Cronaca | Welfare

Stato sociale, patrimonio per tutti

In questi tempi drammatici, il tanto vituperato Stato sociale sta vivendo una rivincita.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale del partner e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
Mondo
Foto: Fabio Petrini

Premetto che l'atteggiamento della maggior parte della popolazione nei suoi confronti è sempre stata positiva. Ammortizzatori sociali, la sanità pubblica e gli aiuti alla persona erano da sempre misure importanti per ridurre le disuguaglianze economiche e fornire maggiori certezze sul futuro in caso di eventi negativi.

Le critiche erano semmai sui criteri per una distribuzione equa a favore di chi ne abbia realmente bisogno, sulle risorse investite, sulla sostenibilità e sull’efficacia degli interventi. Va anche subito detto, che molti benefici forniti dalle prestazioni pubbliche sono a disposizione di tutti indipendentemente da quanto possiedono. Scuole pubbliche, ospedali, sanità sul territorio, pensioni, non autosufficienza e l’istruzione servono a tutti. Poi ovviamente ci sono prestazioni mirate contro gli imprevisti della vita e quelle conto la povertà.

Lo stato sociale rappresenta di fatto un patrimonio per tutti. Questo vale poi in particolar modo per chi non possiede azioni o risparmi o per chi non avrà una pensione complementare o non si può permettere un'assicurazione sanitaria supplementare, o per chi non ha una casa in proprietà e vive nelle case pubbliche.

Ma esso produce anche effetti economici positivi. Gli investimenti nell’istruzione e nell’assistenza all'infanzia moltiplicano il valore aggiunto. Investimenti nella prima infanzia e nell’istruzione scolastica migliorano la conciliabilità tra lavoro e famiglia e le opportunità di carriera dei giovani e migliorano l’accesso al lavoro delle donne. La partecipazione delle donne al mercato del lavoro stabilizza il reddito familiare, migliore arma nella lotta alla povertà.

Sono questioni che il sindacato solleva da sempre. Purtroppo il liberismo predicava meno stato e più mercato, più merito e meno assistenzialismo. Gli ammortizzatori sociali per esempio erano additati quasi come disincentivi al lavoro.

La loro riduzione doveva spingere verso la ricerca di un’occupazione. Ma non dava risposte a chi per la mancanza di posti di lavoro, malattia, cura della famiglia, espulsione dal mondo del lavoro per motivi anagrafici aveva difficoltà oggettive a seguire un lavoro.

Richiamarsi in questi casi alla ricerca attiva di un’occupazione o la frequentazione di corsi formativi suonava come una beffa. Oggi di fronte al disastro tutti chiedono interventi alla mano pubblica, anche in primo luogo quelli che hanno chiesto il suo ridimensionamento e i tagli alla spesa. Incerti casi gli effetti sono stati drammatici. Forse è giunto il momento di correggere alcuni errori del passato e di cambiare strategia.

La sanità pubblica, per esempio, era vista come una struttura gonfiata, incapace di dare risposte ai cittadini. Il privato era il contraltare, veloce, efficiente e ben organizzato e a chi poteva permetterselo era consigliato di stipulare una polizza privata (fiscalmente agevolata). Poi, di fronte ad un’emergenza tutti hanno riscoperto la sanità pubblica e solo interventi economici consistenti hanno salvato il paese da Covid-19. Spero che la lezione sia servita e che gli investimenti pubblici in questo settore vengano visti come strategici.

Ma la pandemia lascerà segni profondi e cambierà il mondo. Si modificherà il modo di produrre e il lavoro, con problemi nuovi per tutta la filiera sociale. Il Covid-19 è stato un acceleratore verso il mondo digitale che questo processo non finirà con la pandemia. L’istruzione e la formazione, per esempio, diventeranno il perno attorno al quale girerà il futuro dei lavoratori.

Siamo di fronte a processi inarrestabili e dagli sviluppi non ancora prevedibili. Il rischio è un aumento consistente di persone senza lavoro. Una diversa distribuzione del lavoro e nuove forme di distribuzione della ricchezza prodotta saranno necessari. Anche il welfare andrà incontro a forti cambiamenti. A chi sarà espulso dal lavoro per i cambiamenti in atto servono ammortizzatori sociali potenziati e percorsi di riqualificazione. Una riduzione degli orari di lavoro per far lavorare tutti un’altra opzione possibile. E infine la discussione per un reddito di cittadinanza incondizionato o non prenderà quota.

L’Alto Adige non sarà immune dai cambiamenti anche se la nostra situazione è da sempre diversa dal resto dell’Italia. Ci sono molte prestazione, a onore di firma quasi troppe. Noi chiediamo da tempo una semplificazione, cosa sicuramente utile, sia per il cittadino, ma anche per l’amministrazione pubblica.

Fare un fondo unico da cui erogare un reddito di base sarebbe una possibile scelta. Ogni cittadino potrebbe così contare su un reddito certo per gestire la propria vita. Se poi deve essere condizionata o no è una discussione difficile, ma che va fatta. Ovviamente alcune prestazioni specifiche per i casi di disabilità o per l’acquista di apparecchiature di supporto non vanno comunque tenuti separati.  

Il welfare pubblico non è morto perché il mercato non darà mai le risposte necessarie. Semmai bisogna discutere su come renderlo adeguato alle nuove esigenze. Esso rimane un patrimonio per la collettività, ma è anche l’unica ancora per i cittadini in difficoltà, il cui numero è destinato ad aumentare nei prossimi tempi.

Alfred Ebner