Politica | Jimmy Milanese

Jihadisti altoatesini: come e da cosa si difenderanno?

La parola passa al Tribunale. Come si difenderanno i jihadisti altoatesini?
E, soprattutto, da cosa?
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.

Nella vicenda che, dopo ben quattro anni di indagini, ha portato all'arresto di sei altoatesini appartenenti all'organizzazione jihadista Rawti Shax, la partita ormai si è spostata nelle aule del Tribunale di Trento.

La Procura dovrà cercare di dimostrare la pericolosità sociale delle condotte tenute dagli indagati, il livello di allineamento all'organizzazione transnazionale da parte di ciascun membro, infine, la sanzionabilità di ogni singolo comportamento contestato. Uno degli obiettivi sarà anche quello di inserire Rawti Shax nell'elenco ONU delle associazioni con finalità terroristiche. Un passo necessario (ma non sufficiente) per non fare cadere nel nulla l'accusa di terrorismo transnazionale: reato che permette l'applicazione di pene fino a 15 anni.

Allo stesso modo - si apprende da fonti investigative - anche la procura tedesca, in una indagine parallela a quella italiana, sta perseguendo lo stesso fine. I recenti arresti nella zona di Colonia e Berlino stanno a testimoniare un attivismo investigativo senza precedenti da parte delle polizie europee.

Sul versante svizzero, invece, un recente studio dell'Alta scuola zurighese di scienze applicate ha rilevato come dal territorio elvetico siano partiti almeno 66 foreign fighters, e come alcuni di questi abbiano utilizzato Merano e Bolzano come zona di transito, proprio come rilevato dall'indagine Rawti Shax. Dall'interessante studio svizzero si apprende come la confederazione sia priva di una struttura investigativa capace di contrastare il fenomeno jihadista. Per questo motivo, nonostante la marginalità della Svizzera nel fenomeno di radicalizzazione, non è raro che il suo territorio venga utilizzato come base di appoggio o di transito dagli stessi jihadisti. Ancora, lo studio tenta di evidenziare un profilo del possibile jihadista, concludendo che il fenomeno della radicalizzazione colpisce in particolar modo giovani musulmani provenienti da paesi non UE, con una buona percentuale di giovani non musulmani che decidono di abbracciare una causa terroristica senza però avere prima attraversato un processo di conoscenza della religione islamica. Infine, si apprende come a una escalation di indagini e tentativi di coordinamento delle polizie europee, bloccate da protezionismi interni che rendono le indagini difficili, non si accompagnino politiche di attenzione verso quelle fasce sociali più facilmente avvicinabili dalla tentazione fondamentalista.

Insomma, un pressing giudiziario su diversi fronti, complicato però dalla difficoltà per gli inquirenti, almeno quelli italiani, di estrapolare il reato di terrorismo dalla libera opinione, seppur censurabile, espressa dagli indagati nel corso delle migliaia di ore d'intercettazione.

In questo complesso scenario, emerge un dato alquanto singolare.

Al tentativo di mantenere il più possibile il livello di segretezza e unità interna dell'organizzazione Rawti Shax, si contrappone ora un percorso difensivo da parte degli indagati che mira sostanzialmente a dissociare il loro operato e le loro espressioni intercettate dagli investigatori al contesto di natura organizzativa. In altre parole, sembra un “ognuno per conto suo”. Una linea difensiva degli imputati che cozza con pagine e pagine di intercettazioni dove emerge senza ombra di dubbio la volontà associativa di natura segreta.

Quindi, a fronte di un numero impressionante di contatti telefonici e via internet tra gli indagati, gli avvocati della difesa punteranno a differenziare e distanziare il ruolo svolto dai loro assistiti all'interno della autoproclamata cellula jihadista.

Particolarmente complesso sarà il lavoro in aula per la difesa dei due meranesi ancora agli arresti in carcere: il curdo-iracheno Abdul Rahman Nauroz e il serbo-kosovaro Eldin Hodza. Per il primo, le accuse sono di essere la mente logistica della cellula italiana, avere organizzato il viaggio almeno dell'amico Hodza sullo scenario di guerra ed essere stato in procinto di mettere in atto eventi potenzialmente terroristici. Data l'immensa mole di intercettazioni come minimo compromettenti, si apprende che la linea difensiva per Nauroz mirerà a dissociare la condotta dell'indagato da qualsiasi azione di natura eversiva o terroristica, ottenendo il minimo della pena, quindi, l'estradizione.

Per il serbo-cosovaro Hodza, invece, la linea difensiva dovrà per forza cercare di smontare l'accusa più grave: la sua partecipazione alla guerra jihadista. Una accusa supportata da intercettazioni estese ai familiari che si sarebbero dichiarati più volte a conoscenza delle finalità del viaggio del parente. Si apprende, infatti, che la difesa starebbe cercando di dimostrare che il viaggio di Hodza contestato dalla procura come missione in terra jihadista, niente altro sarebbe se non un soggiorno a Teheran dove risiede la sorella della mamma di Hodza. Un viaggio, finanziato anche da familiari residenti in Svizzera, pronti a dimostrare il loro contributo economico al ricongiungimento del figlio con la zia. Gli stessi familiari che, secondo la procura, avrebbero però coperto il ritorno a Merano di Hodza dalla Siria, ospitandolo per un mese e inducendolo a cancellare le tracce di questa esperienza.

Per questo, sono attesi dei documenti che, assicurano fonti interne alla famiglia, dimostreranno la registrazione dello stesso presso il municipio del capoluogo turco nel periodo gennaio-febbraio 2014. Periodo nel quale, secondo la Procura, Hodza risulterebbe presente sullo scenario di guerra. Come prova, la difesa presenterà anche il passaporto di Hodza, sprovvisto di alcun visto di entrata in Siria, sebbene egli sembri in possesso del doppio passaporto serbo-croato. Nel caso questo tentativo fallisse, il c.d. Piano B della difesa consisterebbe nel chiedere la semplice espulsione dell'indagato verso il paese di provenienza.

 

Diverso è il caso di Mohamad Fatah Goran, arrestato nell'operazione del 12 novembre e successivamente rilasciato per insufficienza di elementi che giustificassero la misura cautelare. Goran entra nelle indagini all'inizio del 2012 quando l'amico Nauroz, dopo una comunicazione con altri membri di Rawti Shax, lo contatta per il reperimento di armi. I Ros chiedono immediatamente di mettere sotto intercettazione le utenze di Goran che pochi mesi dopo viene ascoltato mentre ipotizza con alcuni amici il rapimento di personale diplomatico della Norvegia, responsabile per l'arresto del Mullah Krekar, oltre a condividere molti proclami jihadisti sui suoi profili social. Ma, ancora, dall'indagine si apprende che nel giugno 2013 in Kurdistan Goran reperisce e poi consegna a Nauroz una micro telecamera celata nel simulacro di una chiave di autovettura al fine di poter verificare pedinamenti attuati dall’intelligence nei suoi confronti. Inoltre, Goran risulta in diverse intercettazioni come membro del comitato segreto di Rawti Shax che perseguiva l'intento di costituire gruppi clandestini operativi in Europa. Detto questo, sembra che le comunicazioni tra

Goran e i membri della cellula jihadista si siano attenuate nel 2014, anche se non sono da escludere ulteriori e più recenti supplementi di indagine da parte della Procura.

Ad ogni modo, la posizione di Goran non sembra estranea ai fini generali dell'organizzazione. Se è vero che tra il 01.07 ed il 04.07.2013, Nauroz ospita presso la sua abitazione meranese una delegazione del partito curdo d’opposizione noto come “Movimento Islamico”, e che quindi parte dello sforzo organizzativo di Rawti Shax sia di tipo partigiano, gli indagati, tra i quali Goran, dovranno spiegare il gran numero di riferimenti alla jihad e alla guerra santa in Siria e del consapevole invio di Hodza in quel contesto che nulla ha a che vedere con le vicende interne del popolo curdo.

Nel frattempo, raggiunta telefonicamente nella sua casa in Norvegia, Faraj Ahmad Rokhosh, moglie del leader di Sahti Shax, il Mullah Krekar, liquida ogni possibile contestazione spiegando che:«mio marito è una persona buona che aiuta tutte le persone e il suo popolo, e non ho altro da dire».

Affermazione comprensibile che sintetizza però un elemento fondamentale della strategia difensiva transnazionale di Rawti Shax, emerso nelle intercettazioni tra alcuni indagati che discutevano di come si sarebbero dovuti comportare in caso di arresto, ovvero, sostenere il fondamento partigiano della cellula jihadista creata, spiegheranno in Tribunale «per liberare Kurdistan».

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Enrico Lillo Mar, 12/15/2015 - 14:35

Bravo Jimmy, mi sorge spontanea una domanda, alla quale magari tu potrai con delle opportune ricerche dare una risposta. Sembra che queste persone si possano permettere dei buoni avvocati. Ma se hanno tanti soldi da permettersi di pagare un avvocato di un certo spessore (e quindi parcella) come mai vivevano a spese della pubblica amministrazione?

Mar, 12/15/2015 - 14:35 Collegamento permanente