Politica | Conflitto sull'euro

Una fuga in avanti, ma democratica

A Roma questa settimana un’ordinaria crisi di governo è sboccata in una crisi istituzionale perché il Presidente sospetta una linea più critica nei confronti dell'euro.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.

Il Presidente Mattarella, prevaricando i suoi doveri, ha rifiutato un unico ministro propostogli dal premier incaricato. Questa scelta presidenziale è stata dettata solo da valutazioni politiche mosse dalla “necessità di tutelare i risparmi degli italiani” che lo costringerebbero di far rispettare tutti i vincoli imposti dai patti sull’euro. In due parole: gli italiani non possono ottenere il governo che ha trovato una maggioranza nel Parlamento perché Italia fa parte dell’Unione monetaria. A parte che né il contratto di governo fra M5S e Lega, né le dichiarazioni specifiche di Paolo Savona indicano l’intenzione di far uscire l’Italia dall’Euro, è molto grave che un Presidente bloccasse un governo solo perché sospetto di voler rinegoziare quale aspetto delle norme sulla stabilità e crescita dell’Eurozona, qualcosa che l’Ue comunque farà al suo prossimo vertice di fine giugno. Se ora nella popolazione si diffonde l’impressione che a causa dell’euro non sia più permesso esprimere un governo democraticamente legittimato, è l’istituzione stessa dell’Unione monetaria a perdere credibilità.

Tutto questo fornisce fin troppa munizione agli euroscettici da sempre e inasprisce il dibattito sulle riforme possibili delle condizioni di adesione all’euro. Il veto posto da Mattarella nei confronti di Savona è una spinta per il “sovranismo” della Lega, una sorta di nazional-populismo che già dilaga in altri paesi membri dell’Eurozona. In fondo a limitare la sovranità italiana non è tanto l’euro, un quadro normativo a cui l’Italia è aderita liberamente e che ancora oggi, stando a sondaggi (Eurobarometer 2017), è sostenuto dal 70% degli italiani. Sono i 2300 miliardi di euro di debito pubblico accumulati fino all’aprile 2018, un fardello insostenibile che non sparirebbe con l’uscita dall’euro. Anzi, dal momento che un terzo di questo stock di debiti (732,2 miliardi in aprile 2018, Banca d’Italia) si trova in mano di istituzioni estere, il ritorno ad una lira svalutata la farebbe ancora più pesante.

Per uscire dall’impasse dell’escalation nei confronti dell’Eurogruppo e di minacce reciproche fra Berlino, Roma e Bruxelles, si tratta di ricostituire l’Unione monetaria come organismo democratico anziché autorità centralizzata di poteri economicamente forti che ricattano i paesi economicamente più deboli. È così che l’Eurozona viene dipinta oggi in Italia. Non si tratta solo di rendere l’Eurogruppo più unito e efficace come risulta dal piano Juncker e dalle proposte di Macron, che saranno discusse a fine mese a Bruxelles. Limitarsi a creare un ministro delle finanze europeo con un proprio bilancio, proprie imposte e nuovi poteri di controllo perfino potrebbe accrescere i timori dei paesi mediterranei nei confronti dell’asse Berlino-Parigi.

Si tratta invece di creare più legittimità democratica a tutto l’Eurogruppo, effettivamente governato da un gruppo ristretto di capi di governo, ministri delle finanze e eurocrati. Democratizzare l’Eurogruppo è possibile. La proposta concreta è stata fornita un anno fa da un gruppo di studiosi attorno al famoso Thomas Piketty (Per un Trattato di democratizzazione dell’Europa (il T-Dem), firmato da Hennette, Piketty, Sancriste e Vauchez, edizioni La Nave di Teseo 2017). Piketty e il suo giro partono dal fatto che l’Eurozona oggi sia “un buco nero della democrazia”. Sarebbe più che urgente recuperare elementi di democrazia rappresentativa per creare più controllo e legittimazione democratica. A questo scopo Piketty e il suo giro offrono un trattato bell’e pronto per costituire un Parlamento dell’Eurozona. Quest’assemblea sarebbe composta per 4/5 dei suoi membri da deputati dei parlamenti dei paesi membri e per 1/5 da membri del Parlamento europeo. Il nuovo Parlamento sarebbe dotato di ampie competenze di controllo, di proposta e delibera nelle politiche fiscali, economiche e sociali dell’Eurozona. L’esecutivo oggi troppo potente dell’Eurogruppo sarebbe controbilanciato da un’assemblea parlamentare come espressione del pluralismo democratico dei paesi membri. I costi del nuovo Parlamento, sa insediare nella sede sottoutilizzata di Strasburgo, potrebbero essere coperti semplicemente rinunciando al continuo pendolarismo del Parlamento europeo fra due sedi.

La proposta di Piketty, pur avendo dei punti deboli, indica la fuga in avanti dal crescente sovranismo. Fra il ritiro unilaterale (UK), la dominanza di alcune economie forti dell’Eurozona e il ripetuto tentativo di ottenere delle condizioni di adesione speciali (sarebbe questa la strategia italiana sotto un ipotetico governo gialloverde), la soluzione più promettente è quella di rendere tutto l’Eurogruppo più unito e più democratica. Respingere delle soluzioni volute dalla maggioranza di un tale Parlamento dell’Eurozona sarebbe come respingere delle direttive Ue perché adottate da un’assemblea transnazionale anziché dal proprio parlamento nazionale.