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Si fa presto a dire Combi

Storia minima dello stadio Combi di Merano e della sua travisatissima intitolazione, fra portieri da leggenda, campioni olimpici e tragicomici infortuni
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
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Foto: Luca Caldarelli

Per chi abita a Merano e ha meno di 70 anni il campo sportivo per eccellenza della città è sempre stato "il Combi", una struttura architettonica dal carattere inequivocabile, addolcito da un nome così particolare da risultare quasi esotico. "Combi", quindi, come sinonimo di stadio, associato tutt'al più all’iniziale “G” dagli abitanti del rione Maria Assunta che oltrepassano l'iscrizione sulla facciata recentemente restaurata per arrivare in centro città. Potrebbe venire in mente, quindi, di chiedersi chi sia questo fantomatico Combi cui è toccato l'onore dell'intitolazione dell'impianto: una veloce ricerca online rivelerebbe che la “G” sta per “Gianpiero” (sì, con la enne) e che si tratta del migliore portiere italiano di inizio Novecento, una bandiera della Juventus capace di portare l'Italia alla vittoria del mondiale 1934. Una sorta di Buffon ante litteram, per intenderci.

Rivolti i dovuti i complimenti alla leggenda bianconera ci si potrebbe chiedere: perché uno stadio? Perché proprio a Merano? Vengono in soccorso un articolo online de "Il Giornale" (gennaio 2009) e una nota dell’onorevole Urzí (agosto 2021): in entrambi i casi si osserva come, proprio nel campo sportivo al tempo denominato "Stadio del Littorio", Combi e tutta la nazionale di calcio italiana avessero affinato la preparazione per i vittoriosi mondiali del 1934. Mistero risolto, quindi? Tutt'altro. Chi volesse recuperare notizie del ritiro 1934 della nazionale farebbe meglio a puntare deciso prima verso Stresa, in Piemonte, poi verso Roveta, alle porte di Firenze, dove il leggendario Vittorio Pozzo gettò le basi per il trionfale quadriennio azzurro '34-'38. Niente Merano, quindi, per Combi, che al termine del mondiale del 1934 appenderà gli scarpini al chiodo, eppure una nazionale negli anni Trenta ha effettivamente soggiornato in ritiro in riva al Passirio: si trattava, tuttavia, della preparazione pre-olimpica del 1936, effettuata con una squadra di non professionisti (le cronache sui quotidiani li definiscono “i goliardi azzurri”) che proprio tra l’hotel Palace e l’impianto di via Bersaglio costruì il successo alle Olimpiadi di Berlino.

La stampa del tempo non dedica che qualche trafiletto alla spedizione meranese: anche le uscite mondane dei giocatori, d’altra parte, non avevano nulla a che vedere col tornado di pubbliche relazioni cui siamo ormai abituati: sopravvive giusto notizia di una veloce visita all’ippodromo allora ancora in costruzione. Alla fine delle tre settimane a Merano, scelta per ragioni logistiche in quanto sulla direttrice che avrebbe portato i giocatori in treno a Berlino e preferita a Bolzano in virtù delle migliori condizioni (all’epoca...) dello stadio rispetto al “Druso”, gli universitari di Vittorio Pozzo conquisteranno a sorpresa l’alloro olimpico: il tutto, beninteso, senza che di Gianpiero Combi si manifestasse traccia in riva al Passirio.

Il mistero sull’intitolazione dello stadio di Merano si scioglie, infatti, solo puntando la lente di ingrandimento sugli anni 1956-1957. Il 12 agosto 1956 Gianpiero Combi muore, colpito di infarto alla guida. La fotonotizia su “L’Alto Adige” di Ferragosto si premura di aggiungere che fosse “affetto da tabagismo”. Appena una settimana dopo, il 22 agosto, dieci righe nella cronaca di Merano informano che “il consiglio direttivo della Merano Sportiva, su proposta del consigliere Cirillo, ha deliberato di intitolare lo stadio comunale di Merano alla memoria di Gianpiero Combi, il non dimenticato portiere della nostra , scomparso immaturamente”. Eccola qui, la pistola fumante. Un oscuro consigliere (anche a un'approfondita ricerca online di tale Cirillo resta memoria solo come difensore centrale negli anni Trenta) dell’unica società calcistica meranese del tempo (il Passirio Merano sarebbe nato pochi mesi dopo), responsabile principale e forse unico dell’intitolazione dello stadio. Su che basi, poi? Il ritiro azzurro del 1934 non c’entra niente, il principale impianto della città si chiama “Combi” da quasi settant’anni sulla base di una scelta emotiva personale, dettata dalla commozione del lutto improvviso e – si può ipotizzare – anche dalla probabile passione bianconera del promotore. È come se oggi si decidesse di intitolare lo stadio a Gianluca Vialli, con la differenza che Vialli aveva ben altri problemi rispetto alle sigarette!

La proposta del consigliere Cirillo si fa strada rapidamente fra i banchi del consiglio comunale: già tre mesi dopo, il 16 novembre 1956, la monumentale dedica al portiere fa mostra di sé sulle colonne locali de “L’Alto Adige”. La vicenda sembra quindi concludersi senza che nessun Combi abbia mai messo piede a Merano, non fosse per un colpo di coda degli eventi. Nel giugno del 1957 lo stadio venne dedicato ufficialmente e con tutti gli onori a Gianpiero Combi, nel quadro di una giornata di sport a tutto tondo culminata nella partita-esibizione di una rappresentativa locale contro i dominatori del calcio per club del tempo, il Rapid Vienna di Ernst Happel e del bomber Gerhard Hanappi. Nonostante le ampie rassicurazioni della vigilia, entrambi i campioni viennesi risultarono assenti all’incontro, Hanappi addirittura lamentando un infortunio alla caviglia occorso scendendo dal tram proprio il giorno della partenza della squadra da Vienna... Tornando a(i) Combi, allo stadio si presentarono la moglie e (secondo il Dolomiten) la figlia del compianto portiere: ci si chiede se almeno loro abbiano capito perché, mentre – sempre stando alle cronache locali – stringevano una corona di fiori a centrocampo prima che il Rapid si esibisse, la Merano dei Gran Premi ippici e del jet-set internazionale di quegli anni avesse deciso così risolutamente di dedicare il proprio impianto al portiere-leggenda degli anni Trenta. Per chi invece, come moltissimi fra noi, ancora non l’avesse afferrato, resta la suggestione di quel nome simbolico e inconfondibile, con o senza “G”.