Società | Europa

Il balcone della pace

il 10 novembre del 2018 sarà il giorno della Repubblica Europea. L'European balcony project lancia un manifesto e una sfida con appuntamento anche a Bolzano.
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Foto: upi
Tutti conoscono quello di Piazza Venezia, a Roma, dal quale il 10 giugno del 1940 il Duce annunciò ai combattenti di cielo, di terra, di mare eccetera che “un'ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria”. A Vienna c'è invece quello della Neue Hofburg, scelto da Adolf Hitler il 13 marzo del 1938 per proclamare “den Eintritt meiner Heimat ins Deutsche Reich”: e anche in questo caso s'è visto come è andata a finire. I balconi, insomma, spesso portano male a chi ci sale e a chi, da sotto, acclama.
I promotori di European balcony projectlanciano perciò una sfida proprio a questo topos della storia e della politica. E' dai balconi che fu proclamata, dopo la fine della prima guerra mondiale e il crollo degli imperi tedeschi, la nascita delle nuove repubbliche. Cento anni dopo, e dopo una seconda catastrofe mondiale risultato delle mai sepolte rivalità tra gli stati, il 10 novembre del 2018 sarà il giorno della Repubblica Europea. Il suo atto di nascita è un manifesto che verrà letto e interpretato in chiave artistica dai balconi, nei teatri e in altri luoghi pubblici di oltre cento città europee. A Bolzano, in piazza delle Erbe alle 16:00, su iniziativa delle Vereinigte Bühnen Bozen, saranno degli attori ad annunciare in tedesco e in italiano quella che si spera una svolta nella storia del vecchio continente. Per il resto, è significativo che in questa “piccola Europa nell'Europa”, come viene a volte definito l'Alto Adige/Südtirol, si sia parlato poco o nulla di questa iniziativa.

 

 
 
 
Ci sono due affermazioni a mio parere centrali nel manifesto firmato da Ulrike Guérot, Robert Menasse e Milo Rau.
La prima: “L'Europa degli stati nazionali è fallita”. Qualcuno obietterà che il giudizio è troppo severo, perché in fondo l'Unione europea ha garantito, almeno ai suoi abitanti, settant'anni di pace, benessere, libertà. Gli autori del manifesto prevengono questa obiezione ricordando ciò che tutte le persone oneste e consapevoli riconoscono: la prosperità dell'Europa si è costruita anche sullo sfruttamento del terzo mondo. I diseredati della terra hanno pagato la nostra ricchezza con la loro povertà: per questa ragione e sulla base della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo
dobbiamo accettarli come cittadini a pieno titolo della Repubblica Europea.
L'Europa degli stati nazionali è fallita anche perché gli stati sono ormai solo l'involucro di ciò che erano una volta. Nell'immaginario collettivo gli stati restano i soggetti della storia e della politica; nella realtà gli stati sono fagocitati dai nuovi modelli di produzione e di scambio, dalle tecnologie informatiche e dalle forme che ha assunto la comunicazione, dalla finanza, dalle aziende multinazionali: sono questi i centri del vero potere. Il nazionalismo, il sovranismo, il nativismo che vediamo montare in questi anni sono solo una reazione isterica, come quella di chi grida tanto più forte “Io! Io!”, quanto più è precaria la sua condizione e debole la sua consapevolezza. Gli stati nazionali sono anzi d'intralcio al progetto europeo, perché i loro cittadini sono soggetti a sistemi politici, elettorali, giudiziari, fiscali e amministrativi diseguali se non incompatibili. Come si può arrivare, in queste condizioni, a una democrazia compiuta e partecipata? Parità di chances e di opportunità: quanto siamo lontani da questa promessa?
 
La seconda affermazione del manifesto contiene la parte costruttiva del ragionamento: “Europa significa unire le persone, non significa integrare gli stati”. Personalmente ci vedo qualcosa di più dell'esortazione a partire, come si dice, dal basso. E' un invito a cambiare prospettiva e a mettere al centro della nostra attenzione non i presunti soggetti storici – gli stati, gli interessi nazionali, gli egoismi – ma le relazioni. E' l'intero che va considerato, non una sola parte di esso. L'Europa è ricca anche perché il terzo mondo è povero; la Germania è prospera anche per merito dei Gastarbeiter jugoslavi, greci, italiani, spagnoli; il Südtirol è ciò che è anche perché si trova in Italia... Al più tardi con l'affermarsi della globalizzazione dovrebbe essere chiaro a tutti che la storia del mondo è una, non una per continente e tantomeno una per nazione. Questo significa ragionare in termini di relazioni, non di soggetti. Se i nostri vicini sono ridotti alla disperazione, non solo questa condizione dipende anche da noi, ma alla fine ne risentiremo anche noi. Perciò non si tratta di conciliare i nostri interessi con i loro, ma di comprendere che gli interessi nostri e loro sono comuni. Così io intendo “unire le persone”. 
 
The European Balcony Project - Trailer
L'Europa di oggi, tutti noi saremo capaci di questa svolta? Robert Menasse ha dato una risposta impressionante a questa domanda. Possiamo provarci adesso, ha detto. Oppure possiamo proseguire sulla strada che stiamo percorrendo. In quel caso è facile immaginare l'esito: il conflitto tra i soggetti portatori di “interessi nazionali” si radicalizzerà e andremo incontro a una nuova catastrofe. Dopo di che, conclude Menasse, sulle macerie del mondo i sopravvissuti torneranno a giurare “Mai più!” e forse se ne riparlerà.