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Politica | Avvenne domani

Meglio soli…

Sussurri e grida in un collegio senatoriale.

Il ferragostano travaglio dei politici che, in Alto Adige come altrove, si sono visti costretti a rinviare di un anno ancora la consueta pausa feriale di mezza estate, compromessa per un paio d’anni dalla pandemia ed ora dall’incalzare dell’appuntamento elettorale, ha dunque raggiunto un primo punto fermo. Le candidature sono definite e il confronto può entrare nella sua fase cruciale.

In provincia di Bolzano i temi attorno a cui il dibattito si è avvinghiato non sono, in realtà, più di un paio. C’è stato il confronto interno alla Südtiroler Volkspartei, seconda o terza puntata almeno, di una telenovela politica che dura ormai da mesi e che, con buona pace dei risultati delle elezioni politiche, ha come fulcro l’assetto di potere da cui dovranno scaturire gli equilibri nella Giunta Provinciale che si andrà a eleggere nell’autunno del 2023. La consultazione di una base, il cui perimetro tende a restringersi progressivamente, resta peraltro uno dei pochi esempi di questo genere nell’intero panorama politico italiano. Il risultato è quello di una sorta di pareggio a reti bianche con la sconfitta, almeno per ora, di chi voleva mettere fuori causa gli esponenti della cosiddetta ala “liberal”.

Come effetto quasi marginale di questo confronto è arrivata anche la decisione di correre in autonomia nell’unico di cinque collegi uninominali in cui è stata questa volta divisa la provincia, nel quale l’esito è quantomeno incerto: quello senatoriale di Bolzano-Bassa Atesina. E siamo, così, al secondo dei temi politici sui quali si è articolato il dibattito in queste settimane. La scelta SVP, che sottende abbastanza chiaramente la decisione di restare neutrale, blockfrei, rispetto alle coalizioni in campo a livello nazionale, ha dato vita ad una discussione nel corso della quale è ritornato in pista anche uno dei cavalli di battaglia storici della politica tra Salorno e il Brennero: quello della rappresentanza parlamentare del gruppo italiano in Alto Adige. C’è stato chi ha speso parole pesanti per evocare il diritto del gruppo italiano dell’Alto Adige ad avere un proprio eletto a mandare a Roma, come una sorta di panacea per curare antichi e nuovi disagi.

Prima di analizzare questa singolare forma di proposta politica può essere utile, come è d’uso in questa rubrica, riepilogare quanto è avvenuto in passato.

Da Bolzano a Roma.

Scorrendo i risultati delle elezioni politiche nella regione Trentino Alto Adige dal 1948 al 2018, settant’anni belli tondi, una cosa salta subito agli occhi: di parlamentari italiani eletti in loco ce ne sono stati. Non una falange forse, ma un numero sufficiente per poter affermare che la rappresentanza politica è stata sempre abbastanza robusta.

Cominciamo dalle prime legislature repubblicane, con il democristiano Angelo Facchin eletto per due volte alla Camera. Assertore di una linea politica di severa difesa dell’italianità altoatesina e di duro contrasto con la SVP, Facchin lascia il posto, nel 1958 ad un altro democristiano, Alcide Berloffa, interprete di una linea politica assolutamente diversa, segno di una svolta storica nell’ambito dello Scudo Crociato altoatesino che avrà notevole rilievo nel decennio successivo. Ha salde radici a Bolzano anche Luigi Candido Rosati eletto per il Senato in un collegio Trentino. I due parlamentari ripetono l’exploit nel 1963, mancano ambedue l’elezione nel 1968, ma riconquistano i rispettivi seggi nella votazione del 1972. Quando si torna a votare, nel 1976, sulla scheda si riversano già i primi effetti dell’entrata in vigore delle norme autonomistiche più penalizzanti per il gruppo italiano. Alcide Berloffa, poco sostenuto dagli amici trentini, viene escluso. In compenso approda al Senato il comunista Andrea Mascagni. Il PCI, in forte crescita elettorale in quegli anni, orienta con sicurezza il voto dei suoi elettori, garantendo per diverse legislature l’elezione di un deputato di origine trentina e di un senatore proveniente dall’Alto Adige. Mascagni tornerà a Palazzo Madama per altre due legislature. Nel 1983 scende a Roma assieme a lui, ma con destinazione Montecitorio, il democristiano Valentino Pasqualin, eletto grazie anche a un sostanzioso appoggio della DC di Trento. Sono però gli anni nei quali, in Alto Adige, l’applicazione rigida delle norme autonomistiche ha prodotto lo spostamento di un considerevole numero di voti italiani sul simbolo della fiamma tricolore del Movimento Sociale. Gli effetti, a livello di elezioni politiche, si vedono con la tornata del giugno 1987. Pasqualin non riesce a centrare la rielezione e al suo posto entra a Montecitorio il leader storico dei missini di Bolzano Andrea Mitolo. La rappresentanza italiana dell’Alto Adige, in queste elezioni, è però assai più composita. Alla Camera entra anche l’avvocato bolzanino Gianni Lanzingher per i Verdi, mentre il seggio comunista del Senato passa da Andrea Mascagni a Lionello Bertoldi. Una robusta pattuglia della quale, cinque anni dopo, nella primavera del 1992, nelle ultime elezioni della cosiddetta Prima Repubblica e nelle prime dopo la chiusura del Pacchetto, resta a Roma il solo Bertoldi che riconquista il suo seggio al Senato. E anche la prima volta in cui si vota nel nuovo collegio senatoriale Bolzano Bassa Atesina. Il candidato SVP Karl Ferrari la spunta sul rappresentante della destra Pietro Mitolo.

Appena due anni dopo, nel 1994, si torna al voto in un panorama politico totalmente sconvolto e con un sistema elettorale basato, questa volta, sul sistema maggioritario. Pietro Mitolo conquista l’elezione nel collegio della Camera di Bolzano. Tutti gli altri eletti sono della Südtiroler Volkspartei che, con Karl Ferrari, bissa anche il successo nel collegio senatoriale Bolzano Bassa Atesina. Nel 1996 si torna a votare per la terza volta in sei anni. A livello nazionale c’è la grande vittoria dell’Ulivo di Prodi, ma l’Alto Adige italiano va in controtendenza mandando a Roma ben tre suoi rappresentanti. Gli eletti sono l’ex ministro Franco Frattini e ancora Pietro Mitolo alla Camera e l’avvocatessa Adriana Pasquali, che ottiene la vittoria nel collegio senatoriale Bolzano Bassa Atesina.

Questa volta la legislatura può essere finalmente portata al suo termine regolare e, nel 2001, inizia quella che potremmo definire l’era Bressa. Il politico bellunese, arrivato in Alto Adige per un’indagine conoscitiva sui problemi dell’autonomia, stringe un patto di ferro con la SVP. L’appoggio della Stella Alpina gli varrà, da quel momento in poi l’elezione praticamente garantita per quattro tornate elettorali. Per tre volte viene eletto alla Camera. In cambio, il centrosinistra appoggia l’elezione di Oskar Peterlini nel collegio senatoriale Bolzano bassa Atesina.

Naturalmente l’esito elettorale non si ferma qui. Nel 2001 a Bolzano viene paracadutato nelle liste per il proporzionale della Margherita un nome illustre: quello di Sergio Mattarella. Nel 2006 risultano eletti per il centrodestra Michaela Biancofiore di Forza Italia e Giorgio Holzmann di AN.

Nel 2008 di nuovo elezioni anticipate. Si confermano Holzmann e Biancofiore e accanto a loro parte per Montecitorio anche Luisa Gnecchi del PD. Cinque anni dopo, nel 2013, vanno alla Camera ancora Bressa, Biancofiore e Gnecchi, ma al Senato, collegio Bolzano bassa Atesina viene eletto con l’appoggio del centrosinistra e della SVP il giurista Francesco Palermo.

È il 2018 e siamo quasi alla cronaca di attualità. Il patto di alleanza tra SVP e centrosinistra vive la sua ultima stagione. Grazie ad esso vanno alla Camera la renziana Maria Elena Boschi e al Senato Gianclaudio Bressa. Al novero degli altoatesini in Parlamento vanno aggiunti però anche Michaela Biancofiore, eletta nel proporzionale in Emilia, e il leghista Filippo Maturi che, sulle ali del notevole successo elettorale del suo partito, conquista un seggio nel Lazio. In corso d’opera al gruppo si aggiunge anche un’altra leghista altoatesina, Tiziana Piccolo che subentra ad una collega trentina dimissionaria.

Tutti in collegio

Il lungo elenco di eletti che abbiamo evidenziato (con le scuse preventive per coloro che, avendo diritto di figurarvi, se ne fossero trovati espunti) propone alcune riflessioni. Della prima, quella sul fatto che il gruppo italiano in Alto Adige non possa lamentarsi troppo di non aver avuto, nella storia repubblicana, propri eletti in Parlamento, avevamo già dato conto in apertura. Il secondo elemento riguarda in particolare proprio quel collegio creato all’inizio degli anni 90, sulla base della misura 111 del Pacchetto, con una legge ordinaria molto discussa. Se ne può pensare ciò che si vuole, ma una cosa è certa: l’ipotesi di lavoro era quella di creare un’aggregazione elettorale permettesse agli italiani dell’Alto Adige di eleggere un senatore, non di garantirlo. Per cui, come avvenne agli esordi di questa nuova articolazione elettorale, se la Südtiroler Volkspartei riesce a raccogliere, anche se meno di una volta, una parte rilevante del voto tedesco, mentre quello italiano si divide tra molti soggetti, l’elezione di un italiano diventa problematica.

Partendo probabilmente da una constatazione di questo tipo, nel breve periodo che ha preceduto la presentazione delle liste e dei candidati si sono levate voci, anche piuttosto autorevoli, che predicavano un’operazione del tutto originale: si sarebbe dovuto in sostanza individuare un candidato italiano che, al di fuori e al di sopra di tutti i partiti che, si suppone, avrebbero dovuto esercitare nei suoi confronti una sorta di desistenza collettiva, andasse quindi a rappresentare a Roma non le istanze di questa o di quella forza politica ma solo quelle del gruppo italiano che abita tra il Brennero e Salorno.

Ipotesi sicuramente originale che, di primo acchito, richiama alla memoria una proposta politica che appartenne, non moltissimi anni fa, ad una parte politica ben precisa. La proposta aveva il nome di “Pacchetto degli italiani” e a presentarla agli elettori furono le forze della destra e cioè i post-missini di Alleanza Nazionale e Forza Italia governata, in loco, dal trio Frattini-Biancofiore-La Loggia. Si trattava di una robusta revisione dello statuto di autonomia con la cancellazione di alcuni istituti, quello dell’obbligo di residenza quadriennale per l’esercizio del voto nelle amministrative, con modifiche alla proporzionale, all’ordinamento scolastico ed altro ancora. L’operazione prese corpo con la presentazione, in tempi diversi, di alcuni disegni di legge di modifica costituzionale. Citiamo, ma non sono gli unici, i progetti di legge presentati nel 2006 dal deputato di AN Giorgio Holzmann e sei anni dopo dalla rappresentante di Forza Italia Biancofiore. Disegni di legge accomunati tutti da una sorte comune: quella di non essere riusciti nemmeno a superare lo scoglio del dibattito in commissione e in aula. Questo non solo per l’inevitabile opposizione delle altre forze politiche, ma anche per il sostegno più che tiepido ricevuto, in ambito nazionale, dalle stesse forze di centro-destra. Un atteggiamento che, come si ricorderà, ad un certo punto indusse il leader storico della destra bolzanina Pietro Mitolo, a rassegnare polemicamente le dimissioni dall’incarico di referente per l’Alto Adige del Governo di centro-destra.

Oggi del Pacchetto degli italiani si è persa la memoria e non lo vanno a ricercare negli archivi parlamentari nemmeno quelle forze che rivendicano orgogliosamente l’eredità di chi lo propose allora. Il fatto di ipotizzare, però, l’elezione di un parlamentare che dovrebbe andare a Roma con lo scopo principale, quasi unico, par di capire, di rappresentare le istanze degli italiani dell’Alto Adige induce a domandarsi, non oziosamente, quali sarebbero queste richieste politiche e come andrebbero collocarsi nel quadro della battaglia politica che la Südtiroler Volkspartei conduce per la difesa dell’autonomia esistente e per il suo progressivo ampliamento.

Le cose però sono andate, invece, come tutti ben sanno. Il Senatore degli italiani resta confinato nelle discussioni sui social media e in qualche editoriale. Se ne riparlerà, magari, nelle prossime tornate elettorali.

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Josef Ruffa Sab, 08/27/2022 - 15:12

Il fatto che un italiano sia l'unico che possa rappresentare l'elettore nelle Camere la dice lunga su quello che ormai a pelle pensano molti. Rappresentanto solo se stessi, i propri interessi e gli interessi degli elettori sono in fondo alla scala dei desiderata.
Un ps è obbligatorio, vale anche per l'elettore tedesco o ladino.
I votanti, per se stessi, contano ben poco. Meglio essere apòta.

Sab, 08/27/2022 - 15:12 Collegamento permanente
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alfred frei Dom, 08/28/2022 - 10:19

grazie Maurizio per la corretta ricostruzione storica delle vicende parlamentari, che il 25.09.22 rischiano di aprire un capitolo nuovo, per me non di "progresso autonomistico", o forse si ?

Dom, 08/28/2022 - 10:19 Collegamento permanente