Cultura | giovani critici

Tra virtuosismo e sentimento

Altro successo dell'Orchestra Haydn al secondo concerto di stagione. Sorprende la prova del violinista russo Boris Brovtsyn.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
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Foto: Il violinista russo Boris Brovtsyn

Martedì scorso 22 ottobre, ci siamo recate all'auditorium Haydn per assistere al secondo appuntamento della stagione sinfonica della nostra orchestra regionale. In programma il Concerto per violino e orchestra in re maggiore di Wolfgang Korngold e la Sinfonia n.7 in re minore di Antonìn Dvorák.

Preceduto dall’orchestra al completo e dal violino solista Boris Brovtsyn, il direttore Arvo Volmer sale sul palco per invitare il pubblico in sala ad assistere all'esecuzione del concerto per violino di Korngold. L'opera si sviluppa in tre movimenti: un moderato nobile, un andante riflessivo e un’allegro molto vivace. Il primo movimento si introduce con fiati e archi che accompagnano il solista a raccontare una storia malinconica destinata a compiersi a buon fine, ma pian piano si evolve in una melodia più allegra che dona senso di pace interiore. Quest’armonia viene interrotta dalla violenza dei timpani, per concludere poi con grande enfasi il primo movimento. L'andante centrale esordisce con il violino solista che, compiendo movimenti leggeri, sembra trasmettere un sentimento malinconico, passionale e romantico. A tratti però si può notare anche un senso di rabbia e paura. Come se venisse raccontata una storia d’amore passionale, senza filtri e colma di dolcezze e tensioni, per finire con il registro acuto del violino che lascia in sospeso l'atmosfera.

Molto decisa l'esecuzione dell'ultimo movimento, vivace e spedito. Il pubblico rimane persuaso dall’orchestra e dall’abilità del solista nel gestire l'impressionante tecnica che il finale richiede, portando ad una conclusione tra la gloria e la gioia.

Dopo l'intervallo, l’orchestra si cimenta nell'interpretazione della Sinfonia n.7 in re minore di Antonín Dvorák.

Il primo movimento è un allegro maestoso, ricco di suspance e una sensazione di paura di scoprire cose nuove. I fiati, in alcune battute, diventano lo strumento principale e non più di accompagnamento. In molti passaggi l’orchestra diventa un tutt’uno con se stessa, come fosse un unico strumento.

Anche nel movimento adagio i fiati hanno spesso il ruolo principale. In un momento di tranquillità, ove tutto sembra essersi calmato, l’orchestra esplode in un intreccio di note che combaciano alla perfezione, come si stessero abbracciando tra loro.

Ad aggiungersi alla marcia precedentemente iniziata dall’orchestra, vi sono i timpani che ,suonando con forza, trasmettendo enfasi. Le emozioni sono di vario tipo, non si riescono ad identificare con facilità. Il secondo movimento si conclude con un suono leggero e molto piacevole, anche se l’intero movimento sembra perdurare rispetto al primo.

Il terzo movimento è ricco di suspance e maestosità che sembra quasi voler lanciare delle sfide: gli archi s’intrecciano, i suoni si mescolano a tal punto da non riconoscerli e differenziarli. Tutto diventa una matassa ingarbugliata, complessa e articolata che richiede al pubblico grande concentrazione.

Il quarto movimento, come da programma, risolve le tensioni e sfocia nella più euforica trasparenza. Il direttore si congratula con il pubblico, ringraziando con un inchino.

Un altro successo di casa Haydn.

Giada Lombardo e Giorgia Sandrini

Liceo Pascoli classe 4M - indirizzo musicale