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Pensioni e stipendi: “Serve più equità”

Migliorare le condizioni del lavoro delle donne, diminuire il divario dei salari e delle pensioni in vista del futuro. La segretaria Cristina Masera fa il punto.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale del partner e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
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Foto: CGIL/AGB

“È stato dichiarato fin dall’inizio: il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza serve a raggiungere anche alcuni obiettivi trasversali, come il lavoro dei giovani e quello delle donne. Purtroppo, però, di questi temi non c’è alcuna traccia nei programmi della campagna elettorale da poco conclusa”. Cristina Masera, segretaria della CGIL-AGB dell’Alto Adige, ha fatto il punto su alcune delle tematiche più urgenti da affrontare nel mondo del lavoro: “Il futuro pensionistico basato esclusivamente sul modello contributivo penalizza donne, giovani e chiunque abbia un lavoro discontinuo e precario. Rispetto al modello misto si prevede una differenza del 60% in meno”.

 

Salto.bz: Segretaria, come sindacato, quali pensate siano i temi più legati all’equità sociale?

Cristina Masera: In vista del futuro, la questione pensionistica è fondamentale che venga affrontata ora. Non si può pensare che un domani le pensioni siano basate esclusivamente sul modello contributivo, perché questo penalizza i lavoratori che svolgono la propria attività in modo discontinuo, penalizza molto le donne e i giovani. I dati di alcuni studi mostrano come, a parità di stipendio, chi va in pensione con un modello contributivo riceverà il 60% in meno di chi ha usufruito del modello misto. Penso ad esempio alle donne qualificate che, a differenza delle colleghe del nord d’Europa, non hanno potere contrattuale circa il proprio stipendio. In Italia, la prima domanda che viene posta ad una lavoratrice è se ha intenzione, o meno, di avere figli. Così non può funzionare.
Inoltre, un'altra categoria molto colpita sarebbe quella del personale dei lavori che non richiedono particolari qualifiche.

E quali sono le misure che si possono mettere in atto?

Uno degli strumenti per diminuire il divario sarebbe quello della pensione complementare, ovvero quella formula che permette, alla persona che lavora, di pagare una percentuale del proprio salario (2%) al fondo complementare; il datore di lavoro, di conseguenza, verserà un 1.5% o un 2%. Questo, in vista della pensione, ridurrebbe il divario. Ma, pur essendo una misura molto importante, impatta sull’equità, in quanto, più lo stipendio è alto, più denaro si accantona e, così, la forbice della disuguaglianza aumenta.
La soluzione? Laddove lo stipendio sia più basso si richiede al datore di lavoro di versare qualche punto in più, come un 3%, e al lavoratore qualcosa in meno.

Ma è concretizzabile? Come si possono convincere i datori a versare di più?

Innanzitutto i soldi sono tassati di meno, inoltre se uno stesso datore ha dipendenti con stipendi differenziati, versando di più a chi di meno e di meno a chi ha di più, eguaglierebbe le uscite. Bisogna chiaramente sperare che questa differenza sia presente. In ogni caso stiamo lavorando con le altre parti sociali, datori e Provincia, per ridurre questo gap in vista del futuro.

Qualche altra priorità?

Nel settore delle pulizie, un lavoro dove tante sono le lavoratrici, viene fatta una concorrenza dura che pesa sugli stipendi dei lavoratori, anche magari in termini di diminuzione delle ore di lavoro. Ed è un tema legato fortemente agli Enti Pubblici che, invece di affidarsi ai bandi e aumentare la concorrenza tra le aziende private, dovrebbero assumere il personale direttamente, così da poterlo tutelare. Quelle da noi proposte, in conclusione, sono tutte misure concrete e specifiche per l’Alto Adige, dove il problema dell’inflazione è notevole.

Ha citato l’argomento delle donne nel mondo del lavoro, cosa ne pensate della proposta del congedo mestruale?

Non è un argomento che ci ha particolarmente appassionati. In alcuni contratti è già previsto un giorno di permesso retribuito ma è un fatto molto personale e, appunto, differenziato da contratto a contratto. Certo: le lavoratrici che hanno dolori devono affrontare la questione con il proprio medico e hanno il diritto ad essere tutelate, ma comunque i dolori legati al ciclo sono soggettivi.

 

Testo di Andrea Dalla Serra