Cultura | Salto Afternoon

Qui e altrove

Suoni e immagini a cura di Adel Jabbar, a Merano, l’1 e il 7 marzo.
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Foto: Foto: Salto.bz

Ogni immagine ha un suono e ogni luogo ha una sua identità più o meno immobile, se lo si guarda in modo sfuggevole. Tenendo presente, però, che quello stesso luogo è attraversato da più persone che a loro volta ne modificano le fattezze, percependolo a partire dalla propria identità, la relazione si fa dialogica ed entrambi ne escono modificati, sia il luogo sia la persona. Com’è possibile? Ce l’ha spiegato nella sua conferenza spettacolo-concerto Adel Jabbar, sociologo e studioso di interculturalità, di origini irachene che vive da tanti anni in Italia ormai, esplorando con sguardi e storie diversi alcuni paesaggi curiosi nella prima serata del ciclo Qui e altrove da lui curato dal titolo Le bellezze dei luoghi. Racconti, musiche e immagini svoltasi presso Merano Arte il 22 febbraio scorso. Con lui era presente Omar El Afrah con studi di musica a Fes nel Marocco che ha suonato la chitarra e il liuto e cantato brani di musica araba. Il secondo incontro si terrà nella biblioteca di Merano il primo marzo (ore 20.30), che sotto il titolo di Parole in Haiku con Lilia Ianeva, poetessa e cantante bulgara, e Alena Savina,  violinista bielorussa, aprirà un immaginario immaginato sulla base di suoni e emozioni concentrate nelle poche parole che caratterizzano quella forma di poesia di origine giapponese che contraddistingue l’haiku, mentre il terzo riprende il titolo del ciclo Qui e altrove, con Gentiana Minga, scrittrice e giornalista albanese, e Enela Bano, violinista albanese che ha suonato con l’Orchestra Haydn e quella di Tirana, sarà al Museo delle donne il 7 marzo nell’ambito delle iniziative per la Giornata della donna 2018.

Torniamo ai luoghi di cui ci ha narrato Adel Jabbar con quel tipico gusto del catturare l’attenzione del pubblico coltivato dai grandi narratori del mondo arabo, d’altronde lui viene dalla patria di Sherahazade che ha tenuto a bada il suo principe per ben mille e una notte… Lui stesso organizzerà una serata sul tema nella prossima primavera a Bolzano. Nel suo discorso egli si è concentrato su alcuni edifici architettonici che nel proprio linguaggio segnico nascondono ed esprimono diverse relazioni culturali, come l’immagine di una torre alta e fina in pieno centro di Cremona che assomiglia nello stile a un minareto. Di fatto è la torre di un convento. Per rafforzare la sua tesi mostra un’altra immagine in cui è raffigurato un minareto simile che si trova a Bagdad e ci dice che ce ne sono altri quasi uguali nel mondo, in Egitto, a Seattle negli Usa e a Doha nel Qatar. Di qui si evince che i luoghi sono molto più connessi di quel che si crede, ove le connessioni culturali vanno ben oltre i confini, i quali sono una mera invenzione del passato recente quando hanno inventato gli stati nazione. Per altro un confine ha difficilmente fermato le idee che circolano ancor più velocemente delle persone, come angeli portano i messaggi e laddove atterrano contribuiscono a produrre bellezze di tutti i tipi. Basta pensare alla facciata dalle influenze barocche della moschea di Lagos in Nigeria, costruita a fine Ottocento dai discendenti degli schiavi portati nel Brasile che erano tornati nel paese di origine dei loro avi portando con sé le influenze culturali assoggettati in America Latina da spagnoli e portoghesi creando un mix davvero interessante. Jabbar ama quella immagine scattata nella capitale di uno dei paesi africani più lacerati dalle guerre civili e che oggi “producono” tanti migranti che scappano dalle violenze nel loro paese perché quell’edificio rappresenta il giro nel mondo delle persone praticato da sempre. In quella facciata composta da tanti dettagli si sono impresse le dinamiche culturali che si chiamano anche col concetto di “transculturalità”: un vero prodotto del continuo camminare delle persone.

Adel Jabbar a causa - o meglio grazie - alla sua professione si trova spesso a girovagare nel mondo e nei libri per cui quando scorge elementi simili ci sguazza confermando essi le sue tesi di interculturalità e identità. Concetto, quest’ultimo, che – e qui il sociologo cita l’omologo polacco Zygmunt Bauman, inventore del concetto di “società liquida” - il quale disse che sul dizionario la parola “identità” viene definita come soggetto quando di fatto è un verbo perché al pari di esso va coniugata e riconiugata andando a trasformarsi ogni volta a seconda di chi si incontra. Nulla più vero di questo. Un altro esempio viene dalla Rocchetta Mattei che si trova nel comune di Grizzana Morandi sull’Appennino bolognese: un castello orientaleggiante sulla scia delle mille e una notte, il racconto che per altro aveva inciso molto sull’immaginario di scrittori, artisti e architetti, e dove si trovano numerosi intrecci di stili vari sia nella parte esterna che negli interni. Altri edifici narrano di storie di famiglie, di fughe e arresti, di ritorni e nuove ascese. Mentre parla, il sociologo che sa fare il suo mestiere, interpella di continuo il pubblico presente onde far partecipare chi ascolta con il proprio sguardo, il proprio vissuto, emotivo e intellettuale, per far spaziare maggiormente il racconto. Infine accenniamo a due luoghi presenti nella nostra regione, il primo è la casa araba a Rovereto con facciate in legno a intarsio che somigliano a quelle di Aleppo (oggi ormai andate distrutte dai continui bombardamenti in Siria), costruita da commercianti nel periodo in cui quella zona faceva parte della repubblica di Venezia; il secondo riguarda una festa annuale di Moena, la “Festa della Turchia” che si svolge il primo fine settimana di agosto e trasforma la cittadina al confine tra le valli di Fiemme e di Fassa in una comunità turca con tanto di bandierine esposte alle finestre e le persone del luogo (tra)vestite da cittadini di quel paese. Sorge nuovamente la domanda: da dove nasce questa tradizione? Come può, inoltre, sopravvivere un’altra tradizione – scoperta dallo stesso Jabbar in album di foto – ossia i matrimoni celebrati in quella cittadina in perfetto stile turco? Quale percezione dialogica sta qui dietro le quinte? Ci sono radici storiche? E ancora: qual è la differenza tra storia e memoria? C’è un gran parlare di memoria storica che spesso però viene distorta a favore di una percezione sul presente, mentre la Storia smentisce con i propri dettagli ciò che spesso le persone hanno conservato nelle proprie teste pensando di aver ragione. E la Storia ci narra che ai tempi del grande assedio turco davanti alle porte di Vienna nel 1683, l’imperatore aveva raccolto soldati ovunque nel mondo, i quali, una volta finito l’assedio, rimasero allo sbando e nel loro vagare alcuni erano passati da Moena, dove furono accolti e fu dato loro un terreno sul quale era poi stato costruito il rione che a tutt’oggi si chiama Turchia.

Si finisce con due immagini che fanno da contrappunto, la prima mostra un paese completamente abbandonato nelle vicinanze di Lecco sorto negli anni del boom economico creando per altro un enorme scempio ambientale in quanto era stato distrutto il borgo precedente e facendo abbandonare i campi coltivati per fare spazio alle costruzioni della “Las Vegas in Brianza” poi in parte distrutte da una grande frana staccatasi proprio a causa di quello squilibrio prodotto dall’uomo, e la seconda foto mostra come oggi giorno si intrecciano i diversi riferimenti culturali condensandosi in piccoli spazi urbani: un bar dove sopra il frigo ricoperto dalla immagine pubblicitaria della Coca-cola sventola un ventilatore svedese mentre un senegalese vende ombrellini di carta cinesi per fare ombra agli ospiti che arrivano dai vari paesi in vacanza a Creta.