Società | giovani

Dalla parte degli esclusi

965 le richieste di aiuto recapitate alla Garante per l’infanzia e l’adolescenza. In Alto Adige minori sempre più spesso trascurati o vittime di mobbing e bullismo.
Bullismo
Foto: upi

Si chiama “Kija” ed è il servizio, accessibile a tutti e istituito con legge provinciale nel 2009, dell’Ufficio della Garante per l’infanzia e l’adolescenza, che si occupa, fra le altre cose, di ragazzi trascurati, esclusi o vittime di mobbing e bullismo in Alto Adige. Qualche dato: nel 2016 sono state 965 le richieste pervenute alle collaboratrici di Kija e che riguardavano tematiche come separazione, divorzio, allontanamento, assistenza economica, tempo libero, asilo, scuola, mobbing, autodeterminazione dei giovani, internet e tutela giovanile. Le consulenze (riservate, anonime e gratuite) sono state fornite perlopiù telefonicamente (793 le chiamate), 125 sono stati i colloqui “Face to Face”, 29 le consulenze via e-mail, 11 tramite WhatsApp e 7 via Facebook. 551 sono stati i fascicoli trattati nel 2016, di cui 215 di nuova apertura, mentre i restanti provengono dagli anni precedenti. “I casi - spiega la garante Paula Maria Ladstätter - sono spesso complessi e coinvolgono vari attori. La loro elaborazione è articolata e spesso dura alcuni anni”. Sono necessari colloqui individuali e di mediazione e incontri con i partner di rete e durante i meeting organizzati dalla Kija sono presenti di media dai 6 ai 10 rappresentanti di autorità e servizi.

La storia di Clara

A titolo di esempio Ladstätter cita il caso di una mamma proveniente da un paesino altoatesino la cui figlia di 10 anni, Clara (nome di fantasia), veniva criticata dai suoi insegnanti per via della sua dislessia, senza mai però chiedere alla madre di fare una diagnosi più approfondita. Nei compiti scritti la bambina trovava sempre più difficoltà e gli insegnanti non prendevano provvedimenti: Clara iniziava ad essere esclusa, umiliata ed evitata dai compagni. Dal momento che la bambina al mattino si svegliava di frequente con il mal di pancia, la madre si era rivolta ripetutamente, ma inutilmente, all’insegnante di classe. Anche un colloquio con il direttore scolastico non aveva portato ai risultati sperati. La madre si era rivolta quindi all’Ufficio per la Garante dell’infanzia e adolescenza, e Ladstätter aveva invitato a colloquio i genitori della bambina, l’intendente scolastico, il direttore scolastico, l’insegnante di classe e rappresentanti del distretto sociale. Il padre della bambina, che non viveva con la famiglia, aveva chiesto che la bambina cambiasse scuola, ma dopo una serie d’incontri individuali e di gruppo i genitori avevano convenuto che la figlia restasse nella scuola che stava frequentando. I responsabili della scuola avevano quindi richiesto una diagnosi della dislessia, realizzato un piano di formazione individuale e introdotto in classe il tema del mobbing. Nel frattempo, per la bambina, che ora frequenta la quinta elementare, la situazione è relativamente migliorata.