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“Lo stigma esiste ancora”

Il 1° dicembre si celebra la giornata mondiale contro l’AIDS. Tra pregiudizi e sottovalutazione del rischio la trasmissione da HIV è un problema tutt’altro che risolto.
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Foto: Controradio

Le diagnosi da HIV sono in progressivo calo in Italia. Nel 2020, complice la pandemia, sono stati segnalati 1303 casi. Tuttavia questo non è un dato che deve trarci in inganno. Allo stesso tempo infatti aumentano coloro che non sanno di essere sieropositivi: “Le persone che sul nostro territorio vengono testate positive sono già in uno stato avanzato, con diagnosi cioè di AIDS o che stanno sviluppando i primi sintomi”, spiega a salto.bz Arianna Miriam Fiumefreddo, già presidente di Centaurus Arcigay e impiegata presso l’associazione Pro Positiv a Bolzano che si occupa di informazione e sensibilizzazione nell’ambito delle malattie infettive.

A livello nazionale fa particolarmente riflettere la proporzione di soggetti con diagnosi di AIDS, quindi quando il virus HIV ha avuto modo e tempo di sviluppare la malattia. Nel 2020, l’80% delle persone sieropositive hanno scoperto solamente 6 mesi prima la propria diagnosi, contro il 48% del 2020.

 

Per i dati locali sarà necessario attendere il 3 dicembre, in concomitanza della giornata mondiale contro l’Aids del primo dicembre, quando l’Associazione presenterà pubblicamente le statistiche dell’anno corrente assieme ai rappresentanti del reparto malattie infettive dell’ospedale di Bolzano.

In generale i numeri complessivi dell’impatto mondiale dell’infezione HIV continuano a scendere troppo lentamente. Nel rapporto “Sconfiggere le pandemie mettendo le persone al centro”, UNAIDS, ha dovuto fissare i nuovi obiettivi per il 2025, tenendo conto del mancato raggiungimento dei target 2020. Se gli obiettivi fossero stati raggiunti entro la fine dell’anno scorso si sarebbero dovute registrare un massimo di 500.000 infezioni nel mondo ma in realtà sono arrivate a un milione e 700 mila, un numero tre volte superiore. Le morti per patologie correlate all’AIDS sono state quasi 700mila. Se gli obiettivi fossero stati raggiunti sarebbero dovute essere almeno 200 mila in meno.

Il cosiddetto target “90-90-90” prescriveva, entro il 2020, di rendere consapevoli del proprio stato il 90% delle persone con HIV, di garantire al 90% delle persone sieropositive l’accesso alle terapie Antiretrovirali (ART) e di portare alla soppressione virologica almeno il 90%. A livello globale il dato reale si è attestato invece a 81-82-88. “A Bolzano abbiamo una situazione decisamente più favorevole – continua Fiumefreddo – perchè il 100% delle persone che sono state rilevate positive sono attualmente in cura”.

I progressi medici degli ultimi anni hanno messo a disposizione farmaci altamente efficaci. Se la persona con diagnosi di HIV entra in trattamento prima del decorso in AIDS la terapia ha effetto a tal punto da impedire la trasmissibilità anche in caso di rapporti non protetti. In questo caso si dice che la malattia non è più rilevabile ed è il cuore della campagna di sensibilizzazione “U=U”, una formula che serve a indicare che l’indice di trasmissibilità di una persona sieropositiva correttamente e tempestivamente trattata equivale a quello di una persona che non ha mai contratto il virus. 

Prima se ne parlava tanto e male e ora se ne parla poco o nulla

Anche sul campo della prevenzione si registrano molti progressi: il classico condom – sempre raccomandato – ha conosciuto anche la sua versione femminile. Esiste la PrEP, un farmaco retrovirale da prediligere quando l’utilizzo del preservativo non è possibile oppure la pEP, da assumere in situazioni emergenziali. Tuttavia proprio per la consapevolezza ormai generalizzata che morire di AIDS al giorno d’oggi è molto più raro le persone rischiano di sottovalutare il problema: “Quando è arrivata la terapia, l’HIV è scomparsa dal dibattito pubblico. Prima se ne parlava tanto e male e ora se ne parla poco o nulla. In ogni caso lo stigma esiste ancora – fa notare Fiumefreddo – e quando non comporta una dissociazione dal problema si accompagna con un un timore del tutto irrazionale. Trasmettere un’adeguata conoscenza del fenomeno è ancora difficile e cosa tutt’altro che scontata. Qualche tempo fa ci aveva contattato un’avvocatessa. Attraverso i documenti processuali era venuta a conoscenza della sieropositività di un suo assistito e ci ha chiesto se il semplice gesto di scambio della penna costituisse un vettore di trasmissione. Viveva in uno stato di profonda ansia al solo pensiero di dover incontrare il cliente. Nelle scuole i ragazzi dicono che non è un problema che li riguarda perchè non sono gay. D’altronde – si ricorda –  stiamo parlando di un’esperienza che per anni è stata demonizzata per via della peculiare trasmissibilità e associata alla comunità omosessuale, tra coloro che facevano uso di sostanze o in generale a chi si rendeva protagonista di comportamenti definiti devianti. A causa di questi pregiudizi la stessa comunità gay ha avuto per anni difficoltà nell’affrontare il fenomeno proprio per timore di riprodurre lo stigma. E tra coloro che si definiscono eterosessuali non mancano le difficoltà. La prevenzione – conclude Fiumefreddo – risulta difficile perchè per farlo bisogna parlare di sessualità in un tutte le sue forme in un contesto che ahinoi è ancora troppo sessuofobico”.