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Glifosato nella pasta, niente panico?

Trovate dosi minime e al di sotto dei limiti di legge in 6 dei marchi più diffusi, ma secondo l’Istituto Ramazzini c’è da preoccuparsi, e molto. L’inchiesta di Report.
Pasta
Foto: Pixabay

“Maccarone m’hai provocato e io ti distruggo, me te magno”, diceva un Alberto Sordi nazionalpopolare nel film cult di Steno Un americano a Roma, affondando la forchetta in un luculliano piatto di pasta. Invitante allora, un po’ meno, forse, oggi. Il motivo: l’inchiesta di Report Che Spiga!, condotta dal giornalista Manuele Bonaccorsi e andata in onda il 30 ottobre, ha rivelato che sui 2,3 milioni di tonnellate di grano che l’Italia importa ogni anno un milione proviene dal Canada, paese in cui gli agricoltori fanno largo uso di glifosato, il componente chiave dei diserbanti più utilizzati al mondo.

Sul glifosato, va sottolineato, l’Europa non riesce ancora a trovare un accordo: l’attuale licenza alla vendita in territorio europeo scadrà il prossimo 9 novembre, la Commissione europea vorrebbe rinnovarla di altri 10 anni, ma il Parlamento europeo vuole vietarne l’uso e al momento la Commissione sta tentando una mediazione, proponendo una nuova lunghezza di 5 anni. La IARC, l’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, afferma che il pesticida in questione è un possibile cancerogeno, cosa che invece l’EFSA, l’agenzia per la sicurezza alimentare, ritiene improbabile.

Il punto è che lo studio sul potenziale impatto del glifosato sulla salute umana è un copia-incolla del dossier presentato da Monsanto, la società che ha inizialmente sviluppato il glifosato brevettandolo nel 1974 e di cui ogni anno si consumano 800mila tonnellate, per un valore di mercato mondiale di 5 miliardi di dollari. Il guaio è che se anche l’Europa decidesse di dire no al glifosato ciò non impedirebbe l’importazione di grano con l’erbicida. Grano su cui fra l’altro i controlli per verificare la presenza di glifosato sono praticamente inesistenti, sia in Canada sia in Italia. 

 

Butta la pasta

Report ha fatto analizzare alcuni campioni dei 6 marchi di pasta più diffusi in Italia per scoprire che contengono tutti piccolissime dosi di glifosato, ma, beninteso, ampiamente sotto ai limiti consentiti dalla legge, che sono fissati in 10 mg per Kg, e dunque Barilla: 0,301, Garofalo: 0,286, Divella: 0,249, Rummo: 0,137, La Molisana: 0,086, De Cecco: 0,083. Secondo l’EFSA il rischio per l’uomo si presenta se si superano i limiti giornalieri di 0,5 mg per kg di peso corporeo, cosa significa? Che una persona fra i 60 e i 70 kg dovrebbe mangiare ogni giorno dai 100 ai 600 kg di pasta, perciò, come detto, con questi dati non c’è pericolo.

"Il nostro studio pilota mette in evidenza un impatto notevole del glifosato in termini di salute pubblica"

Non la pensa allo stesso modo, tuttavia, l’Istituto di ricerca indipendente Ramazzini che collabora in tema ambientale con il governo americano e che ha appena concluso uno studio pilota sull’uso del glifosato in minime quantità e i cui risultati sono stati anticipati a Report. Oggi “sappiamo che dosi bassissime possono ritornare a livelli di rischio molto alti - spiega la dottoressa Belpoggi - le basse quantità provocano effetti straordinariamente forti sull’equilibrio ormonale”. Dunque il pericolo sul glifosato, sussiste, certifica l’esperta che prontamente invia quindi una lettera al ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina. “Il nostro studio pilota - scrive - mette in evidenza un impatto notevole del glifosato in termini di salute pubblica”. L’erbicida peraltro non si trova solo nella pasta; l’associazione Granosalus, per esempio, ha fatto esaminare 20 semole in commercio e 14 risultano contaminate dal glifosato, da una recente indagine dell’Umweltinstitut München è emerso che il pesticida è contenuto in 14 marchi di birre in commercio, la rivista Il Salvagente aveva trovato tracce di glifosato nelle urine di 14 donne incinte su 14 analizzate

 

Il paradosso italiano

In Italia non conviene più coltivare grano, “siamo costretti a vendere il grano sotto costo, perché la quotazione è inferiore a 30 anni fa”, dicono i due agricoltori siciliani intervistati. La causa? L’immissione sul mercato dei grani americani. Chi invece decide di coltivare lo fa perché incassa un contributo europeo di 200/250 euro a ettaro. Piccolo particolare: questo contributo, la cosiddetta incentivazione al reddito, verrebbe dato anche a quei contadini che non fanno la semina.

"Di bacchette magiche non ce ne sono"

Non solo: “stanno uscendo delle misure per cui se tu non coltivi e dai due passaggi veloci con attrezzi leggeri, prendi 350/370 euro a ettaro, che vanno sommati ai 250”, spiega Cosimo Gioia, agricoltore ed ex direttore dell’assessorato all’Agricoltura della Regione Sicilia. Insomma importiamo dal Canada grano coltivato con tecniche che in Italia sarebbero illegali e diamo incentivi agli agricoltori italiani di grano per non farli produrre. Che senso ha? “Non c’è una contraddizione tra liberalizzare il mercato e porre uno stringente sistema di regole nel nostro paese?” domanda Bonaccorsi al ministro Martina. “Per me no - replica il titolare delle Politiche agricole - perché ciascuno di noi deve fare la propria parte. Noi dobbiamo lavorare sempre di più per regole certe sia in casa nostra sia verso gli altri. Il fatto che noi produciamo delle novità dal lato delle nostre scelte costringe gli altri a discutere. Per me va bene così: bisogna fare questo lavoro faticoso, perché di bacchette magiche non ce ne sono”. Da febbraio 2018, in ogni caso, entrerà in vigore una nuova etichettatura obbligatoria per la pasta e la farina in cui dovrà essere indicato l’origine del grano utilizzato.

Tutte e 6 i pastai hanno ricevuto i risultati delle analisi fatte da Report; Barilla, Rummo, Garofalo e Divella hanno detto che non usano grano canadese, De Cecco ha assicurato che si impegna a far sparire entro 2 mesi il glifosato dalla sua pasta, mentre Molisana annuncia una politica glifosato zero.