Società | Bilinguismo

“Scuola bilingue? Vi spiego perché”

Marco Mariani, ex preside del liceo Carducci ed ex ispettore scolastico provinciale di seconda lingua, sul bilinguismo, le strategie e le responsabilità della politica.
Marco Mariani
Foto: Salto.bz

salto.bz: Professor Mariani, la proposta di modifica all’articolo 19 dello Statuto di Autonomia, che il senatore Francesco Palermo ha depositato in Senato, avanzata da Forum democratico, da lei e da Barbara Repetto, ha riportato alla ribalta delle cronache la questione, ciclica, della scuola bilingue.
Marco Mariani
: L’istituzione di un modello scolastico improntato ad insegnamento bilingue è una questione che ci sta molto a cuore. A nome del Forum Democratico avremmo potuto avanzare una proposta in seno alla Convenzione sull’Autonomia, sarebbe stata la via più breve e più comoda, ma abbiamo preferito affidare questa proposta a una personalità di indiscussa autorevolezza per conferirle adeguata dignità e importanza. Il senatore Francesco Palermo ha pienamente accolto e condiviso la nostra proposta corredandola con una relazione di alto profilo giuridico ed evidenziandone la necessità e la fondatezza. Questa si è poi concretizzata in un disegno di modifica costituzionale ed è stata ufficialmente depositata presso il Senato della Repubblica. Sappiamo bene che non ci sarà il tempo necessario, in quest’ultimo scorcio di legislatura, per darle un seguito, ma era importante sollevare il dibattito intorno a questo tema.

E dello studio Kolipsi II dell’Eurac cosa dice, l’esito del test l’ha sorpresa?
Devo dire che, nonostante ciò che si può empiricamente rilevare sulle competenze linguistiche – mediamente non sempre brillanti – degli studenti in uscita dalle scuole superiori, non mi aspettavo un calo di tale entità. Soprattutto rispetto alle competenze B2 degli studenti delle scuole tedesche, con un valore quasi dimezzato rispetto a quello della precedente rilevazione del 2007, passato dal 41,1 al 21,7. Il livello di competenza linguistica in L2 degli studenti italiani, invece, sembra non aver subìto un calo evidente (- 0,9), ma bisogna riconoscere che già nella precedente rilevazione era molto basso e arrivava appena al 14,7 % del campione. C’è però una cosa che non è stata messa abbastanza in rilievo, a mio parere.

Quale?
Che il livello B1 (di Tedesco L2), ovvero le competenze minime che dovrebbero essere acquisite all’uscita dalle scuole medie, sia calato di 15,7 punti. Ciò significa che gli studenti italiani delle quarte classi superiori dispongono prevalentemente di una competenza linguistica elementare. Questo è un dato veramente preoccupante.

"Francamente farei fatica a suggerire innovazioni sperimentali ulteriori e più efficaci rispetto a quelle che già si praticano"

E lei pensa che la scuola sia esente da qualsiasi responsabilità in questo senso?
Non vedo che cosa la scuola, e intendo sia quella italiana che quella tedesca, dovrebbe o potrebbe fare di più di quanto già non abbia messo in campo. Le scuole hanno adottato strategie didattiche di buon livello, sono state aumentate le ore curricolari destinate alla L2 (soprattutto nella scuola italiana), si è puntato diffusamente sull’innovazione dei metodi, si sono applicate modalità didattiche di immersione e di insegnamento con strategie CLIL. Francamente farei fatica a suggerire innovazioni sperimentali ulteriori e più efficaci rispetto a quelle che già si praticano. Ritengo che le ragioni dell’insuccesso scolastico che affliggono l’apprendimento della lingua due, nelle scuole di entrambi i gruppi, non vadano ricercate nella scuola, che ha sempre accolto con competenza e disponibilità ogni nuova misura per soddisfare le richieste provenienti da alunni e genitori. Le cause, a mio avviso, sono di altro genere.

Ovvero?
In tutte le aree territoriali in cui convivono popolazioni o gruppi di lingua diversa, l’apprendimento di una “seconda lingua” è afflitto da fattori di disturbo di ordine culturale, sociale, politico. Imparare una lingua straniera (parlata, cioè, da popolazioni non presenti sullo stesso territorio in cui si vive e si apprende) è di gran lunga più facile. I giovani sono sensibili al clima sociale che si respira nei territori mistilingue e la nostra provincia non fa eccezione. Le barriere culturali, le dispute politiche, i contrasti etnici, il contenzioso di origine storica (ancor più se recente) condizionano la mentalità dei gruppi e dei singoli e inducono alla polarizzazione delle posizioni. Tutto questo crea una situazione di indisponibilità emotiva all’accettazione delle ragioni dell’altro gruppo e quindi mina la buona disposizione all’apprendimento dell’altra lingua.

"È inevitabile che i giovani siano condizionati dai messaggi che arrivano dalla politica e che questa quotidianamente invia"

Colpa della politica?
Se vogliamo dirla in questi termini, sì, è vero, non possiamo esimere la politica dalle proprie responsabilità. Anche se non si può pretendere che la politica non faccia il suo mestiere…, benché spesso le polemiche appaiano chiaramente pretestuose. D’altra parte è inevitabile che i giovani siano condizionati dai messaggi che arrivano dalla politica e che questa quotidianamente invia. 

Ma se la politica difende, per ovvi motivi, l’identità etnica, e di conseguenza in qualche modo inibisce l’incontro fra i due mondi - senza contare i retaggi storici e le resistenze da parte dei due gruppi linguistici -, allora come se ne esce?
Prima di tutto non bisogna pensare che la difesa dell’identità etnica (questione più che legittima e sacrosanta, alla quale tutti indistintamente, al di là delle appartenenze personali, dovrebbero guardare con rispetto e favore) si raggiunga solo con strategie più o meno dichiarate di separazione. La difesa dell’identità culturale ed etnica si può difendere anche con l’incontro e l’interazione. La continua esasperazione di questo tema, soprattutto in un’epoca come la nostra in cui le tutele fondamentali sono state raggiunte e si sono solidamente radicate, giova solo alle formazioni politiche che in essa trovano la propria ragion d’essere. Nulla vieta però che nella propria vita privata e, per quanto attiene ai giovani delle scuole, nel tempo dell’extrascuola, si cerchino e si realizzino situazioni di incontro. Peraltro l’acquisizione di una competenza linguistica interattiva, quella di livello B2 postulata in uscita dalla scuola secondaria di 2° grado (idonea, cioè, a consentire di partecipare attivamente, e senza disagio per l’interlocutore, alle situazioni linguistiche quotidiane anche di una certa complessità), si può raggiungere solo entrando in dialogo costante e ripetuto con persone dell’altra lingua. Se solo pochi giovani intravedono nell’incontro con coetanei dell’altro gruppo la soluzione all’apprendimento efficace è evidente che i condizionamenti indotti dal clima socio-politico pesano e la questione non è perciò di facile soluzione. Certe situazioni, ribadisco, sono endemiche alle culture dominanti delle regioni mistilingue e quindi i fattori di disturbo che interferiscono con una buona disposizione emotiva all’apprendimento sono destinati a restare.

Torniamo alle strategie che possono, a questo punto, essere messe in campo.
Una strada percorribile sarebbe quella di agire sulla motivazione, considerando che un apprendimento linguistico efficace non può prescindere da un desiderio vero, profondo e autentico di voler veramente apprendere una lingua per praticarla. Ma un desiderio autentico non si può indurre artificialmente, o nasce e cresce spontaneamente perché sono date le condizioni oppure non c’è. Gli alunni altoatesini e sudtirolesi hanno dimostrato per ora di avere prevalentemente un interesse ad apprendere la seconda lingua per superare una determinata prova scolastica oppure per ottenere il patentino o una certificazione linguistica nella prospettiva di un futuro professionale. La motivazione che li ha guidati è stata di squisita natura strumentale e l’indagine Kolipsi II l’ha chiaramente messo in luce.

Come superare, allora, la logica culturale della separazione?
A mio avviso c’è bisogno di inviare ai giovani studenti di tutti e due i gruppi linguistici un messaggio culturale forte. La proposta di scuola bilingue avanzata dal senatore Palermo mira essenzialmente a questo. Ovviamente l’intento primario è quello dichiarato, di inserire nel sistema scolastico della nostra provincia, accanto ai modelli di scuola già esistenti, un nuovo ulteriore modello di scuola mediante l’attivazione di classi con insegnamento - su base paritetica di ore e di esito finale - in lingua tedesca e in lingua italiana. Non solo con carattere sperimentale, ma con una stabile struttura ordinamentale. Ma il valore aggiunto, trascinato con sé da una novità di questo genere, sarebbe il messaggio culturale, consistente nel fatto che la Provincia Autonoma - in alternativa e in aggiunta al modello di scuola monolingue - istituisce ufficialmente la scuola dell’incontro delle due culture e delle due lingue. Un messaggio forte, autorevole e di indirizzo chiaramente opposto a quelli divisivi sempre voluti e drammaticamente finora percepiti.

"Alimentare l’illusione che il metodo da solo sia risolutivo, assomiglia alla pubblicità ingannevole degli spot televisivi"

Lei insiste sul valore dei messaggi legati alle scelte politiche.
Certamente. Le scelte politiche e il dibattito che ne segue hanno un’influenza diretta sulla percezione del clima di separazione e sugli atteggiamenti didattici di indisponibilità più o meno consapevoli dei giovani. Le faccio due esempi molto semplici. Una critica che spesso viene mossa nei confronti dell’insegnamento di Italiano L2 nella scuola superiore tedesca è che si insiste troppo sulla letteratura. La critica è oggettivamente ingiusta, perché non è vero che si insegni solo letteratura; le fonti testuali utilizzate sono del genere più vario. Ma rimanendo al punto, cos’altro è la letteratura se non una sintesi fra lingua e cultura? E denigrarne il valore non significa forse indisporre all’apprendimento della lingua di cui quella cultura è espressione? È difficile pensare che questo messaggio negativo non arrivi a condizionare l’atteggiamento didattico dei giovani studenti, diventando un fattore di disturbo per l’apprendimento. Un altro esempio riguarda la scuola italiana in cui si sono sperimentate forme didattiche sicuramente innovative e potenzialmente efficaci. Il referente politico della scuola non perde occasione per celebrare enfaticamente il successo di ogni innovazione introdotta e sperimentata, come se la sola applicazione di un metodo fosse già di per sé garanzia di successo.

Insomma mitizzare un metodo è un artificio illusorio?
Nessun metodo, per quanto potenzialmente efficace esso sia, potrà mai dare frutti se non è accompagnato da impegno, dedizione e costanza da parte di chi deve apprendere. Alimentare l’illusione che il metodo da solo sia risolutivo, assomiglia alla pubblicità ingannevole degli spot televisivi. La stessa cosa si può dire del trionfalismo esercitato intorno all’acquisizione delle certificazioni linguistiche. Se lo scopo che anima gli studenti è l’ottenimento di un certificato è chiaro che, una volta raggiunto l’obiettivo, l’interesse all’apprendimento venga meno. Se alla conquista di un’attestazione di conoscenza linguistica non corrisponde una competenza interattiva realmente posseduta e praticabile, come l’indagine Kolipsi II ha evidenziato, chi ha responsabilità politiche dovrebbe riflettere bene sul problema.

Non ha l'impressione che il ddl del senatore Palermo sia stato un po’ “snobbato” dalla politica locale?
Non credo che la potenzialità dirompente della proposta non sia stata percepita, anche se apparentemente la reazione è stata molto misurata e si è limitata ad alcune affermazioni di principio. Le dichiarazioni più decise hanno riconfermato l’intangibilità dell’articolo 19 dello Statuto. È incontrovertibile che tale articolo abbia uno straordinario valore in funzione della tutela della minoranza linguistica tedesca. Il diritto all’istruzione nella propria madrelingua è un diritto fondamentale e irrinunciabile. Su questo non si discute. Ma la proposta di una scuola bilingue, a cui si potrebbe accedere per volontaria e libera scelta, non mette in discussione il diritto all’istruzione in madrelingua. Mira semplicemente ad ampliare il ventaglio delle opzioni possibili. Nella nostra società sudtirolese, nel corso degli ultimi decenni, sono cambiate molte cose. Oggi sale dalla società, da parte di molte famiglie sia di lingua italiana che tedesca, la domanda di una istruzione alternativa, basata sull’insegnamento in due lingue. A questa domanda sarebbe giusto dare adeguata risposta. Si tratta in sostanza di prendere in seria considerazione il diritto di chiunque lo desideri, e ovviamente anche delle famiglie mistilingue, ad un’istruzione bilingue. Affiancare il riconoscimento di un nuovo diritto ai diritti già riconosciuti, non toglie nulla a nessuno, e risponde semplicemente a un principio di democrazia.

"Uno studente che diventa bilingue sarà un cittadino bilingue e il bilinguismo è un valore in grado di stemperare estremismi e intolleranze"

Abbiamo accennato al Clil (che non è stato oggetto di ricerca nell’indagine Eurac), c’è chi lo definisce una “ricetta magica” e chi dice che non raggiunge l’obiettivo prefissato, qual è la sua opinione in merito?
Il CLIL è un metodo di tutto rispetto che consiste nell’insegnamento integrato di lingua e contenuti disciplinari. In termini più chiari: l’insegnamento e l’apprendimento delle discipline avvengono in lingua diversa dalla madrelingua degli apprendenti. Ma perché una didattica con modalità CLIL sia correttamente realizzata occorre rispettare tre requisiti fondamentali e assolutamente necessari: il docente deve dominare la lingua in cui insegna (meglio ancora se questa è la sua madrelingua), deve essere un disciplinarista della materia oggetto di insegnamento e deve disporre di adeguate tecniche glottodidattiche (cioè deve possedere le tecniche necessarie all’insegnamento delle lingue). Se questi requisiti sono soddisfatti il docente è impiegabile in un progetto CLIL.

Ma non basta che l’insegnante possegga i requisiti. Se il progetto CLIL parte, per esempio, in una annualità di studio della scuola secondaria di secondo grado, senza che gli alunni abbiano mai seguito modalità CLIL e senza che sia stato accertato un adeguato livello linguistico di base degli alunni, non sempre tale modalità può risultare indicata e proficua. Per questo è preferibile partire con modalità CLIL già nelle prime classi del primo ciclo di istruzione. Per quanto riguarda le critiche che i detrattori politici del metodo hanno avanzato, ritengo che sia un po’ presto per esprimersi. Il CLIL è stato introdotto da poco e i risultati non sono ancora stati scientificamente testati. Non credo che questo metodo abbia avuto ancora il tempo di creare danni o vantaggi, aspettiamo quindi di avere dei dati prima di trarre delle conclusioni. Posso supporre comunque che le critiche si ispirino a una matrice ideologica. Il metodo CLIL, infatti, fonda su modalità che di fatto superano l’impianto didattico monolinguistico (… forse qualcuno intravede già nel metodo una forma embrionale e anticipata di scuola bilingue).

Il sociologo Luca Fazzi in una recente intervista al quotidiano Alto Adige ha detto che “siamo l’unico territorio del mondo occidentale in cui dopo 80 anni non ci si capisce l’un l’altro”. Condivide?
È un’affermazione piuttosto radicale ma Fazzi non ha torto. L’Autonomia di questa provincia così straordinariamente realizzata ha prodotto per paradosso una struttura sociale in cui i gruppi linguistici vivono uno accanto all’altro in “microcosmi separati”, paralleli e indipendenti. Questa visione è confermata anche dalle interpretazioni sociologiche allegate alle due indagini Kolipsi I e Kolipsi II. Se si crede veramente nell’importanza dell’incontro e dell’interazione reale fra persone appartenenti a gruppi che convivono da 80 anni sullo stesso territorio, penso che sia essenziale costruire le premesse perché ciò accada. L’attivazione di una scuola bilingue costituirebbe il laboratorio per la costruzione di una società più matura e più tollerante. Uno studente che diventa bilingue sarà un cittadino bilingue e il bilinguismo è un valore in grado di stemperare estremismi e intolleranze.

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Dai retta a un… Mar, 06/13/2017 - 12:24

Se da una parte sono contento che finalmente si sollevi il (penoso) velo che su questo argomento è stato steso per anni non posso che rammaricarmi del colpevole drammatico ritardo con cui lo si fa.
I danni prodotti, come per altro dimostrano anche se solo parzialmente, gli studi citati, non si riusciranno a riparare a meno che nel frattempo non succeda un miracolo. Come al solito Fazzi si dimostra il più lucido forse anche perchè vive fuori da questo contesto che ci ha sempre proposto una visuale talmente distorta da non riuscire nemmeno a percepire l'ovvio.
Non dimentichiamoci comunque, e l'affermazione del Preside Mariani " L’Autonomia di questa provincia così straordinariamente realizzata ha prodotto per paradosso una struttura sociale in cui i gruppi linguistici vivono uno accanto all’altro in “microcosmi separati”, paralleli e indipendenti" sta giusto a ricordarcelo che ancora oggi, nonostante tutto, il modello di autonomia e di convivenza è da considerarsi "straordinario" sebbene tenga le persone in “microcosmi separati, paralleli e indipendenti".
Insomma, comunque vada sarà un successo!

Mar, 06/13/2017 - 12:24 Collegamento permanente
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Max Benedikter Mar, 06/13/2017 - 23:25

La chiarezza delle risposte date in questa intervista mettono un punto fermo alle insinuazioni da parte di tutte le forze politiche indistintamente (con differente graduazione e malizia) sulla qualitá e l'impegno dell'insegnamento L2 in Alto Adige. La pacatezza con cui il Direttore Mariani smaschera il marcheting politico da entrambi i lati dei referenti politici è ammirabile. Per lo stile dell'intervistato immagino che per - "Il referente politico" della scuola non perde occasione per celebrare enfaticamente il successo di ogni innovazione introdotta e sperimentata, come se la sola applicazione di un metodo fosse già di per sé garanzia di successo - si intendesse appunto entrambi, Achhammer e Tommasini.

Mar, 06/13/2017 - 23:25 Collegamento permanente
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luigi spagnolli Mer, 06/14/2017 - 10:50

Complimenti a Sarah Franzosini e a Marco Mariani: un'intervista ben fatta, che approfondisce con parole semplici temi e situazioni troppo spesso usate solo per catturare consensi facili.
C'è a mio avviso un passaggio sul quale è doveroso soffermarsi: quello in cui si dice che "in tutte le aree in cui convivono popolazioni di lingua diversa, l'apprendimento della seconda lingua è afflitto da fattori di disturbo di ordine culturale, sociale, politico", cui aggiungerei "emozionale". Verissimo: quanti bolzanini di lingua italiana hanno imparato senza problemi l'inglese nel tempo libero, e lo parlano meglio del tedesco studiato 13 anni a scuola?
Qui dissento dal buon Fazzi, maestro nel dire ovvietà drammaticamente inutili e quasi sempre controproducenti.
Tutte le popolazioni del mondo si suddividono al loro interno in microcosmi separati, a prescindere dal fatto che vi si parlino una o più lingue. Il problema è far "venir voglia" di imparare l'altra lingua. Non si può come sempre gettare la croce solo sulla politica, che pure ha certamente le sue responsabilità. Tutti coloro che comunicano almeno sui media istituzionali (quelli che ricevono denaro pubblico per esistere, sia cartacei che multimediali: i social non ne ricevono, e si devono pertanto accettare come sono) contribuiscono massicciamente, Fazzi compreso, senza volerlo (si spera), a generare la contrapposizione tra i gruppi. Ogni medium di ogni lingua dovrebbe "con naturalezza", cioè in base a una scelta strategica, dedicare ampi spazi a raccontare quello che succede "dagli altri" generando non solo conoscenza ma anche curiosità di conoscere "gli altri". Invece ogni medium si concentra nel raccontare esclusivamente quel che succede nel proprio gruppo di riferimento: così gli italiani di Bolzano non capiranno mai come funziona la società nei paesi "tedeschi", e i tedeschi delle valli mai capiranno quanto davvero è diversa la realtà urbana "italiana". (Qualche medium ci prova: per esempio, Salto.bz e QuiBolzano, ma non bastano). Un meccanismo diabolico da cui non si esce, se non creando una nuova generazione di comunicatori slegati dai luoghi comuni su cui oggi si fonda il pensiero del popolo e dei giornalisti che in essi limitano la loro attività di comunicatori. Lanciar proclami contro la politica "colpevole di tutto", come sempre, serve solo a far allontanare il popolo dalla democrazia e stimola l'astensionismo e l'antipolitica. Fermo restando che anche chi ha ruoli istituzionali pubblici deve e può far di meglio.

Mer, 06/14/2017 - 10:50 Collegamento permanente
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Dai retta a un… Gio, 06/22/2017 - 17:17

In risposta a di luigi spagnolli

Io credo caro Luigi Spagnolli che sia un poco grossolano mettere tutti sullo stesso piano: chi certe cose cerca di promuoverle e chi le stesse boicotti sistematicamente. E se si pensa che richiedere una scuola bilingue non va assolutamente a intaccare il diritto di chi vuole che i propri figli frequentino la scuola monolingue, la posizione di chi boicotta è quella sì, specialmente se si pensa che lo fa facendo pesare una maggioranza etnica, lesiva dei diritti e delle legittime aspirazioni di altri.
Davvero questo lei non lo percepisce ?

Gio, 06/22/2017 - 17:17 Collegamento permanente