Società | Il racconto

100 km del Passatore, quel caffè mancato

Cronaca di uno svenimento non annunciato in piena notte a 20 km dall'arrivo, nella gara di corsa considerata la più bella del mondo che conduce da Firenze a fino a Faenza
Giuseppe Musmarra
Foto: giuseppe musmarra

Cosa sia realmente accaduto due settimane fa è evidente: sono svenuto in prossimità dell'80esimo chilometro, al punto di ristoro (con annessa polisportiva e sala del liscio) "Nuovo Camino verde" della ridente frazione San Cassiano, Brisighella, là dove da poco la Toscana lascia posto alla dolce Romagna.
Questi i fatti nella loro brutalità, separati dalle opinioni.
Nel campo delle opinioni, sulla mia 100 Km del Passatore direi che, come in altre esperienze storiche di analogo rilievo, probabilmente mancò la fortuna, non il valore; aggiungerei, senza che la cosa voglia assolutamente costituire un'ambizione alla reiterazione, né tantomeno un invito, che svenire è bellissimo.

Che il Passatore poi tutto sia tranne che una corsa normale, è evidente.

Anche a distanza di un paio di settimane celebrare una sconfitta che fino al km 80 pareva una vittoria resta non semplice per la mia mente e le mie povere ossa, così come non semplice è descrivere il paradiso con annesso girone infernale di questa gara ("la corsa più bella del mondo") che attraverso due salite e tanti paesini conduce, scavallando a metà tracciato l'Appennino, da Firenze a Faenza.
Che il Passatore poi tutto sia tranne che una corsa normale, è evidente.
A parte i top runner, e i pochissimi eletti che riescono a mantenere su una distanza del genere tempi competitivi, questa leggendaria 100 km è sostanzialmente da ascrivere alla tipologia dell'esperienza mistica, un lungo e tormentato serpente umano che sbuffa, impreca, gioisce, che è molto concentrato su se stesso e riserva dunque poco tempo alla pietà per chi resta indietro, e indietro restano in tanti.
Il caldo torrido nel pomeriggio in piazza Duomo, il sole cocente della partenza delle 15, gli applausi della folla, i primi affanni sulla breve ma durissima collina di Fiesole, la tentazione della spensieratezza saltellando in discesa fino a Borgo San Lorenzo, al 31esimo chilometro.

Sono tutti momenti comunque sfidanti, duri: ma affrontabili. Il problema è che qui la gara, la gara vera, nemmeno è ancora cominciata. Nemmeno la lunga salita sino al Passo della Colla di Casaglia, che si diparte di lì a breve, è assolutamente il punto più duro così come illusoriamente potrebbe capitare di ritrovarsi a sperare; o meglio, lo è tecnicamente, fisicamente, perché in salita. Ma, mentalmente, quella salita è solo un banale prologo e comunque ancora un po' un luogo di festa, la si percorre camminando e correndo, e corricchiando, c'è ancora un po' di luce, dagli usci della case gli abitanti salutano lieti, ti offrono la piadina, sorridono e a tutti ancora pare di avere dinanzi un grande futuro, direbbe Buzzati.

Ti senti un buio che viene addosso e sommerge come l'onda nera nera del mare

Il dramma, la sfida vera arriva solo dopo il tramonto; nella solitudine, nel silenzio e nel buio assordante della lunga discesa verso Faenza. Dapprima una discesa vera, difficile, ripida, poi verso la sostanziale pianura, da Brisighella in poi.
Ti senti un buio che viene addosso e sommerge come l'onda nera nera del mare. Il silenzio è irreale, rotto soltanto dal vociare ai punti di ristoro; è rimasta una banana? qualcuno ha della pasta? e i sali? e la coca cola? e il caffè?
Ecco, terrei a mente, mettendola un attimo da parte, la parola "caffè". 
Mi trovo gagliardamente in vantaggio rispetto all'ultima edizione, quella del 2019.
Primo traguardo, Vetta le Croci: vantaggio di 10 minuti, a Borgo San Lorenzo si sale a 15 minuti, sul Passo della Colla 45 minuti, a Marradi vantaggio di un'ora e dieci. Pregusto il dolce sapore dell'arrivo a Faenza con due ore di vantaggio sulla prestazione precedente, tra ali di folla plaudenti, post, selfie, e un campionario di autocelebrazioni che manco Magellano.
Poi, torna stranamente fisso il pensiero del caffè. Sono al km 70, in discesa direte voi, cosa vuoi che sia un po' di discesa. Penso anche alla Coca cola, altro eccitante.

Se ormai penso solo a sostanze che mi tengano su, una cosa nel mio cervello comincia a esser drammaticamente chiara: ho sonno, ed è per me il nemico peggiore.
Sbadiglio mentre corro, ma so che non posso dormire, sennò addio.
Fossi in autostrada, mi fermerei al grill per sciacquare la faccia con acqua gelata, e prenderei un caffè che in genere fa così schifo che aiuta a stare svegli.

Va male, malissimo, sempre peggio, quasi da un momento all'altro non mi reggo più in piedi.

Qui non ci sono grill, solo (organizzatissimi) punti di ristoro, ma non è la stessa cosa. Ne salto uno, sovrappensiero, rimando la mia acqua gelida, il mio caffè, tiro dritto, credo sia stato l'errore fatale. Errore di stupida dimenticanza, più che tentativo di podistica virilità.
Va male, malissimo, sempre peggio, quasi da un momento all'altro non mi reggo più in piedi.
Ed è qui che comincia la faccenda del Nuovo Camino Verde, in frazione San Cassiano. Chiedo da bere al ristoro. Sento i sensi mancare, e mi siedo per precauzione su una sedia, di quelle di plastica, bianche.
Ma comunque non va più. Non sto bene. Certamente vorrei essere altrove. Ho lo stomaco sottosopra, mi misurano la pressione, praticamente sottozero tipo 60/80 una macabra barzelletta. Arriva un medico locale, un brav'uomo che da quelle parti e a quell'ora vede svenire gente a ripetizione. Mi dà acqua e zucchero. Ma non mi serve più a nulla.

Ed eccoci qua: svengo, direttamente dalla sedia.

Appena mi risvegliano, credo con un meritato ceffone, mi pare di vedere il mondo e la ridente Romagna by night dall'angolata prospettiva di sdraiato su di un fianco al centro della strada.
Accanto, un tizio vomita con educazione e una certa dose di decoro. Arriva l'ambulanza, una delle tante ambulanze di questa via Crucis, ma non è per me. Non sono uno svenuto top, non sono considerato così interessante, c'è chi sta peggio e giustamente l'ambulanza è per loro.
A me tocca una terapia crudele: divieto ASSOLUTO di dormire. Il medico non si fida, potrebbe essere altro camuffato da sonno, mi tengono in piedi, poi mi buttano su di una sedia.
Almeno una lettiga si potrebbe? Anche le lettighe, i divanetti, sono occupati da chi sta peggio. Mi domando: ma davvero si può star peggio di come sto io?

 

A un certo punto, il medico si impietosisce: lasciatelo dormire, 'sto poveretto, portatelo dentro. Mi adagiano su di un tavolaccio di legno nel retrobottega della sala dove ballano il liscio e si divertono come dei pazzi, tipo Romagna mia Romagna in fiore eccetera.
Vado un attimo in bagno, allo specchio vedo un cadavere: piacere, sono io.
Dormo.
Non capisco più nulla.

La mascherina? Ma ancora con 'ste mascherine? Ma se sto morendo!

Arriva un primo pullman che raccatta gli svenuti, i moribondi, i reietti. Non lo prendo, 'sticazzi, devo assolutamente continuare a dormire. Arriva il secondo pullman, stavolta mi ci spingono a forza. Salgo. 

"Ce l'ha la mascherina? Sa, fino al 15 giugno qui c'è l'obbligo di Ffp2".
La mascherina? Ma ancora con 'ste mascherine? Ma se sto morendo! Prima di avventurarmi in un delirio antivax fuori stagione, me ne regalano una, evidentemente per pietà.
Mentre ci dirigiamo verso Faenza, vedo dal finestrino i tanti corridori ancora in gara; stranamente non li odio, segno che sto ancora male, la crisi non è passata.

Arriviamo. Ci scaricano giù. Deambulo fino alla macchina.


Mi ci siedo.
Divoro un cornetto preso al bar.
Penso: che disastro
Penso anche: però se è vero che ognuno è solo sul cuore della terra trafitto da un raggio di sole, figuriamoci trafitto dalle tenebre in frazione San Cassiano, tra Marradi e Brisighella.

L'anno prossimo ci riproviamo, ovviamente

Verso ora di pranzo, al chiarore rassicurante del giorno, torno al Nuovo Camino Verde, prendo un caffè sul luogo della tragedia; e mi specchio nuovamente, e sembro vivo, e già mi pare tutto diverso.
L'anno prossimo ci riproviamo, ovviamente.
Magari stavolta però il caffè lo prendo prima; anzi, caffè doppio: per volare, o tentare di volare, nella magica, indimenticabile notte che precipita a valle.