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Una critica

Pasolini e la cultura del limite

L'ideale contadino di Pasolini - come l'elogio della lentezza di Langer - possono suonare ingenui e irreali. O sono invece anticipazioni lucide di un futuro desiderabile?
Un contributo della community di Mauro Cereghini04.03.2023
Ritratto di Mauro Cereghini
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Pier Paolo Pasolini difendendo la cultura contadina contro l'ideale borghese e l'edonismo consumista degli anni settanta “divagava dalla realtà”, con un “argomentare tanto elitario quanto irreale”. E' questo il giudizio tranchant che Nicola Zoller ha offerto qualche giorno fa sulle pagine di una rivista trentina e poi su quelle dell'Alto Adige. Spiegando, a ragione, come il mondo contadino fino alla prima metà del novecento fosse duro e doloroso. Sono stati un bene dunque l'arrivo dell'industrializzazione, il trasferimento in città dei contadini divenuti operai, l'accesso ai beni di consumo, il welfare universalistico, la nuova cultura di massa. Per Zoller “Pasolini vive in un altro mondo […]; prova quasi rancore e disprezzo per le nuove, timidamente generalizzate, soddisfazioni della vita”.

Ma siamo sicuri che l'intellettuale friulano avesse lo sguardo rivolto all'indietro, al passato? E non invece in avanti, profeticamente in avanti? Pasolini coglie in presa diretta lo stravolgimento sociale vissuto dall'Italia con il boom degli anni sessanta, e vi legge in largo anticipo la degenerazione successiva. Probabilmente con toni accesi, a volte estremi o paradossali come può fare un poeta. Ma anticipatori, non certo irrealisti.

In quegli stessi anni il Club di Roma pubblica il suo primo rapporto su “I limiti dello sviluppo”. Il linguaggio è tecnico e realista, per quanto fossero sbagliati alcuni calcoli. Ciò che ci resta oggi di quel rapporto però non sono le date di un possibile esaurimento del combustibile fossile – appunto errate – ma il messaggio più ampio che lo sviluppo come andava dispiegandosi metteva a rischio l'esistenza stessa del pianeta. E che bisognava recuperare il concetto di limite.

La cultura contadina esaltata da Pasolini quello era, il profondo e quasi sacro senso del limite davanti alla presunta onnipotenza umana. L'idea di un tempo ciclico, da rispettare, contro la furia progressista di una crescita indefinita, che ha creato disastri culturali prima ancora che ambientali tanto nell'allora mondo capitalista quanto in quello comunista. Perché i due pensieri alla fine erano accomunati dalla fiducia cieca nelle “magnifiche sorti e progressive”. Una cecità che ha portato alle crisi planetarie interconnesse – demografica, sociale, finanziaria, militare e da ultimo climatica – del tempo contemporaneo.

Ha ragione Zoller a ricordare che la terra sta in basso, e che dunque il richiamo pasoliniano alla cultura contadina deve fare i conti con la sua durezza. Ma proprio tornare a cogliere la durezza e la precarietà del pianeta che ci ospita è necessario per recuperare il senso del limite e, forse, permetterci di sopravvivere. Alexander Langer, altra voce profetica poco ascoltata, rovescia il motto olimpico del “più forte, più veloce, più alto” nel suo lentius, profundius, suavius. Uno stimolo ad uscire dal tunnel mentale del progresso infinito, per fare i conti con la finitezza, la lentezza, il limite. Questa continuità sottile fra alcune idee di Pasolini e di Langer va oltre la semplice nostalgia del passato, per richiamare semmai l'urgenza di nuovi futuri. Piuttosto che irriderle, specie in questo periodo di crisi climatica, certe idee sarebbe meglio ascoltarle...

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Ritratto di Luca Marcon
Luca Marcon 5 Marzo, 2023 - 19:35

Nicola Zoller
«Inspiegabile. Almeno al pari della magnificazione dei «valori della tradizione e del mondo contadino», altra tematica – come la sua militanza comunista – davvero contraddittoria in Pasolini. Egli arriva al punto di considerare la campagna «un mondo perfetto» contrapposto alla «degradazione della città ipnotizzata dal mito dello ''sviluppo''». Per Pasolini la civiltà dei consumi ha portato ad una vera e propria devastazione antropologica, «alla scomparsa delle lucciole» – come scrisse sul Corriere della Sera del 1° febbraio 1975, che simboleggiavano il mistero di un tempo antico in «continuità con le origini del mondo umano». Ma l’edulcorazione di questo mondo bucolico appare simile alla tecnica con cui fin dai tempi di Virgilio si lenivano il dolore e la malinconia della condizione umana, per fronteggiare le avversità e lo stress della vita reale. Pasolini aggiorna questa metodologia, contrapponendo alla incontaminata campagna lo sviluppo urbano. Ma per fortuna – osserviamo noi – che questo sviluppo c’è stato! Pasolini sembra non capire a cosa si riferisce: parla di un mondo contadino che non ha vissuto sulla propria pelle, figlio com’era di un militare e di una maestra elementare. La campagna – quella del Friuli, tanto simile a quella di altre regioni prealpine – l’ha calcata, ma senza sentirne la durezza; quell’universo agreste l’ha immaginato ma senza scrutarne l’arretratezza. Michel Serres (1930-2019) – l’accademico francese figlio di un manovale di campagna a cui si accompagnava periodicamente intervallando i suoi studi severi – l’ha ben descritto quel mondo, riportato con crudezza nel saggio “Contro i bei tempi andati”. Si riferiva agli anni tra le due guerre mondiali, il tempo della giovinezza di Pasolini. Il lavoro – racconta Serres – spezzava letteralmente la schiena; il ''profumo'' di stalla albergava nelle scuole e nelle chiese affollate da persone che convivevano col bestiame; e l’alimentazione, quant’era scarsa e malsana… La mortalità infantile era incessante: quanti figli bisognava mettere al mondo per conservarne due o tre? Non parliamo poi di acqua corrente potabile, di servizi igienici, di energia elettrica, protezione sociale, ospedali, pensione… Ah, questi portati dello sviluppo e della tecnica che mano a mano si estenderanno nelle società e nelle campagne europee nel trentennio 1950-1980, per Pasolini sono il frutto del «tempo post-lucciole, il tempo del Nuovo fascismo, o, meglio, del ''tecno-fascismo'', che offrendo nuovi oggetti di consumo – superflui e edonistici, che soddisfano bisogni artificiali e inutili – configura un nuovo tipo di umanità e un nuovo tipo di rapporti sociali». Divagava dalla realtà. Siamo nei primi anni Settanta, in Italia e in Europa ci si sta rimettendo in piedi dai danni e dalle miserie del secondo dopoguerra, cominciava ad esserci un po’ di benessere per tutti, dopo i travagli e le conquiste di quello che gli storici economici definiscono il “Trentennio Glorioso”. Pasolini vive in un altro mondo, ignora l’accesso di tanta gente ad un lavoro meno defatigante e più retribuito, ad un’istruzione più inclusiva e ad un welfare prima sconosciuto; prova quasi rancore e disprezzo per le nuove, timidamente generalizzate, soddisfazioni della vita: le considera banali ed edonistiche. Ma noi – parlo come un progressista qualsiasi – cosa possiamo spartire con questo pasoliniano argomentare, tanto elitario quanto irreale?»

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