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“Il passaporto sotto al cuscino”

Come hanno ottenuto la “doppia cittadinanza” gli italiani di Slovenia e Croazia – e perché? Intervista a Maurizio Tremul, esponente della minoranza italiana in Istria.
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Per la Süd-Tiroler Freiheit sono un esempio da imitare. Per il consigliere del centrodestra altoatesino Alessandro Urzì, al contrario, un caso isolato “lontanissimo” dalle istanze secessioniste in Sudtirolo. Ma qual è la vera storia del “doppio passaporto” della minoranza italiana in Slovenia e in Croazia? Salto.bz lo ha chiesto a Maurizio Tremul, presidente della giunta esecutiva dell'Unione italiana, organo istituzionale che rappresenta la “comunità nazionale italiana” nei Balcani. Tremul vive con la sua famiglia a Capodistria/Koper, in Slovenia, e possiede la doppia cittadinanza slovena-italiana. Ma il passaporto, in quelle terre adriatiche, è ormai una questione di identità personale e non (più) di rivendicazioni politiche.

Salto.bz: In relazione alla proposta di concedere la cittadinanza austriaca ai sudtirolesi di lingua tedesca e ladina, viene spesso citato “l'esempio” degli istriani italiani. Come ha funzionato, nel vostro caso, la concessione del “doppio passaporto”?

Maurizio Tremul: La questione è abbastanza semplice. Con la fine della ex-Jugoslavia – quando abbiamo avviato come italiani della ex-Jugoslavia un percorso di rifondazione delle nostre istituzioni allora molto legate al regime comunista, e non poteva essere diversamente – abbiamo sciolto la vecchia organizzazione unitaria degli italiani della ex-Jugoslavia (l'Unione degli Italiani dell'Istria e di Fiume) e costituito la nuova organizzazione, ovvero l'attuale Unione Italiana. Una delle nostre prime rivendicazioni è stata la richiesta all'Italia di concederci la cittadinanza italiana: o meglio, non tanto una concessione in quanto tale, ma il riacquisto della cittadinanza. Per chi era nato sotto l'Italia – perché era ancora vivo, e ce n'erano – ma anche per i loro discendenti italiani, cioè discendenti di cittadini del regno d'Italia.

In quale contesto si inseriva la richiesta della “doppia cittadinanza”?

Come misura di tutela internazionale dei nostri diritti minoritari, nel quadro della dissoluzione della Jugoslavia e della nascita dei nuovi paesi di Croazia e Slovenia. Fu la richiesta più importante, assieme all'accordo trilaterale tra Italia, Croazia e Slovenia per la tutela degli italiani in questi paesi, al trattato bilaterale Italia-Croazia del 1996 per i diritti degli italiani in Croazia e dei croati in Molise e ad altre richieste rivolte ai governi croato e sloveno. Chi rimase nei territori della ex-Jugoslavia – una minima parte della popolazione italiana, la gran parte fu espulsa e dovette intraprendere la via dell'esodo – perse automaticamente la cittadinanza italiana e acquisì quella jugoslava. Rimasero per una scelta ideologica – il “sol dell'avvenir”, il comunismo che si andava a costruire dopo l'ecatombe della prima e della seconda guerra mondiale, poi in gran parte disilluso – oppure perché il padre o il nonno anziano non volevano andarsene. In genere, nelle famiglie contadine e di pescatori, restavano i più giovani ad accudire gli anziani. Così è successo nella mia famiglia, e in tantissime altre.

La doppia cittadinanza è una misura di tutela internazionale dei nostri diritti minoritari, nel quadro della dissoluzione della Jugoslavia e della nascita dei nuovi paesi di Croazia e Slovenia”.

E quali furono i passi per ottenere quello che lei definisce “uno strumento di tutela”?

La legge sulla cittadinanza venne allora modificata in varie fasi. Un primo risultato si ottenne nel 1992, quando la legge fu cambiata in modo tale che a riacquistare la cittadinanza italiana fossero i nati nei territori ceduti alla Jugoslavia entro l'entrata in vigore del trattato di pace del 1947, nonché chi era nato nell'ex Zona B di Trieste entro la data di ratifica degli accordi di Osimo del 1977. Poi chiedemmo che questa possibilità fosse estesa non soltanto a chi era nato in quel periodo, ma anche ai loro discendenti: nel 1991, chi era nato entro il 1977 apparteneva ancora a una fascia di popolazione giovane. Meno numerosi i “superstiti” dei territori ceduti nel 1947 che poterono riacquistarla già nel 1992. La concessione ai discendenti fu l'ultima modifica, approvata dal Parlamento nel 2006.

La riforma del 2006 (“Modifiche alla legge 5 febbraio n. 92 del 1991, concernenti le disposizioni per il riconoscimento della cittadinanza italiana ai connazionali dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia ed ai loro discendenti” ) venne varata sotto il governo Berlusconi – ma grazie all'appoggio bipartisan del Parlamento. Come fu possibile tale convergenza?

Fu l'ultima legge approvata dalla legislatura, prima dello scioglimento delle Camere e delle elezioni. Ci aiutò molto in questo lavoro il senatore Carlo Giovanardi, allora ministro per i rapporti con il Parlamento, nostro grandissimo amico. Sono due i politici italiani che ci hanno aiutato dal 1991 in poi: Piero Fassino, già segretario del PDS e poi sottosegretario agli esteri, e Giovanardi. Nessuno di loro aveva interessi elettorali: si sono innamorati della nostra realtà, e di una battaglia di principio e di giustizia, hanno capito le nostre esigenze e si sono spesi molto per aiutare la nostra presenza in Croazia e Slovenia. Sia nell'uno che nell'altro schieramento ci sono persone di grande rettitudine e di valore, e noi, essendo una minoranza, abbiamo cercato interlocutori in tutte le forze politiche italiane. A volte collabori meglio con l'uno e con l'altro, ma non è una questione ideologica bensì di empatia, di affinità, di valori condivisi. Giovanardi ci aiutò e si fece questa modifica.

Dal 2006, quindi, la legge estende il diritto al riacquisto della cittadinanza italiana anche ai nati dopo il 1947 nei territori che furono del Regno d'Italia, discendenti in linea retta di coloro che l'avevano riacquistata nel 1992. Ma quali erano i requisiti e la procedura di ottenimento?

Il riacquisto era vincolato ad alcune condizioni: dimostrare la discendenza, l'origine italiana, per ius sanguinis e non per ius soli. Dimostrare di aver frequentato le scuole italiane, di essere attivista nella comunità degli italiani, di essere notoriamente italiano e parlare la lingua italiana, con una serie di documenti che attestassero di essere effettivamente di etnia, lingua, cultura italiana. Per chi era nato prima del 1947, nei territori ceduti all'ex-Jugoslavia, non era un problema: bastava dare la pagella della scuola italiana. D'altronde, tutti l'avevano frequentata, anche i croati e gli sloveni, perché l'italianizzazione fascista aveva chiuso le scuole croate e slovene.

“Non c'era alcun automatismo. Il riacquisto era vincolato ad alcune condizioni: dimostrare la discendenza, l'origine italiana – per ius sanguinis e non per ius soli –, di essere notoriamente italiano e parlare la lingua italiana”.

Con i discendenti valevano i medesimi principi?

Sì, ad esempio dimostrando di aver frequentato le scuole italiane in Croazia e Slovenia. Qui abbiamo tutta la verticale scolastica, scuole pubbliche slovene/croate in cui la lingua d'insegnamento è l'italiano: dagli asili alle elementari – che sono il corrispettivo di elementari e medie in Italia – sino alle scuole medie superiori. Cui si aggiungono i dipartimenti di italianistica alle università di Capodistria, Pola e Fiume per l'insegnamento di classe dell'italiano, e per le educatrici d'asilo.

Chi valutava le domande?

C'era una commissione al Ministero degli Interni a Roma, che valutava le pratiche. Essa richiedeva di completare la documentazione, e quando respingeva talune richieste, si poteva fare ricorso. C'è stato il caso di due sorelle che hanno avuto lo stesso percorso familiare e scolastico: a una è stata accolta la domanda, all'altra respinta. Sono quei vizi di forma che a volte capitano nelle pratiche burocratiche.

Un iter abbastanza complesso...

Non c'era alcun automatismo. Bisognava fare una richiesta al Consolato, entro certi termini. Se al Consolato la pratica non era chiara, si veniva chiamati per un colloquio, per capire come ti esprimevi in lingua italiana, capire le origini. In molti altri casi no, perché magari dalle carte era evidente, o il console ti conosceva personalmente, girando nelle comunità. Nello snellimento delle procedure – pure sulla base di principi di correttezza e trasparenza – ci aiutò l'allora sottosegretario agli interni Ettore Rosato, triestino e capogruppo uscente del Partito Democratico alla Camera.

Nei Balcani, però, comunità italiane sono presenti anche in altri territori. La cittadinanza italiana è stata assegnata pure a queste minoranze?

La cittadinanza viene assegnata a cittadini di lingua, etnia, cultura italiana in territori che sono stati parte del Regno d'Italia. Se ci sono italiani della Bosnia e del Montenegro (terre mai facenti parte dell'Italia), cioè comunità di italiani emigrati centocinquant'anni fa, quelli non hanno la possibilità di acquisire la cittadinanza italiana – anche perché emigravano da territori appartenenti all'Austria-Ungheria. Noi discendiamo dagli italiani che vivevano in territori aimé persi dall'Italia a causa dei danni provocati dal fascismo e dalla sciagurata guerra d'aggressione.

La doppia cittadinanza è un fatto positivo che non dovrebbe danneggiare nessuno, a meno che non ci siano altri obiettivi dietro. Per le minoranze è uno strumento di garanzia, una sicurezza”.

In termini numerici, quanti hanno richiesto la cittadinanza italiana?

Una parte importante degli italiani ha fatto la richiesta. Siamo nell'ordine degli oltre 20mila passaporti italiani in Slovenia e Croazia, la stragrande maggioranza italiani appartenenti alla minoranza che l'hanno riacquistata in questo modo, cui si aggiunge qualche centinaio di persone che si sono trasferite in Croazia e Slovenia per motivi di lavoro e quindi hanno solo la cittadinanza italiana. I cittadini italiani iscritti all’AIRE nelle circoscrizioni consolari di Fiume (Croazia) e Capodistria (Slovenia) sono complessivamente 25mila. Ai censimenti statali, invece, si rileva la “nazionalità”, vecchio concetto della ex-Jugoslavia: in Slovenia l'ultimo censimento è del 2001, mentre la Croazia ha continuato a farli. I numeri sono diversi, tra italiani di nazionalità “censiti” e italiani di cittadinanza, per ragioni lunghe da spiegare...

Cosa intende dire, in estrema sintesi?

Banalizzando: il censore che viene in casa ma non sa l'italiano, non ha il formulario bilingue come dovrebbe avere nei territori bilingui dell'Istria, e ti chiede a quale etnia appartieni, qual è la tua madrelingua, soprattutto nelle popolazioni più anziane genera quel timore reverenziale che risale all'epoca della ex-Jugoslavia. Per cui, magari, ti rispondono in croato, sloveno, oppure non si esprimono, non si dichiarano, o si dichiarano istriani. Quindi il dato del censimento è un po' falsato. L'ultimo censimento croato nel quale hanno continuato a rilevare la nazionalità, nel 2011, è stato fatto con una metodologia diversa dalla precedente: chi non era residente nel territorio, oppure non ti trovava in casa, non veniva censito.

Maurizio Tremul ospite di un convegno della Süd-Tiroler Freiheit a Bolzano, nel 2015

“Ho la doppia cittadinanza slovena e italiana. A cosa mi serve? Sono cittadino europeo, non c'è più il confine, c'è libertà di movimento e non cambia nulla che io usi il passaporto italiano o sloveno. Ma il fatto di appartenere alla nazione italiana, di avere anche il passaporto italiano, mi riempie d'orgoglio”.

Cosa pensa dell'idea di assegnare anche alla minoranza di lingua tedesca e ladina in Italia il “doppio passaporto”, in questo caso affiancando alla cittadinanza italiana quella austriaca, come prevede il programma del nuovo governo di Vienna?

In linea di principio noi siamo sempre favorevoli. Lo dissi anche al partito Süd-Tiroler Freiheit, che mi aveva invitato qualche anno fa a un convegno sulla doppia cittadinanza. E a chi mi chiedeva in questi giorni di commentare la polemica, ho detto una cosa chiara e rimango di quest'avviso: la doppia cittadinanza è un fatto positivo che non dovrebbe danneggiare nessuno, a meno che non ci siano altri obiettivi dietro. È una sicurezza che puoi dare agli appartenenti alle minoranze. È giusto ribadire che noi abbiamo la caratteristica di aver fatto parte dell'Italia. E la doppia cittadinanza alle minoranze è uno strumento di garanzia.

È vero però che, per i sudtirolesi che la desiderano, la doppia cittadinanza rappresenta più un fatto simbolico che sostanziale. La tutela della minoranza è già garantita da uno Statuto speciale e da ferrei accordi internazionali...

Io ho la doppia cittadinanza, slovena e italiana. Cosa mi serve la cittadinanza italiana? Sono cittadino europeo, non c'è più il confine, la Slovenia ha adottato Schengen e la moneta unica. C'è libertà di movimento, che io usi il passaporto italiano o sloveno, è la stessa identica cosa. Non ho un vantaggio concreto. Ma il fatto di essere appartenente alla nazione italiana, di avere anche il passaporto italiano, mi riempie d'orgoglio. Ci sono delle persone anziane, settanta-ottantenni, che hanno riottenuto la cittadinanza italiana, a cosa gli serve? A niente, hanno risposto, si sono messi a piangere quando gli è stata data dal console. Hanno detto: io metto il passaporto sotto il cuscino perché finalmente ritorno a essere italiano. Una cosa affettiva, non una cosa che crea un'utilità pratica.

“Ci sono settanta-ottantenni che si sono messi a piangere quando gli è stata data la cittadinanza italiana dal console. A cosa gli serve? A niente, hanno detto: io metto il passaporto sotto il cuscino perché finalmente ritorno a essere italiano”.

Proprio nessuna utilità pratica?

Per gli italiani della Croazia ha avuto anche un aspetto pratico, subito dopo la sua approvazione, perché la Croazia non aveva ancora aderito all'Unione Europea. I nostri connazionali, di Rovigno, Pola o Fiume, che andavano a studiare in Italia erano parificati agli extra-comunitari. Con grande rispetto per tutti, ma chi ha alle spalle un percorso scolastico interamente in italiano per poter studiare a Bologna doveva andare in questura e fare la pratica come se venisse da un altro paese extra-europeo. La cittadinanza italiana, a questi soggetti, ha facilitato l'espletamento di pratiche burocratiche. Quando la Croazia è entrata nella UE, il problema non si è più posto. C'è questo affetto che le persone hanno verso l'Italia. E anche per questo motivo abbiamo richiesto il passaporto.

Come reagirono, all'epoca, i governi di Slovenia e Croazia?

Male. Abbiamo passato un paio d'anni in cui siamo stati messi sulla graticola. Ci furono polemiche sui giornali, ci era stato detto di tutto: “L'Italia imperialista vuole riconquistare i territori persi con la guerra d'aggressione, coltiveremo dei possibili nemici interni...”. Molto polemica fu la Chiesa croata. Al vescovo di Parenzo e Pola domandai: “Sono cattolico, vado in chiesa, parlo e prego in italiano, croato e sloveno, perché quest'ostilità?”. Il timore fu che la cittadinanza italiana consentisse a forze di estrema destra di chiedere la revisione degli accordi internazionali e il passaggio di questi territori all'Italia – per noi improponibile. Abbiamo spiegato a tutti, partiti, governi, parlamenti, che era un'iniziativa del tutto innocua e senza effetti negativi. Io risiedo a Capodistria, e il passaporto italiano non è uno strumento di tutela rispetto alle autorità croate e slovene. Se commetto un reato, non posso chiedere tutela al console: sono cittadino sloveno e ho commesso un reato in Slovenia, perciò non ho diritto all'assistenza legale dell'Italia. Il passaporto non ci dà uno status particolare. Questo è stato capito, la polemica è scemata e nessuno ne ha più parlato.

Il timore fu che la cittadinanza italiana consentisse a forze di estrema destra di chiedere la revisione degli accordi internazionali e il ritorno di questi territori all'Italia – per noi improponibile. I post-fascisti volevano rinegoziare Osimo, mentre la Serbia proponeva all'Italia la restituzione dell'Istria che però si trova in Croazia.”

Il provvedimento dell'Italia non fu discusso preliminarmente con i governi croato e sloveno? L'Austria, nel caso del Sudtirolo, consulterebbe Roma senza atti unilaterali.

No, non ci fu alcun accordo bilaterale. Informammo le autorità croate e slovene di questa nostra richiesta all'Italia, in maniera molto aperta, e Roma informò Lubiana e Zagabria di tale iniziativa, con una serie di rassicurazioni tramite la rete diplomatica e consolare sul fatto che non ci fossero desideri espansionistici. D'altra parte, bisogna tenere conto che la reazione scomposta e sovradimensionata di Croazia e Slovenia, rispetto a quando deciso nei primi anni novanta, aveva dei fattori aggravanti: la Jugoslavia era andata a catafascio, la Croazia in piena guerra d'aggressione con la Serbia e la Slovenia uscita da poco dalla Federazione. Erano paesi nuovi, che si stavano costituendo, pieni di paure e con tantissimo nazionalismo. Siamo nei primi anni novanta, e non possiamo dimenticare che allora alcuni post-fascisti volevano rinegoziare Osimo e il ritorno dei territori all'Italia, mentre la Serbia proponeva all'Italia la restituzione dell'Istria che però si trova in Croazia. C'è chi ha manipolato.

E la situazione nel 2006?

Non ci sono stati problemi.

La comunità italiana dell'Istria si trova a cavallo fra due confini. Qual'è l'impatto della “rotta balcanica” dei migranti sui vostri territori? Come viene percepito il ritorno dei confini all'interno dell'UE– il cui abbattimento era stato così importante per il ricongiungimento dalla minoranza italiana di Slovenia e Croazia all'Italia?

Il confine tra Croazia e Slovenia è ancora esistente. La gente in Istria, italiani, croati e sloveni, al di là delle polemiche, vuole vivere in pace. Nessuno va a cavalcare questo tipo di argomento, vogliamo che il confine di Dragogna tra Croazia e Slovenia venga abbattuto, non solo il confine doganale ma anche quello di controllo dei passaporti, e la Croazia entri in Schengen. E la si smetta di litigare: quando saremo tutti in Schengen e non ci saranno più barriere, se il confine è un chilometro più su o più giù non cambia la vita. Le persone vogliono continuare ad avere libertà di movimento. La popolazione dell'Istria non accetta quel confine, lo odiamo tutti, italiani croati e sloveni, anche se lo rispettiamo. Abbiamo fatto una serie di proteste civili, molto composte, quando è stato messo il filo spinato. Lavoriamo affinché visioni e strumentalizzazioni finiscano e ci lascino in pace. Anche se siamo italiani, croati e sloveni, abbiamo una mentalità comune, ci riconosciamo tutti in un'identità comune che è quella regionale istriana, che accomuna tre lingue, tre culture, tre nazioni.

“La popolazione dell'Istria non accetta quel confine, lo odiamo tutti, italiani croati e sloveni. Vogliamo vivere in pace, e ci riconosciamo tutti in un'identità comune che è quella regionale istriana, che accomuna tre lingue, tre culture, tre nazioni.”

La convivenza tra italiani, sloveni e croati è buona? La regione dell'Istria si può definire una realtà a tutti gli effetti pacificata?

Ci sono problemi, qualche episodio di intolleranza, ma sono molto sporadici. C'è una grande integrazione, una grande rispetto verso gli italiani, visti non più come “fascisti perché italiani”, ma per quelli che siamo, portatori di una grande lingua, una grande cultura, portatori di sviluppo. Abbiamo i nostri diritti, che devono essere implementati, attuati. Ci sono difficoltà, la vita è fatta di difficoltà. Non ci sono fatti significativi di discriminazione, momenti che vanno a compromettere seriamente la convivenze, abbiamo matrimoni misti, le nostre scuole sono piene anche giovani che non sono di lingua italiana. Si convive liberamente, il livello di dialogo interculturale è molto alto.

Come valuta, in conclusione, il livello di tutela della minoranza italiana nel 2018?

Il livello di diritti che la Slovenia, ma anche la Croazia, riconosce alle minoranze italiane è molto elevato. Ci sono molte carenze nell'attuazione del bilinguismo visivo, o meglio, dei pubblici uffici, degli enti pubblici. Quella è una battaglia da fare, inevitabile. Noi lavoriamo affinché questi diritti vengano attuati in maniera coerente. Però anche questo è un processo, che ha bisogno di programmi formativi ed educativi nelle scuole di ogni ordine e grado in cui si racconti il pluralismo linguistico di Croazia e Slovenia, come frutto di un percorso storico doloroso quanto virtuoso. La presenza degli italiani è un valore aggiunto, non un costo, per quanto attuare i diritti minoritari abbia sempre un costo.

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gorgias Gio, 01/25/2018 - 06:09

>Io ho la doppia cittadinanza, slovena e italiana. Cosa mi serve la cittadinanza italiana? Sono cittadino europeo, non c'è più il confine, la Slovenia ha adottato Schengen e la moneta unica. C'è libertà di movimento, che io usi il passaporto italiano o sloveno, è la stessa identica cosa. Non ho un vantaggio concreto. Ma il fatto di essere appartenente alla nazione italiana, di avere anche il passaporto italiano, mi riempie d'orgoglio. Ci sono delle persone anziane, settanta-ottantenni, che hanno riottenuto la cittadinanza italiana, a cosa gli serve? A niente, hanno risposto, si sono messi a piangere quando gli è stata data dal console. Hanno detto: io metto il passaporto sotto il cuscino perché finalmente ritorno a essere italiano. Una cosa affettiva, non una cosa che crea un'utilità pratica.<

Würde das ein Südtiroler analog zur österreichischen Staatsbürgerschaft sagen, würden die germanophoben Grünen durchdrehen.

Gio, 01/25/2018 - 06:09 Collegamento permanente
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Martin B. Gio, 01/25/2018 - 20:34

Sehr interessanter Artikel um die Situation südöstlich von Triest zu beleuchten. Ich sehe nur einen markanten Unterschied: in Südtirol gibt es eine italienischsprachige Gruppe, die sich disagio-mäßig als Minderheit innerhalb einer Minderheit sieht und unwohl fühlt und eine Vielzahl an Persönlichkeiten sich gegen jede "mögliche psychische Belastung" dieser Gruppe ausspricht inkl. einer undefinierten Zahl an "Gemischtsprachigen" oder wie auch immer sich diese Gruppe definiert.
Ansonsten sind die Regeln in Kroatien für diejenigen die staatsbürgerlich auch Italiener sein wollen klar und mindestens so umfangreich wie die erbittersten hiesigen Gegner der Vaterlands-Staatsbürgerschaft anhand dem womöglich benötigten "Ahnenpass" oder sprachlich diskriminierenden Regularien schwarzmalen.
Das sich die Böllerei vonseiten Kroatien gelegt hat, der italienische Pass im Allgemeinen keinen rechts-nationalen Bestrebungen dient und für jeden eine persönliche emotionale Entscheidung ist, klingt für mich gut und rational. Ebenso das der vergebende Staat zwar umsichtig vorgehen sollte, sich aber nicht konditionieren und einschüchtern lassen sollte.
Wollen wir hoffen das es in Wien ähnlich fähig-erfolgreiche Unterstützer wie Carlo Giovanardi (DC, CCD, UDC, PdL, NCD, IdeA) und Piero Fassino (FGCI, PCI, PDS, DS, PD) gibt, vielleicht wirkt Alexander van der Bellen und andere außerhalb der Koalition positiv...

Gio, 01/25/2018 - 20:34 Collegamento permanente
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Massimo Mollica Gio, 01/25/2018 - 22:12

Ho trovato quasi poetiche le risposte dell'intervistato. Quasi a sottolienare che in ogni vicenda vi sono mille sfaccettatute che non si notano quando si tende a urlare, quando si ragiona per slogan, quando gli interessi personali vengono prima degli interessi della comunità. Io mi sensto alto atesino, sudtirolese, italiano e soprattutto europeo. Però di fronte all'essere umano (a qualsiasi essere umano, di qualsiasi provenienza),alla sua dignità io divento apolide, non ho bandiere ne confini. Sono semplicemente nessuno.

Gio, 01/25/2018 - 22:12 Collegamento permanente