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Social Street

“Dal virtuale al reale al virtuoso” – ecco com’è nato un fenomeno oggi diffuso in tutto il mondo e studiato dagli esperti: comunità sociali nelle strade urbane
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Foto: Salto.bz

Di questi tempi difficili molte persone passano tanto tempo sui social, ma c’è bisogno anche di sostegno concreto nella vita reale. Il fatto che secondo uno studio condotto negli Usa ogni persona che possiede uno smartphone, di norma, su cinque minuti di navigazione ne trascorra (in tempi normali) almeno uno su Facebook, sta alla base di un’idea che ormai ha fatto il giro del mondo, realizzandosi in tanti luoghi. Quale? Creare comunità in pieno centro urbano, dove purtroppo nel corso degli anni le relazioni umane a causa di tanti fattori si sono inaridite al punto che spesso non si conosce il proprio vicino nello stesso edificio.

Tutto nasce da un semplice desiderio di socialità da parte di un giovane trasferitosi con la famiglia a Bologna da un paesino vicino a Pisa, sentendosi “straniero” nella strada in cui era andato ad abitare, pur parlando la stessa lingua, condividendo la stessa vita quotidiana e andando come tutti al lavoro ogni giorno. Suo figlio piccolo si era ritrovato a giocare da solo nella cameretta, dato che le famiglie, di lui e della moglie, erano lontane. Federico Bastiani, questo il nome del giovane, era abituato alla vita di paese in cui era cresciuto, dove tutti conoscono tutti (ovviamente coi pro e contro che ben si sanno, aggiungiamo noi) e l’aiuto reciproco è assoluta normalità. Ma: che succede oggigiorno se si suona alle nove di sera al campanello del vicino per chiedere un po’ di burro per condire la pasta? Forse qualcuno aprirà la porta, nel maggior numero dei casi si sentirà piuttosto una doppia mandata di chiavi e alla fine il silenzio. Federico, esperto di economia aziendale, non voleva creare l’ennesima piattaforma, tantomeno l’ennesima app per ovviare alla situazione, visto che tanti ne hanno sul proprio telefono ma le usano raramente. Conoscendo lo studio succitato, aveva individuato il mezzo da usare per giungere allo scopo perché lo scopo era altro: creare un gruppo chiuso su Facebook denominato “Residenti - via Fondazza” invertendone il paradigma di funzionamento, ossia non ricercare amici lontani nel mondo per ritrovarsi nel mondo virtuale, bensì cercare persone nel vicinato per poi ritrovarsi nel mondo reale. Con volantini stampati e attaccati in giro su cui era scritta la semplice richiesta di “voler conoscere altre persone nella mia strada” e non quella più semplicistica “voglio trovare amichetti per mio figlio”, l’iniziativa venne pubblicizzata. Ora toccava aspettare.


In capo a tre/quattro giorni c’erano i primi venti iscritti, due anni dopo erano oltre un migliaio e la strada è diventata ciò che Federico Bastiani e la moglie Laurell Boyers avevano desiderato: una comunità sociale. Di qui la denominazione “social street”, che oggi dispone di un sito in cui ognuno può consultare le regole per aderirvi, dove il titolo sulla prima pagina recita a grandi lettere Dal virtuale al reale al virtuoso, e cioè usare Fb per creare un primo contatto che poi sfoci in contatti nella vita reale, per conoscersi. “Viviamo vicini e ci aiutiamo, l’uno con l’altro, perché ormai ci si conosce (quasi) tutti”, precisa Luigi Nardacchione, in pensione da anni e che sin dagli inizi aveva dato una mano e figura come co-fondatore. Per lui (e per tante altre persone sole, fuori dal giro cosiddetto produttivo) “aiutarsi elimina solitudine e paura”.

 

Questo brulichio di vita sociale ha ben presto suscitato l’interesse dei media. Infatti, sul sito si possono guardare alla voce “rassegna stampa” oltre ad articoli sul “New York Times”, “Libération” o “El Pais”, anche servizi televisivi andati in onda sulla BBC inglese, sul canale franco-tedesco ARTE e sulle tre reti nazionali della Rai. L’accento è posto sempre su un altro aspetto fondamentale cui teneva Federico Bastiani, abituato a creare per lavoro Start-up: nel suo intervento al TED di Pisa (consultabile sul sito) avvenuto il 31 luglio 2017 spiega che dietro a tutto questo non c’era alcun business plan, ma soltanto la semplice idea basata sui buoni esempi da lui stesso vissuti nel paese di origine. Dunque, la social street non ha una sede, non prevede nessuna tessera di iscrizione, non è un’associazione, ma è basata sul criterio dell’inclusione, quindi nessuna differenza socio-politico-culturale-religiosa-etnica. L’unico requisito è che tutti siano residenti nella stessa strada per ricreare un tessuto sociale andato perduto e lo spirito per l’economia del dono.

 

Ormai ne esistono oltre 400 registrate ufficialmente nell’elenco del sito, ma di sicuro sono molte di più. Sono diffuse in numerose province e città italiane, Bologna in testa con oltre 50, assieme a Milano, e anche a Bolzano, scopriamo, ce ne sono un paio. Purtroppo sul gruppo di uno dei due vediamo (quasi) unicamente post generici per non dire faziosi dal punto di vista socio-politico, mentre una realtà tra le più famose di Milano, Via Sarpi (per chi non la conosce: è una via pedonale molto frequentata in pieno quartiere cinese, a pochi passi dalla Libreria Feltrinelli e dalla stazione metro Garibaldi), presenta un quadro completamente diverso proponendo il servizio “Adotta un vicino” per aiutare persone in difficoltà con spesa, eccetera, inoltre si segnalano i negozi aperti e c’è persino una psicologa che offre colloqui gratuiti su skype per superare i giorni di crisi in cui ansia e rinunce mettono a dura prova tanti cittadini.


Sul sito si trovano anche testimonianze da tutto il mondo, come un reportage fotografico di una social street nel Brasile, ad Agudos nello stato di Sao Paolo, dove da iniziali ritrovi mangerecci si è poi arrivati agli aiuti reciproci per traslochi o riparazioni, e alla creazione di una biblioteca di strada soprattutto a uso dei più piccoli. Questo ci dà il nesso per parlare di una tra le più storiche strade di Bologna, una vera e propria social street da sempre, senza l’ausilio di un gruppo Fb, ovvero via del Pratello, piena di osterie, trattorie e di giovani, ma anche di persone anziane. Qui da sempre - e ancora oggi - c’è la dimensione che Federico cercava nella sua strada, la solidarietà reciproca, che di questi tempi è diventata anche altra: all’angolo con via Paradiso, una piccola laterale, da un po’ di tempo - a una certa ora del giorno - alcuni giovani mettono musica sul loro terrazzo, brani orecchiabili, adatti a tutte le diverse generazioni che abitano la zona, e puntualmente alla stessa ora appaiono alle finestre i volti sorridenti delle persone attempate che chiedono determinati brani musicali, desideri che - se possibili - vengono esauditi per il piacere di tutti. A mo’ di quelle trasmissioni radiofoniche di una volta, dove gli ascoltatori potevano chiedere una certa canzone che poi veniva trasmessa, ad esempio, per il compleanno di qualcuno o semplicemente per fare un saluto a una persona cara.

 

Un’ultima curiosità ci arriva dal racconto di Paolo Bettini, architetto designer che ha girato il mondo durante la sua attività di professore universitario e che oggi si gode la vita da pensionato nella sua casa di via Fondazza assieme alla moglie. C’è un barbiere molto anziano, Angelo Spoglianti, che nonostante l’età avanzata continua a tagliare i capelli, che gli ha raccontato di essere stato da giovane il barbiere di Giorgio Morandi, il famoso pittore vissuto in quella stessa via (oltretutto nella casa di fronte a quella di Bettini) dal 1909 fino alla morte nel 1964.
All’inizio esponente della metafisica assieme a Giorgio De Chirico e Carlo Carrà, divenne poi tra i maggiori artisti del ‘900 attraverso una ricerca del tutto personale che trovò la sua massima espressione nelle nature morte. Insegnante di incisione all’Accademia di Bologna per quasi trent’anni, dipingeva quasi esclusivamente nella sua camera che fungeva anche da studio, oggi ricostruito nella Casa Museo. Fu un uomo solitario, visse sempre con la famiglia di origine e fino all’ultimo con una sorella. Era solito uscire poco di casa, per cui il signor Angelo si recava a casa del pittore, dove ricorda un ambiente cupo, per tagliargli i capelli, operazione svolta in silenzio perché Morandi era un tipo taciturno, aveva pochi e selezionati amici, tra cui lo storico dell’arte Francesco Arcangeli, che abitava giusto un paio di strade più in là. Angelo Spoglianti è una sorta di “memoria della strada” che conosce dall’alto dei suoi ormai novant’anni, avendo vissuto oltre alle difficoltà della seconda guerra mondiale anche l’evoluzione successiva, con artigiani che lasciavano la propria bottega a esercizi commerciali di altro tipo.
Chissà quante altre “memorie” ci abitano accanto, senza che noi lo sappiamo?