.

Si sta svolgendo il G7 di Taormina. Sulle questioni del clima, i cosiddetti “grandi della Terra” - in particolare Trump – sembrano distanti non solo dalla “conversione ecologica” di Langer, ma anche dagli impegni della COOP 21 di Parigi.
C'è un drastico rifiuto di Trump sulla questione ecologica, sebbene abbia mostrato di essere capace di rivedere moltissime delle sue posizioni. Sono contrario ai paragoni con Berlusconi, ma quando Alex parlò di lui con una certa comprensione, sul fatto che fosse lontano duemila anni dalla possibilità di capire cosa volesse dire la crisi ecologica per il destino del pianeta – “il problema della degradazione ambientale si porrà tra duemila anni”, diceva in parlamento – Alex aveva simpatia per lui, perché non stava dicendo cose strumentali, ma davvero non gli passava per la testa di capire. Trump è una ripetizione formidabile di questo, e non per i suoi campi da golf.

Forse la “conversione” langeriana è stata recepita soltanto dal Papa...
Di recente un dirigente molto in vista di “Articolo Uno” ha citato Alexander Langer, dicendo che bisogna puntare “alla riconversione ecologica”. Peccato che Langer affermasse che la riconversione era il termine opposto a quello che bisognava perseguire, appunto, la conversione. A mio parere, il tempo della scoperta dell'urgenza di salvare il pianeta è passato. È stata una svolta epocale, come il femminismo, che ha sgangherato la gabbia di pensiero nella quale eravamo. Non sono più novità, oggigiorno, ma cose ricevute, già scontate e quindi molto più spesso superficialmente acquisite. Oggi bisogna essere competenti, non è più una questione “da dire”, ma di competenza. A Parigi ci è andato chi sapeva di chimica, meccanica, biotecnologie.

Di recente, nella Piccola Posta sul Foglio, ha scritto che “il fallimento dell'Europa unita è iniziato con la guerra nei Balcani”.
La ex-Jugoslavia è stato qualcosa di formidabilmente significativo nella capacità di distrazione e indifferenza dell'Europa. La parola “etnico” ha dilagato nel mondo grazie alla Jugoslavia: quando ero giovane nessuno scriveva “etnico”, se non qualche trattato di etnologia. E in Jugoslavia, Europa, ci sono stati tra i due e i tre milioni di sfollati e profughi all'inizio degli anni novanta. Una lectio magistralis per i giorni nostri, quando vi sono 11 e 12 milioni dalla sola Siria che arrivano dalle nostre parti.

Eppure, il tema dell'accoglienza resta per l'Europa un'incognita irrisolta.
Nessuno può immaginare di avere un'altra posizione che non sia quella dell'accoglienza senza riserve nei confronti di chi arriva qui. Nessuna riserva all'accoglienza cordiale. Prudente, certo, che conservi una distanza di sicurezza, né troppo vicina né troppo lontana. Non si può diventare un po' meno accoglienti perché il meccanismo di regressione razzista, sovranista e nazionalista, di paura e chiusura ottiene dei risultati: si deve rimanere totalmente accoglienti, e capire che i luoghi dove quel meccanismo ha origine vanno trattati come un problema proprio.

Vi sono delle responsabilità anche tra chi propugna l'accoglienza?
Molte delle persone che si sono dichiarate pronte a fare da “ponte” per chi annega nel Mediterraneo, non credono possibile impegnare in Irak o in Siria (dove si sono ammazzate tra le 400 e le 500mila persone) non solo una solidarietà con le vittime ma anche un intervento duplice – come quello che fu necessario e così a lungo ripudiato in Jugoslavia – per far cessare quelle ignominiose situazioni. A quel Medio Oriente, l'Europa non è in grado di avanzare una proposta che non sia salvaguardare i confini di quegli stati disegnati da quattro farabutti europei alla fine della prima guerra.

C'è chi si domanda “cosa avrebbe fatto Alexander Langer” in questa situazione.
Non si deve mai dire cosa avrebbe fatto un altro. Chissà, forse sarebbe lì a sbarrare la strada agli immigrati che vogliono arrivare in Sudtirolo/Alto Adige... Alexander Langer parlava a se stesso senza alcun pudore né reticenza, senza vanità né esibizionismo. Era straordinario il rapporto sincero che aveva con sé, tale da portarlo a dubitare della propria sincerità, sino a disperare. Si pensi alle domande trovate sul computer dopo la sua morte, che di norma evitiamo di porci per non rovinarci del tutto la vita: “Ma io passerei il mio tempo di vita con le persone con cui dico di solidarizzare, per cui dico di lottare?”. Lui con queste domande ci ha vissuto – ed è morto.

Negli anni successivi sarebbe risultato più facile porsi delle domande su “Yahoo Answers”...
Decisiva per la politica ai giorni nostri è l'esistenza del populismo. Una parola usurpata: nella storia fu una gran cosa, contrariamente alla “demagogia”. Oggi vi è un problema culturale in senso stretto, di istruzione, “scolastico”; non di educazione, ma di scuola. La ferita incurabile del populismo è l'ignoranza di fondo, la trasformazione radicale di quella figura che chiamavamo positivamente “dell'autodidatta”: chi non poteva studiare per lavorare, frequentava la scuola serale o l'università popolare, ed era ammiratore della cultura “alta”. Gli autodidatti sono stati frustrati, privati delle loro identità sociali, tramutando la soggezione derivante dall'inferiorità culturale in un'arma da rovesciare con invidia, odio, livore e indignazione, con la bava alla bocca, contro la cultura.

Colpa di internet?
I 5 Stelle hanno tramutato la bellezza dell'autodidattismo d'un tempo in una cosa orribile, nella rivendicazione tracotante e arrogante della propria ignoranza da rovesciare addosso agli altri. La rete permette alla gente di pensare che sia possibile fare a meno dei libri, di non leggere, e mandare affanculo chi scrive libri. È la radice del populismo.

Diciamo di nuovo così: “cosa avrebbe fatto” Alexander Langer sul web?
Era un uomo di agende e d'indirizzi di posta. Mandava le cartoline, e faceva in modo che l'illustrazione della cartolina, la scelta dell'immagine del francobollo, e la battuta di tre parole prima della sua firma fosse adeguato alla persona di cui si era segnato l'indirizzo e alcune caratteristiche per personalizzare il rapporto. Era matto, campava come se potesse avere un rapporto personale intimo con tutto il resto del mondo, non solo col più prossimo. Don Milani – che a Barbiana stava con 39 persone – gli spiegò che non si può essere “tutto per tutti”, ma di scegliere con chi stare.

Il controverso romanzo di Walter Siti getta un'ombra sulla figura di Don Milani.
Alex trovò formidabile Don Milani, che era un prepotente del primo tipo: se vuoi tornare qui, disse ad Alex, lascia subito l'università, qui devono venire le persone che non hanno fatto più della terza media, della scuola dell'obbligo, lasciare tutti i propri privilegi e venire qui e imparare e insegnare insieme ai nostri ragazzi. Langer poi si prese due lauree e fu il primo traduttore in tedesco della “Lettera a una professoressa” di Don Milani.

Ma c'erano anche nette differenze tra i due.
Il più grave degli sbagli è quello di proporre d'imitare Gesù Cristo: occorre stare alla larga pure da lui. Quando si trattò di ripensare a Langer da una certa distanza, nelle mie ripetute predicazioni sottolineai come avesse messo al centro della propria vocazione “religiosa” un appello rivolto ai compagni di scuola, la citazione evangelica “venite a noi tutti voi che”. La scrisse nell'ultimo biglietto quando s'impiccò a un albicocco nel 1995. L'inizio e la fine coincidono: venite a noi tutti voi che “avete problemi coi libri di testo o il gesso”, o che “siete stanchi e oberati”, come nel Vangelo. Alex proponeva sé stesso tutto intero a tutti gli altri, disposto ad accogliere per intero l'umanità: era la sua pratica di vita che lo rendeva buffo, l'oggetto dei nostri scherzi ininterrotti.

Cosa intendeva Don Milani con l'invito rivolto a Langer di non essere “tutto per tutti”?
In una lettera a una ragazza napoletana rende esplicita la sua posizione sulla questione “chi si può amare”: scrisse che non si possono amare nella propria vita più di tre-quattrocento persone. Non diceva sul serio, però è bellissimo, era elastico. Ho cercato un mio articolo per trovare questa citazione e siccome Google è formidabile introduce degli errori ma poi li moltiplica e non li acchiappi più, è irrimediabile. Nel mio articolo c'era scritto che Don Milani disse ad Alex che le persone non possono essere più di 3400.

Quale insegnamento può ancora dare Langer alla politica contemporanea?
Alex ha scelto con coerenza di essere tre cose: un traditore, un traghettatore e un traduttore. Per noi si tradiva ripudiando la propria classe d'origine, passando le linee. Il tradimento di Alex invece non è mai stato un passaggio dall'altra parte, ma un fermarsi nella terra di nessuno tra le due parti, là dove c'è una specie di anticipazione armistiziale di quello che un giorno potrebbe essere la pace. In cui ambedue i contendenti sparano, come a Sarajevo morivano i pacifisti attraversando un ponte, ammazzati dagli spari di entrambe le parti. Il traghettatore era San Cristoforo, un ponte umano.

E la traduzione?
È di un'importanza fantastica. Alexander era nato sul confine, parlava italiano, tedesco, ladino e non si vergognava di parlare nessuna lingua, di ascoltare qualunque lingua. Di Renzi mi piace il suo avventurarsi in un inglese che nessuno di noi avrebbe il coraggio di parlare. Niente è così esemplare e così importante per chi vuole fare politica oggi che questa questione della traduzione, insegnare e parlare le lingue.

Qual è il nesso tra l'impegno politico e l'attività del traduttore?
Al mio amico Paolo Fontanelli ho chiesto mille volte “cosa fai da quando sei deputato del PD”? Perché non sento mai di un'alluvione in cui stia scavando con gli stivali di gomma, perché non so cosa facciano i dirigenti della sinistra italiana? Quando ho imparai il serbo-croato e il bosniaco, scoprii come nelle lingue slave non si dice volontariato – espressione ottimistica con un alone di santità – bensì che una sola parola indica “buona volontà” ma anche “cattiva”. Nei partiti della sinistra italiana incontro persone di buona volontà – e altrettanti ipocriti, farisei, scrocconi – impegnati in mille incontri. A loro domando: la vostra buona volontà su cosa scalpita? Qualunque persona di buona volontà, specialmente se è di sinistra, può insegnare una lingua e impararne un'altra, dalla mattina alla sera. Chi dal resto del mondo arriva da noi, ha bisogno d'imparare una lingua, ma anche noi possiamo impararla da chi arriva. Serve tradurre tutto da tutti.